Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18063 del 23/03/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 18063 Anno 2018
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: CORBO ANTONIO

Data Udienza: 23/03/2018

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Torriti Vladimir, nato a Piombino il 23/11/1981

avverso la sentenza in data 12/12/2016 della Corte d’appello di Firenze

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Antonio Corbo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Paola
Filippi, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 12 dicembre 2016, la Corte di appello di
Firenze, in parziale riforma della sentenza emessa dal Giudice per le indagini
preliminari del Tribunale di Livorno, all’esito di giudizio abbreviato, ha
confermato la dichiarazione di penale responsabilità di Valdimir Torriti per il reato
di detenzione illecita di sostanza stupefacente di tipo eroina per un peso lordo
complessivo pari a 461,427 grammi, a norma dell’art. 73, comma 1 e 1-bis, 4s
, ,v

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d.P.R. n. 309 del 1990, commesso il 19 gennaio 2007, e l’esclusione della
recidiva, ma ha aumentato la pena a quattro anni, cinque mesi e dieci giorni di
reclusione ed euro 18.000,00 di multa.

2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di
appello indicata in epigrafe l’imputato Vladimir Torriti personalmente, articolando
cinque motivi, preceduti da una premessa nella quale si rappresenta che, in via
preliminare, l’imputato aveva avanzato richiesta di patteggiamento con

di multa, respinta dal Giudice per incongruità, e che la pena è stata aumentata in
secondo grado in accoglimento del ricorso per cassazione proposto dal Pubblico
ministero e convertito in appello.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento
all’art. 73, comma 1-bis, d.P.R. n. 309 del 1990, e all’art. 111 Cost., nonché
vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc.
pen., avendo riguardo alla responsabilità penale.
Si deduce che, nella sentenza impugnata, manca qualunque spiegazione per
ritenere che la detenzione sia per uso non personale o sia comunque qualificabile
a norma dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990. Si rileva che la
spiegazione era tanto più necessaria se si considera la scarsa qualità della
sostanza sequestrata: il principio attivo, secondo gli accertamenti tecnici, era
pari a 45,89 grammi, e corrispondeva, per un 6,06 % della complessiva
sostanza, ad eroina e, per un 4,25 % della complessiva sostanza, a 6_MAM.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento
agli artt. 570, 597, comma 4, e 443 cod. proc. pen. nonché 6 CEDU, a norma
dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo all’aumento di
pena disposto in appello.
Si deduce che l’impugnazione del Pubblico ministero era un ricorso per
cassazione e che, quindi, imponeva innanzitutto un giudizio rescindente prima
del giudizio rescissorio.
2.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, nonché vizio di
motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen.,
avendo riguardo alla mancata applicazione della disciplina della continuazione
con altra sentenza divenuta irrevocabile.
Si deduce che la Corte d’appello, investita in udienza di specifica richiesta
con riferimento alla sentenza pronunciata dalla Corte d’appello di Firenze in data
3 febbraio 2015, ha totalmente soprasseduto a qualunque accertamento.
2.4. Con il quarto motivo (erroneamente indicato ancora come terzo), si
denuncia violazione di legge, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc.fi
2

riferimento alla pena di quattro anni e sei mesi di reclusione ed euro 18.000,00

pen., avendo riguardo alla difformità tra dispositivo e motivazione della sentenza
di primo grado in relazione alla pena.
Si deduce che lo “scarto” tra dispositivo e motivazione deve essere colmato
dando prevalenza al dispositivo, trattandosi di motivazione non contestuale, ed
in linea con i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità.
2.5. Con il quinto motivo (erroneamente indicato ancora come quarto), si
denuncia vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod.
proc. pen., avendo riguardo alla determinazione della pena.

applicata in primo grado o comunque pari a quella indicata nella motivazione
della sentenza di primo grado seguendo un iter logico incomprensibile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Il ricorso è complessivamente infondato per le ragioni di seguito

precisate.

2. Le censure formulate nel primo motivo di ricorso, che contestano la
configurabilità del reato, o quanto meno il mancato riconoscimento della
fattispecie della lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990,
sono manifestamente infondate e, in parte, anche prive della specificità
necessaria a norma dell’art. 581, comma 1, lett. c) [ora lett. d)], cod. proc. pen.
Nel motivo si afferma che la sentenza impugnata ha trascurato la scarsa
qualità della sostanza stupefacente in sequestro, in relazione alla percentuale di
principio attivo. In tal modo, però, il ricorso si contrappone in termini
sostanzialmente assertivi alle argomentazioni del giudice di appello, il quale
rappresenta come la droga rinvenuta e sottoposta a vincolo corrisponde a «quasi
mezzo chilo di eroina, di valore assai consistente, per consumare il quale
sarebbe necessario un uso forsennato per mesi se non anni, con rischi
elevatissimi di dispersione, sottrazione, sequestro della sostanza».
E, d’altro canto, non è manifestamente illogico affermare che la disponibilità
di principio attivo pari a 45,89 grammi consenta di preparare un numero davvero
elevato di dosi: il D.M. 11 aprile 2006 rappresenta che per confezionare una
«dose media singola cioè la quantità di principio attivo per singola assunzione
idonea a produrre in un soggetto tollerante e dipendente un effetto
stupefacente» è sufficiente, per l’eroina, un quantitativo di principio attivo pari a
soli venticinque milligrammi. Non a caso, infatti, la sentenza di primo grado,
richiamando la consulenza tecnica del P.M., ha precisato che il quantitativo di
sostanza sequestrata è pari a «grammi 445,18, costituito da un preparato a base/ / /7
3

