Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18023 del 19/12/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 18023 Anno 2018
Presidente: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA
Relatore: BIANCHI MICHELE

Data Udienza: 19/12/2017

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BENFANTE ANTONINO nato il 19/10/1963 a PALERMO

avverso la sentenza del 26/10/2016 della CORTE ASSISE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere MICHELE BIANCHI
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIOVANNI DI
LEO
che ha concluso per

Il P.G. conclude per l’inammissibilità del ricorso.
Udito il difensore
E’ presente l’avvocato GORPIA ERMANNO del foro di MILANO in difesa di
BENFANTE ANTONINO che conclude per l’accoglimento dei motivi di ricorso.

Alle ore 14.07, l’udienza viene sospesa per riprendere alle ore 15.20

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RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza pronunciata in data 26.10.2016 la Corte di assise di appello
di Milano ha confermato la sentenza pronunciata in data 8.7.2015 dalla Corte di
assise di Milano, che aveva riconosciuto Benfante Antonino responsabile
dell’omicidio volontario di Tatone Emanuele e Simone Paolo ( capo A, commesso
il 27.10.2013) e di Tatone Pasquale ( capo B, commesso il 30.10.2013), oltre
che del delitto di porto illegale di arma comune da sparo in occasione dei due

capo D, commesso dal giugno 2013 al 5.12.2013), e quindi lo aveva condannato
alla pena dell’ergastolo, con isolamento diurno per anni tre.

2. Il procedimento riguarda omicidi commessi nell’arco di pochi giorni nel
medesimo quartiere di Quarto Oggiaro, fra il territorio comunale di Milano e
quello di Novate Milanese; due delle vittime ( Tatone Emanuele e Tatone
Pasquale) erano fra loro fratelli; per il primo ( duplice) omicidio, commesso nella
mattinata del 27 ottobre 2013, era stata utilizzata una pistola cal. 38, nel
secondo, avvenuto dopo le ore 22 del 30 ottobre 2013, un fucile cal. 12; il capo
D riguarda la attività di spaccio di stupefacenti nel medesimo quartiere, posta in
essere, in tesi di accusa, dall’imputato .

2.1. Quanto alle imputazioni di omicidio e delle connesse violazioni alla
legge sulle armi, il compendio probatorio utilizzato dalla Corte di Assise, di prova
generica e specifica, è costituito sia da dati documentali ( traffico delle utenze in
uso ai diversi protagonisti e conseguente localizzazione sul territorio, riprese del
sistema di videosorveglianza cittadino), che da testimonianze; rilievo centrale
veniva attribuito dalla Corte di assise alla testimonianza della signora Calvaresi
Denise, acquisita in incidente probatorio.
Quanto ai fatti di spaccio di stupefacenti, venivano in rilievo solo deposizioni
testimoniali.
In ordine ai fatti commessi il 27.10.2013, la sentenza rileva che attorno alle
ore 14 di quel giorno tale Milotta Vito aveva segnalato alle forze di polizia di aver
rinvenuto un cadavere nei pressi di area destinata alla coltivazione di orti in via
Vialba di Novate Milanese; la pattuglia intervenuta accertava la presenza di un
cadavere vicino ad auto Opel Astra e quindi, ad una distanza di circa dieci metri,
celato nella boscaglia, altro cadavere; i due corpi venivano identificati in Simone
Paolo, il primo, e in Tatone Emanuele, il secondo; l’auto era di proprietà di
Simone Paolo; entrambi i corpi recavano i segni di colpi di arma da fuoco e nelle
vicinanze venivano rinvenuti due proiettili cal. 38.

fatti di omicidio ( capo C) e del delitto continuato di cessione a terzi di cocaina (

L’orario del fatto veniva individuato dai primi giudici “… con certezza intorno
alle ore 11.45″ ( pag. 17), sul rilievo che la signora Schembari Laura, convivente
di Simone Paolo, aveva riferito di aver inutilmente cercato il Simone al telefono
sin dalle ore 12.10, mentre due testi, presenti quella mattina nell’area degli orti
di via Vialba, avevano riferito di aver udito colpi di arma da fuoco prima di
mezzogiorno ( uno indicava l’orario in ” 11.45-12″, l’altro nelle 11.30).
In data 30.10.2013 la signora Perolfi Carla, cognata di Tatone Emanuele,
aveva dichiarato alla pg che la mattina del 27.10. ella aveva visto il cognato in

nell’occasione, la donna aveva notato anche la presenza di un uomo, che la
polizia giudiziaria identificava – in ragione del caratteristica indicata dalla teste
(“aveva le gambe ballerine”) – nell’imputato, notoriamente affetto da morbo di
Parkinson.
Le circostanze venivano confermate anche dal gestore del bar.
La madre dei fratelli Tatone, la signora Femiano Rosa, aveva poi riferito che
la mattina del 27.10.2013 era venuto a casa l’imputato, chiedendo del figlio
Emanuele; aveva aggiunto che nei mesi precedenti l’imputato riforniva di droga il
figlio Emanuele, che poi la rivendeva.
Dall’esame delle riprese del sistema di videosorveglianza era risultato che
nella mattinata del 27 ottobre l’imputato era transitato in moto ( uno scooter
Honda) in piazza Lopez, da dove si era allontanato alle ore 11.06, seguito dalla
Opel Astra di Simone Paolo; i tabulati telefonici localizzavano l’utenza
dell’imputato nella zona di via Vialba sia alle ore 11.13 che alle ore 11.34.
In particolare, sia alle 11.13 che alle ore 11.34 l’utenza dell’imputato era
localizzata dalla cella di via Vialba 70 ed aveva una breve conversazione ( di 13
secondi, in entrambi i casi) con l’utenza 339 5457085, intestata a tale Gatto
Giorgio; successivamente, l’utenza dell’imputato non era risultata più attiva.
Relativamente all’omicidio del 30.10.2013, la vittima era stata colpita da
arma da fuoco ( individuata in un fucile cal. 12 dai bossoli rinvenuti nell’auto)
mentre si trovava all’interno della propria autovettura, parcheggiata in via
Pascarella; al fatto avevano assistito testimoni, che avevano riferito di aver visto
un uomo, a bordo di scooter e munito di casco integrale e guanti, approssimarsi
all’auto e quindi sparare una raffica di colpi.
Il fatto risultava ripreso anche dalla telecamera posta in via Pascarella, con
orario 22.39.39 .
L’esame delle altre telecamere posizionate nella zona aveva consentito di
accertare diversi transiti in via Pascarella di uno scooter, che quindi, effettuata
inversione ad U, aveva affiancato l’auto della vittima, sparando i colpi di arma da
fuoco.

un bar di via Lopez, da dove il Tatone si era allontanato assieme a Simone Paolo;

Altra telecamera, posizionata nei pressi dell’abitazione dell’imputato, aveva
consentito di accertare che l’imputato si era allontanato da casa con la propria
auto Golf alle ore 20.58 e vi aveva fatto ritorno alle ore 22.53.
Nella notte fra il 30 e il 31 ottobre, acquisita la notizia della morte di Tatone
Pasquale, la polizia giudiziaria aveva effettuato perquisizione presso l’abitazione
dell’imputato, con esito negativo.
La sentenza ha dato conto delle dichiarazioni rese dalla signora Calvaresi
Desirè, convivente dell’imputato, sin dal 5.11.2013, agli investigatori, e quindi, il

In particolare, la teste aveva riferito particolari relativi ai movimenti
compiuti dal Benfante nelle giornate del 27 e 30 ottobre 2013 e aveva anche
riferito circostanze apprese dallo stesso imputato.
Il giorno 27 ottobre l’imputato aveva trascorso la mattinata fuori casa,
rientrando dopo mezzogiorno; la teste ricordava che il convivente, rientrando, le
aveva intimato che, ad eventuali domande, avrebbe dovuto rispondere che lui
era tornato a casa alle ore 10.30, e le aveva chiesto di lavargli i vestiti, senza
spiegarle altro.
Nel pomeriggio, appresa la notizia dei due omicidi, la teste aveva affrontato
il discorso con l’imputato, e questi aveva riconosciuto di esserne il responsabile.
Nella serata del 30 ottobre, la donna, che nel frattempo si era trasferita con
il figlio dai suoi genitori, aveva parlato al telefono ( l’utenza fissa di casa) con
l’imputato prima delle ore 21; ella l’aveva poi ancora chiamato ( ancora sulla
utenza di casa), non ricevendo risposta.
La teste aveva quindi tr22M2 appreso della morte di Tatone Pasquale,
avvenuta, tra l’altro, proprio nella via dove vivevano i suoi genitori.
Durante la notte l’imputato l’aveva informata della perquisizione domiciliare,
e poi nella serata successiva l’imputato le aveva spiegato di aver ucciso anche
Tatone Pasquale, perché aveva capito chi aveva ucciso suo fratello Emanuele.
La donna, obbedendo alla intimazione dell’imputato, era tornata a vivere con
lui, ma dopo aver trovato in casa una microspia, collocata dalla Questura
secondo quanto le aveva detto l’imputato, aveva deciso di trasferirsi
definitivamente dai suoi genitori.
La teste aveva anche aggiunto che all’epoca l’imputato operava nel traffico
di stupefacenti; in particolare, egli acquistava cocaina da due soggetti calabresi,
e parte la cedeva ai Tatone, parte la vendeva tramite suoi collaboratori; con i
Tatone, l’imputato avrebbe avuto un accordo per la suddivisione delle zone di
competenza.
La sentenza di primo grado ha valutato la soggettiva credibilità della teste
Calvaresi ( pagg. 77-87) ed ha compiuto una verifica di quanto riferito, de relato,

19.12.2013, nell’incidente probatorio.