Si deduce che la pena ha finito per applicare una pena maggiore di quella

di eroina e Monoacetilmorfina (6-MAM) con eccipienti caffeina e paracetamolo e
percentuale di principio attivo di eroina al 6,06 % e di 6-MAM al 4,25 % e,
considerando che la 6-MAM ha lo stesso potere tossicogeno di eroina, il principio
attivo complessivo contenuto nella sostanza è pari a 45,89 grammi, un
quantitativo superiore di 183-184 volte il limite massimo previsto secondo il DM
11.04.06 e sufficiente al confezionamento di circa 1.835,92 dosi singole con
efficacia d roga nte. ».

motivo, da esaminare congiuntamente, perché concernenti la determinazione
della pena.
Il ricorrente contesta l’aumento di pena disposto in appello rispetto alla
sanzione irrogata in primo grado, deducendo che, in quella sede, a fronte del
ricorso del Pubblico ministero, il giudice avrebbe potuto compiere solo un giudizio
rescindente, che, in ogni caso, occorreva riconoscere la prevalenza del
dispositivo sulla motivazione della sentenza di primo grado, che da tale
dispositivo derivava un limite non superabile, e che era incomprensibile

l’iter

logico seguito dal giudice di seconda cura nel determinare la pena.
Occorre osservare che costituisce principio consolidato nella giurisprudenza
di legittimità quello per cui, nel giudizio abbreviato, il ricorso per cassazione
proposto dal pubblico ministero avverso la sentenza di condanna, convertito in
appello in applicazione dell’art. 580 cod. proc. pen., conserva la propria natura di
impugnazione di legittimità; tuttavia, una volta concluso positivamente il giudizio
rescindente, il giudice d’appello riprende la propria funzione di giudice del merito
e può adottare le statuizioni conseguenti alla formulazione del giudizio
rescissorio devolutogli, eventualmente anche rideterminando in peius la pena
(cfr., tra le tantissime, Sez. 1, n. 40280 del 21/05/2013, Agostino, Rv. 257326,
e Sez. 6, n. 42694 del 23/10/2008, Raia, Rv. 241872).
Vi è poi da aggiungere che la prevalenza del dispositivo sulla motivazione
non costituisce regola assoluta, ma dipende dalle specificità del caso posto
all’attenzione del giudice di legittimità (cfr., esemplificativamente, Sez. 6, n.
7980 del 01/02/2017, Esposito, Rv. 269375)
In fatto, risulta che la sentenza di primo grado: a) in motivazione ha fissato
la pena finale di quattro anni e sei mesi di reclusione ed euro 10.000 di multa,
così determinandola: «pena base = anni 6 e mesi 8 di reclusione ed euro
10.000 di multa aumentata ex art. 81 cpv cp per capo b = anni 6 e mesi 9 di
reclusione ed euro 15.000 di multa. Ridotta per il rito = anni 4 e mesi 6 di
reclusione ed Euro 10.000 di multa»; b) in dispositivo ha irrogato la «pena di
anni 4 di reclusione ed Euro 10.000 di multa». Risulta, inoltre, per come
4

3. Infondate sono le censure formulate nel secondo, nel quarto e nel quinto

evidenziato nella sentenza impugnata, che il dispositivo letto in udienza dal
G.u.p., faceva riferimento alla pena di quattro anni e sei mesi, e che la pena
pecuniaria era stata individuata dal giudice di primo grado, tanto nel dispositivo,
quanto in motivazione, in 10.000,00 euro, sebbene il minimo edittale sia pari a
26.000,00 euro.
Correttamente, quindi, la Corte d’appello ha ritenuto viziata la sentenza di
primo grado sia per il contrasto tra dispositivo e motivazione, sia per
l’illegittimità della pena pecuniaria ed ha proceduto alla rideterminazione della

esattamente nei limiti indicati nella motivazione della sentenza di primo grado,
quanto perché fissata in misura prossima al limite edittale, e lievissimamente
superiore a questo in espressa considerazione dei precedenti penali
dell’imputato.

4. Infondate, infine, sono le censure formulate nel quarto motivo di ricorso,
e che contestano la mancata applicazione della continuazione con altri reati
precedentemente giudicati, nonostante l’espressa richiesta formulata in udienza.
Invero, secondo un principio più volte ribadito in giurisprudenza, e condiviso
dal Collegio, è conforme all’effetto devolutivo dell’appello la sentenza che omette
di pronunciare sulla richiesta di riconoscimento del vincolo della continuazione
con altri reati oggetto di titoli pregressi formulata, anziché con l’atto introduttivo,
solo in corso di procedimento unitamente alla produzione dei titoli stessi (così, in
particolare, Sez. 2, n. 10470 del 12/02/2016, Gargano, Rv. 266655, e Sez. 2, n.
17077 del 08/02/2011, Biscaro, Rv. 250245).

5. Alla complessiva infondatezza delle censure segue il rigetto del ricorso e
la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in data 23 marzo 2018

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Antri? Corb?

Giacomp Paoloni

-`

pena. Corretta, inoltre, è stata tale rideterminazione, tanto perché contenuta

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