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dalla teste Calvaresi in ordine agli omicidi del 27 ottobre al fine di verificarne
l’attendibilità, e con riguardo alle seguenti circostanze:
* il percorso dal bar di piazza Lopez sino alla zona degli orti;
* la successione degli omicidi: prima quello di Tatone Emanuele, poi quello
del Simone, rimasto vicino all’auto;
* l’orario del rientro dell’imputato a casa.
Le indagini avevano consentito di verificare che l’imputato aveva in uso uno
scooter Honda SH tg. B84240, trovato dalla polizia giudiziaria presso l’abitazione

medesimo motociclo, dalle riprese delle telecamere, a volte si presentava di
colore grigio e in altre occasioni di colore bianco.
Solo dopo l’arresto del Benfante gli investigatori avevano individuato un
garage nella sua disponibilità, sito in via Lagarina 44 ( sempre nel medesimo
quartiere), dove venivano rinvenuti pezzi di ricambio per scooter Honda SH.
La Corte di assise ha quindi individuato il movente degli omicidi nella volontà
dell’imputato di gestire in proprio l’intero traffico di stupefacenti nel quartiere,
senza più dividerlo con i Tatone.
Il dato era desumibile dalle testimonianze che avevano indicato sia
l’imputato che i Tatone dediti allo spaccio di stupefacenti nella zona, sia anche gli
interventi dell’imputato, dopo gli omicidi, presso diversi spacciatori per indurli a
rifornirsi da lui.
La sentenza di primo grado ha, infine, ( pagg. 96 ss.) dato conto del
trattamento sanzionatorio.

2.2. L’atto di appello, articolato in unico motivo di gravame, aveva
impugnato i capi relativi alle statuizioni di condanna, in relazione ai seguenti
punti:
rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per l’assunzione della
testimonianza di Gatto Giorgio e di Calvaresi Desirè;

valorizzazione degli esiti negativi sia delle perquisizioni a casa

dell’imputato sia della prova dello stub;
– incompatibilità tempistica in relazione al fatto di cui al capo B, risultando
solo 14 minuti tra il momento dell’omicidio e il momento del rientro a casa
dell’imputato;
– collegamento a livello di movente tra i fatti omicidiari e il capo D, con la
conseguenza che alla estraneità dell’imputato rispetto agli omicidi deriverebbe
anche l’estraneità rispetto alla accusa di spaccio di stupefacenti.

dell’imputato nella notte fra il 30 e il 31.10.2013; peraltro, era emerso che il

La difesa dell’imputato aveva depositato anche memoria ai sensi dell’art.
art. 585 cod. proc. pen. e ulteriore memoria ai sensi dell’art. 121 cod. proc.
pen..

2.3. La sentenza di appello, dato conto della decisione impugnata e dei
motivi di gravame proposti ( pagg. 1-28), ha motivato la conferma delle
statuizioni di condanna evidenziando – premesso che la patologia ( morbo di
Parkinson) di cui era affetto l’imputato non era tale da impedirgli una piena

quanto al capo A:
– il fatto omicidiario andava collocato attorno alle ore 11.35 ( e non attorno
alle ore 11.45 come affermato dal primo Giudice) e quindi compatibilmente con
la presenza dell’imputato, che alle ore 11.41.20 si trovava vicino a casa sua,
come risulterebbe da un “aggancio” a cella telefonica sita in via Vialba 40 e da
un fotogramma in via Lessona;
– era riscontrata l’affermazione di Calvaresi Desirè che l’imputato, la mattina
del 27.10.2013, era rientrato a casa non prima delle ore 12.30, mentre
l’imputato non aveva dato alcun chiarimento di cosa avesse fatto tra le ore 11.41
( quando si trovava già vicino a casa) e le ore 12.30;
– in primo grado la difesa dell’imputato era decaduta dalla facoltà di
introdurre il teste Gatto Giorgio e non aveva mai rappresentato come decisiva
quella testimonianza;

nel giudizio di appello, tramite elaborato tecnico acquisito in

considerazione della non opposizione del pubblico ministero, la difesa aveva
sostenuto che l’aggancio alle ore 11.34 del pannello 394 della cella Wind di via
Vialba 70 sarebbe significativo della presenza dell’imputato nei pressi
dell’abitazione di Gatto Giorgio: la deduzione non sarebbe fondata in quanto,
data la prossimità della cella rispetto al luogo del delitto, la attivazione di uno
specifico pannello ( la cella ha tre pannelli, diversamente orientati) non sarebbe
significativo in relazione al luogo dove l’utenza si trova;
– l’utenza risultata in uso all’imputato era intestata a soggetto straniero;
– la ricerca di profilo genetico su un mozzicone di sigaretta rinvenuto sul
luogo del delitto non aveva rilievo, data la ampia frequentazione del luogo sia
prima che subito dopo il fatto;
– l’imputato aveva minacciato la signora Carla Perolfi per aver la stessa
affermato di ricordare la presenza dell’imputato la mattina del fatto presso lo
stesso bar dove si trovavano le vittime;
quanto al capo B:
– evidente e incontestato era il collegamento con l’omicidio del 27.10.2013;

autonomia anche di movimento – le seguenti circostanze:

- considerate le distanze tra i luoghi vi era compatibilità spazio temporale fra
la presenza dell’imputato sul luogo del fatto alle ore 22.39, il rimessaggio dello
scooter nel box di via Lagarina e il rientro in auto a casa per le ore 22.53 ( pagg.
40-41);
– la perquisizione domiciliare e la prova dello stub erano avvenuti a distanza
di 4 ore dal fatto, e un teste aveva notato che il killer aveva anche sigillato con
nastro adesivo la parte tra polso e guanti;
– l’imputato non aveva mai spiegato cosa avesse fatto quella sera, risultando

Con particolare riguardo alla testimonianza della signora Calvaresi Desirè, la
sentenza di appello ha osservato che non vi erano ragioni per disporne nuova
assunzione, che la difesa aveva collegato a quella di Gatto Giorgio; ha aggiunto
che l’imputato non aveva, nemmeno nelle dichiarazioni rese alla Corte di assise,
dato rilievo ai suoi contatti con Gatto Giorgio, ma si era limitato a individuare
nella gelosia della donna il motivo delle accuse; ha evidenziato la precisione e la
costanza delle rivelazioni della teste Calvaresi, e i riscontri forniti dalle
investigazioni.
Quanto alla condanna per il capo D, la sentenza di appello ha rilevato che la
condanna non era fondata sul collegamento a livello di movente con gli omicidi,
bensì su specifiche dichiarazioni della signora Calvaresi e di Tatone Mario,
riscontrate da risultanze investigative; la corte territoriale aggiungeva che per il
carattere abituale ed il livello intermedio doveva essere esclusa la tenuità del
fatto.
Infine la Corte ha motivato anche la conferma del trattamento
sanzionatorio.

3. Il ricorso per cassazione, presentato dal difensore dell’imputato, espone,
suddividendoli in tre paragrafi – relativi, rispettivamente, alla richiesta di
rinnovazione istruttoria, alla condanna per il capo A, e alla condanna per i capi B
e D – i motivi di seguito, sinteticamente, esposti.
Nel primo paragrafo, vengono denunciati :

la mancata assunzione di prova decisiva, in relazione alla mancata

assunzione della testimonianza di Gatto Giorgio;
– il difetto di motivazione in relazione al rigetto della richiesta di disporre
perizia sui tabulati telefonici;
– la mancata assunzione di prova decisiva e difetto di motivazione in ordine
al rigetto della richiesta di assunzione della testimonianza di Calvaresi Desirè.
Nel secondo paragrafo sono enunciati motivi relativi a:
– il difetto di motivazione in relazione alla valutazione della teste Femiano ;
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documentata la sua assenza da casa tra le ore 20.58 e le ore 22.53 .

- la violazione di norma processuale e difetto di motivazione in relazione alla
valutazione dei tabulati telefonici;

il difetto di motivazione in relazione alla circostanza costituita

dall’appuntamento fra l’imputato e Gatto Giorgio;
– il difetto di motivazione per travisamento della prova relativamente alla
sigaretta Marlboro rinvenuta sul luogo dei fatti;
– il difetto di motivazione in ordine all’orario del fatto;
– il difetto di motivazione per travisamento della prova in relazione alla

Nel terzo paragrafo i motivi riguardano:
il difetto di motivazione in relazione al presupposto logico del fatto di cui al
capo B;
il difetto di motivazione relativamente alla circostanza del percorso
compiuto dall’imputato;
il difetto di motivazione in relazione alla identificazione dello scooter
utilizzato dall’autore del fatto;
il difetto di motivazione sulla valutazione della teste Calvaresi;
la violazione di legge penale e difetto di motivazione in relazione alla
condanna per il capo C e alla mancata qualificazione del capo D ai sensi
dell’art. 73 co. 5 dpr 309/90.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato e va perciò respinto.
I motivi di impugnazione riguardano la formazione del compendio
probatorio e la motivazione del giudizio di colpevolezza in relazione ai reati
ascritti.

1. Quanto al compendio probatorio, i tre motivi, esposti nel primo paragrafo
del ricorso, riguardano la mancata integrazione dell’istruttoria da parte del
giudice di appello in relazione a circostanze tutte relative al giudizio di
responsabilità in ordine al capo A ( il duplice omicidio del 27 ottobre 2013).
Infatti, la testimonianza di Gatto Giorgio ( motivo primo) e la perizia sui
tabulati telefonici ( motivo secondo) concernono il contatto telefonico che
l’imputato aveva avuto con l’utenza del Gatto alle ore 11.34 di quel giorno, e
quindi le prove riguardano la localizzazione dell’imputato in orario coincidente
con quello dell’omicidio, mentre la testimonianza di Calvaresi Desirè ( motivo
terzo) avrebbe ad oggetto l’orario di rientro dell’imputato a casa la mattina del
27 ottobre 2013.

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testimonianza Bonfanti.

Si deve precisare che i motivi primo e terzo deducono sia il vizio di carente
motivazione che quello di mancata assunzione di prova decisiva, mentre il
motivo secondo riguarda unicamente il vizio motivazionale.
1.1. Con riferimento alla censura ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. d),
cod. proc. pen., se ne deve affermare la inammissibilità.
Nel giudizio di appello la difesa aveva chiesto la rinnovazione dell’istruttoria
dibattimentale, finalizzata alla assunzione delle prove sopra indicate, e l’istanza
doveva essere valutata secondo il criterio della necessità ai fini della decisione, ai

La giurisprudenza ha chiarito che la mancata rinnovazione in appello della
istruttoria non è autonomamente censurabile in sede di legittimità ai sensi
dell’art. 606, comma 1 lett. d), cod. proc. pen., ma solamente in quanto la
conseguente lacuna istruttoria concorra a determinare la manifesta illogicità
della motivazione di merito.
In particolare, i provvedimenti ( negativi) inerenti l’integrazione
probatoria possono essere impugnati, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. d,
cod. proc. pen., solo se si tratta di prova “decisiva” a discarico ( per il
riferimento alla norma di cui all’art. 495, comma 2, cod. proc. pen. ), sia nel
caso di prova a discarico non ammessa né in primo grado che in appello, sia nel
caso di prova a discarico nuova, sopravvenuta o scoperta dopo la sentenza di
primo grado, chiesta in appello e non ammessa; mentre nel caso di prova diretta
decisiva, la mancata assunzione potrà dar luogo alla censura di cui all’art. 606,
comma 1 lett. e), cod. proc. pen. con riferimento alla motivazione dell0 giudizio
di colpevolezza.
1.2. Con riferimento alla doglianza relativa alla motivazione del
provvedimento di rigetto adottato dalla Corte di assise di appello, i tre motivi
risultano manifestamente infondati.
La difesa non propone alcuna specifica censura in ordine alla struttura
della motivazione del rigetto della richiesta della difesa, decisione che risulta
ampiamente motivata dalla sentenza impugnata, alle pagine 32-37 e 45-46.
In realtà, gli argomenti svolti dal ricorso nei tre motivi riguardano, invero,
la motivazione del giudizio di colpevolezza in ordine al capo A, e non la
motivazione della decisione di rigetto della richiesta di rinnovazione
dell’istruttoria dibattimentale.
I motivi esaminati verranno quindi considerati nell’esame delle doglianze
che riguardano la motivazione della condanna per il capo A.

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sensi dell’art. 603, comma 1, cod. proc. pen. .

2. I motivi esposti nel secondo paragrafo ( e anche quelli del primo, per i
rilievi appena svolti) riguardano la motivazione del giudizio di colpevolezza in
ordine al capo A ( duplice omicidio in data 27 ottobre 2013).
Le censure sono attinenti a diversi passaggi della motivazione di
condanna, relativi ai fatti precedenti, contestuali e immediatamente successivi al
duplice omicidio.

2.1. Quanto alla mattinata del 27 ottobre 2013, il quarto motivo evidenzia

base della testimonianza della signora Femiano Rosa, madre dei fratelli Tatone,
che l’imputato si era recato presso l’abitazione della famiglia Tatone nella
mattinata del 27 ottobre 2013, quella di appello, invece, aveva ritenuto
inattendibile la testimonianza della signora Femiano e quindi ritenuto
indimostrato l’accesso dell’imputato presso l’abitazione dei Tatone.
La sentenza di primo grado aveva esaminato la testimonianza della
signora Femiano alle pagine 27-30, valorizzandola al fine di dimostrare che
l’imputato e le vittime avevano avuto contatti anche prima di dirigersi agli orti di
via Vialba.
Il tema relativo alla attendibilità della testimonianza della signora
Femiano non era stato posto né dall’atto di appello né dalla memoria di motivi
nuovi, ma solo nella memoria presentata ai sensi dell’art. 121 cod. proc. pen. .
La sentenza di appello ( pag. 32) si è limitata a osservare che la
testimonianza Femiano non aveva portato un contributo specifico, in quanto era
stato aliunde provato che l’imputato e le due vittime si fossero incontrati quella
mattina.
Il motivo sostiene esservi un diverso accertamento, su questo specifico
punto, nelle due sentenze di merito, ma in realtà così non è, in quanto la
sentenza di appello si limita a rilevare che in ordine al fatto che, quella mattina,
l’imputato e le vittime si fossero incontrati anche in luoghi diversi dagli orti vi
erano anche altre prove, di tal che risultava irrilevante considerare la
attendibilità o meno della teste Femiano.
Inoltre, il motivo, comunque, non esplicita quale vulnus deriverebbe, dal
preteso diverso accertamento, alla struttura logica della motivazione della
sentenza di appello.
Si tratta quindi di motivo formulato genericamente e comunque
manifestamente infondato.

2.2. I motivi secondo e quinto, relativi ai dati desumibili dal traffico
telefonico dell’utenza in uso all’imputato, sostengono che il giudice di appello

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che, mentre la sentenza di primo grado aveva ritenuto che fosse accertato, sulla

avrebbe affermato non esservi prova della presenza dell’imputato presso gli orti
di via Vialba nell’orario del duplice omicidio e ciò renderebbe contraddittoria la
successiva affermazione della penale responsabilità dell’imputato in ordine al
capo A.
Ora, le sentenze di merito hanno evidenziato che l’utenza cellulare in uso
all’imputato aveva avuto, alle ore 11.34 del 27 ottobre 2013, un contatto con
l’utenza in uso a tale Gatto Giorgio, attivando la cella telefonica sita in via Vialba
70; il primo giudice ( pag. 46) aveva precisato che era stato attivato il settore

appello ( pag. 34) ha rettificato l’accertamento della Corte di assise, precisando
che la cella di via Vialba 70 constava di tre settori e il settore attivato ( il n. 394)
era rivolto a sud ovest, e quindi in direzione opposta rispetto alla zona del fatto.
Il ricorso sostiene, da una parte ( motivo secondo), che sarebbe stato
necessario un approfondimento tecnico al fine di giungere a individuare il luogo
dove l’imputato si era trovato nel momento di quel contatto telefonico, e,
dall’altra ( motivo quinto), che la riconosciuta assenza di prova circa la presenza
dell’imputato nel luogo e al momento del fatto contraddice l’affermazione di
penale responsabilità per lo stesso fatto.
Il motivo è infondato.
Se è vero che dalla attivazione della cella telefonica sita in via Vialba 70
non si può dedurre la prova diretta della presenza dell’imputato, alle ore 11.34,
presso gli orti di via Vialba, si deve anche rilevare che le sentenze di merito non
hanno ritenuto accertato quel fatto ( la presenza dell’imputato agli orti alle ore
11.34) esclusivamente sulla base della localizzazione desumibile da quel contatto
telefonico.
Piuttosto, le sentenze di merito hanno affermato quel fatto ( e la penale
responsabilità dell’imputato per il duplice omicidio) sulla base della testimonianza
di Calvaresi Desirè, rispetto alla quale i dati ricavabili dalla attivazione di quella
cella telefonica risultano essere in termini di compatibilità.
Infatti, è stato indicato, come dato documentato e pacifico, che il luogo
dell’omicidio si trova a distanza ravvicinata ( m. 340) dalla cella telefonica di via
Vialba 70 e quindi l’attivazione di quella cella è sicuramente compatibile con la
localizzazione dell’imputato agli orti della medesima via.
La precisazione circa il diverso orientamento dei tre settori che
compongono la cella non richiede un approfondimento tecnico, dato che, come
rilevato dalla sentenza di appello ( pag. 36) senza contestazioni dalla difesa, il
luogo dell’omicidio si trova nella zona di massima rilevazione del segnale da
parte di ciascuno dei tre settori della cella telefonica.

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394 di quella cella, specifico rispetto al luogo del duplice omicidio; la sentenza di

Dunque, la perizia tecnica chiesta in appello non era i necessaria e il dato
ritt:nt

,rt

storico ( l’imputato ha attivato la cella telefonica c1 -1-e — trovandosi

sui luogo

dell’omicidio,í avrebbe attKraTo) che le sentenze di merito hanno desunto dalla
localizzazione della cella telefonica attivata dall’utenza dell’imputato alle ore
11.34 non è affatto in contraddizione con l’ulteriore accertamento compiuto (
l’imputato si trovava sul luogo dell’omicidio), essendo, invece, del tutto coerente.

2.3. I motivi primo e sesto, relativi alla testimonianza di Gatto Giorgio,

Gatto Giorgio, avvenuti la mattina del duplice omicidio e anche in coincidenza
temporale con lo stesso, sarebbe desumibile, per massima di esperienza, che i
due uomini stavano per incontrarsi di persona e ciò sarebbe incompatibile con
l’affermazione di penale responsabilità relativamente al duplice omicidio.
La sentenza di primo grado ( pag. 46) menziona i seguenti contatti
telefonici tra le utenze dell’imputato e di Gatto Giorgio: alle ore 8.41, 10.52,
11.05, 11.10, 11.13, 11.34.
Il ricorso, rilevato il crescendo della frequenza di contatti e il reciproco
avvicinamento, desumibile dal fatto che negli ultimi contatti le due utenze
attivavano la medesima cella telefonica, ne deduce che i due soggetti avessero
intenzione di incontrarsi, valorizzando la massima di esperienza secondo cui due
persone che hanno frequenti contatti telefonici nella medesima area geografica
stanno concordando un incontro.
Questo dato probatorio, che il giudice di appello non aveva vagliato con la
testimonianza di Gatto Giorgio richiesta dalla difesa e non ammessa dalla Corte
di assise di appello, secondo il ricorrente, sarebbe incompatibile con
l’accertamento di responsabilità dell’imputato.
Si deve rilevare che né l’atto di appello né la memoria di motivi nuovi
avevano sostenuto che vi fosse la prova della intenzione dell’imputato e di Gatto
Giorgio di incontrarsi: la difesa, negli atti di gravame, aveva sostenuto che
l’imputato si trovasse nei pressi dell’abitazione del Gatto ( sita in via Valvassina
20, pure nel medesimo quartiere ) già dalle ore 11.13 e che il teste Gatto
avrebbe dovuto spiegare il motivo di quei contatti con l’imputato.
Con il ricorso per cassazione la difesa applica una massima di esperienza,
ma in maniera impropria.
Se è vero, infatti, che due persone che vogliono incontrarsi utilizzano il
telefono per accordarsi, il dato, ulteriore, costituito dalla pluralità di contatti
telefonici ravvicinati risulta congruo in una situazione in cui i due soggetti ( o
almeno uno di essi) non conoscano bene la zona dell’incontro, così da rendere
necessari più contatti per individuare il luogo prefissato.
12

sostengono che dal numero e frequenza dei contatti telefonici tra l’imputato e

Nel caso in esame, invece, i due soggetti si trovavano nel quartiere dove
abitavano e quindi per fissare un appuntamento sarebbe stato loro sufficiente un
solo contatto telefonico.
Si tratta di rilévo svolto anche dalla sentenza di appello ( a pag. 37),
rispetto al quale il ricorso non formula alcuna considerazione critica.
Dunque, dal numero e dalla frequenza dei contatti telefonici fra l’imputato
e Gatto Giorgio non si può ritenere provata l’intenzione dei due di incontrarsi e
quindi non vi è un accertamento che possa essere ritenuto incompatibile con

La testimonianza di Gatto Giorgio risulta dunque meramente esplorativa e
su una circostanza ( il motivo dei contatti telefonici e cosa si fossero detti in quei
contatti) che non rileva ai fini dell’accertamento di merito nel presente
procedimento.
Si deve aggiungere che, per sostenere la richiesta di rinnovazione
dell’istruttoria dibattimentale formulata con l’atto di appello dalla difesa, è stato
esibito il verbale delle sommarie informazioni testimoniali rese dal Gatto nelle
indagini preliminari: la sentenza impugnata ( da pag. 33) rileva – e sul punto il
ricorso non propone alcun rilievo critico – come dal contenuto di quel verbale non
emerga alcuna circostanza di rilievo, avendo il teste riferito di non ricordare per
quale motivo avesse contattato il Benfante quel giorno.
La richiesta della difesa è stata quindi legittimamente respinta dal giudice
di appello, trattandosi di prova non rilevante né, tanto meno, necessaria ai fini
della decisione.
I motivi esaminati risultano quindi infondati.

2.4. Il motivo ottavo, relativo alla determinazione dell’ora del delitto,
rileva che la sentenza di appello aveva ritenuto di accertare l’orario del fatto alle
ore 11.35, diversamente dal primo giudice che aveva, invece, ritenuto che il
fatto fosse stato commesso alle 11.45, e sostiene che la sentenza di appello
avrebbe fondato tale diverso accertamento sulla testimonianza di Di Mauro
Manlio, ritenuto teste maggiormente credibile rispetto al teste Contessa, invece
“preferito” dalla Corte di assise, senza però fornire adeguata motivazione di tale
giudizio.
In realtà, nessuna delle sentenze di merito ha inteso compiere un
accertamento preciso circa l’orario esatto del duplice omicidio; il primo giudice
aveva ritenuto che il fatto fosse avvenuto “… intorno alle ore 11.45 …” ( vedi
pagg. 11 e 17), mentre il giudice di appello ha ritenuto che fosse stato
commesso “… attorno alle 11.35 …” ( pag. 29).

13

l’affermazione di penale responsabilità.

L’accertamento dell’orario del duplice delitto risulta approssimativo, in
quanto – secondo quel che risulta dalla sentenza di primo grado – i due cadaveri
sono stati scoperti alle ore 13.50; la moglie di Simone Paolo aveva riferito di
aver telefonato al marito dopo mezzogiorno, senza ricevere risposta; le vittime e
l’imputato erano stati visti lasciare il bar sito in piazza Lopez attorno alle ore 11;
i due testi Di Mauro e Contessa, che erano impegnati a lavorare nel rispettivo
orto, avevano riferito di aver udito alcuni colpi di pistola: il primo indicava come
orario” intorno alle 11.30″, il secondo diceva” un po’ prima delle ore 12″.

non ha consentito un accertamento preciso, ma solo approssimativo in quanto vi
è certezza solo sulla “fascia oraria” in cui era avvenuto: tra le ore 11.30 e
mezzogiorno.
Le sentenze di merito, infatti, hanno riconosciuto l’incertezza dei dati a
disposizione, come è desumibile dall’utilizzo dell’avverbio di tempo ” intorno “,
“attorno “.
Per quanto è desumibile dagli elementi probatori specifici in relazione
all’orario del duplice omicidio, le sentenze di merito non hanno compiuto un
diverso accertamento, come risulta evidente dalla prossimità ( dieci minuti) dei
due riferimenti temporali indicati.
Dunque, l’inadeguatezza motivazionale segnalata dalla difesa non
sussiste, in quanto entrambe le sentenze di merito collocano il duplice omicidio
nella fascia oraria tra le 11.30 e mezzogiorno, accertamento rispetto al quale la
difesa non ha mai proposto alcun rilievo critico.
Il motivo risulta quindi infondato.

2.5. Il motivo settimo sostiene che la sentenza di appello sarebbe incorsa
in travisamento della prova relativamente alla sigaretta Marlboro rinvenuta sul
luogo dei fatti.
La difesa aveva formulato solo nella memoria difensiva – non nell’atto di
appello né nella memoria di motivi nuovi – l’assunto secondo cui, dal
ritrovamento sul luogo del delitto di un mozzicone di sigaretta “Marlboro rossa”,
dalla negatività della successiva ricerca del dna, dunque non attribuibile a
persone coinvolte nel procedimento, e dal ritrovamento addosso a Emanuele
Tatone di un pacchetto di sigarette “Marlboro rossa” sarebbe desumibile
l’accertamento del fatto che la vittima Emanuele Tatone aveva, nel contesto in
cui poi sarebbe conseguito il suo omicidio, lavreb-bq offerto una sigaretta
Marlboro rossa alla persona che sarebbe poi stato il suo assassino, persona che,
considerato l’esito negativo della ricerca del dna, non potrebbe essere
identificata nell’imputato.

14

Dunque, il compendio probatorio specifico in ordine all’orario del delitto

La sentenza di appello ( pag. 38) ha affermato che il mozzicone di cui
trattasi sarebbe di sigaretta ” Marlboro” e non di quella particolare tipologia
denominata “Marlboro rossa”.
Il ricorso sostiene che il giudice di appello non avrebbe considerato la
foto, in atti, di questo mozzicone, foto dalla quale sarebbe ben visibile un certo
particolare ( assenza sopra il filtro di una linea orizzontale), caratteristico solo
delle sigarette “Marlboro rossa”.
Si deve rilevare che il ricorrente contesta l’accertamento compiuto dal

una deduzione compiuta dallo stesso ricorrente ( nel mozzicone non è visibile la
linea sopra il filtro, ergo è una “Marlboro rossa”), e non risultante dagli atti.
Il ricorso quindi fonda il motivo su un accertamento di merito ( le
sigarette ” Marlboro rossa” sono le uniche prive di linea sopra il filtro) assente
dal compendio probatorio utilizzabile.
Inoltre, si tratta di accertamento del tutto irrilevante, in quanto l’assunto
difensivo si fonda su una circostanza ( quel mozzicone di “Marlboro rossa” è
residuo di sigaretta proveniente dal pacchetto trovato addosso alla vittima
Emanuele Tatone) non dimostrata, e nemmeno probabile, dato che si discute di
sigarette diffuse in commercio e considerato che il mozzicone è stato rinvenuto
in luogo pubblico.
Il motivo proposto risulta dunque manifestamente infondato.

2.6. Il motivo nono denuncia travisamento della prova costituita dalla
testimonianza Bonfanti.
Il ricorso evidenzia che il giudice di appello aveva affermato che l’imputato,
pur affetto da morbo di Parkinson, non aveva compromesse le capacità di
movimento, accertamento che non avrebbe considerato quanto testimoniato
dalla signora Bonfanti Francesca, che aveva riferito che in una occasione aveva
dovuto ella spostare il motorino dell’imputato, che le aveva rappresentato di non
esserne in grado perché affetto da morbo di Parkinson.
La sentenza di appello ha risposto al rilievo, concernente la scarsa agilità
dell’imputato, che la difesa aveva proposto solo con la memoria difensiva
presentata in appello, e non con l’atto di appello né con la memoria ai sensi
dell’art. 585 cod. proc. pen. .
In particolare, il giudice di appello ha sostenuto ( pag. 28) che la accertata
patologia dell’imputato ( morbo di Parkinson) non aveva comportato nel
Benfante una significativa invalidità, tale da apparire incompatibile con le
concrete modalità degli omicidi de quibus.

15

giudice di appello ( si trattava di mozzicone di sigaretta “Marlboro”) sulla base di

Tale affermazione è stata dalla corte di assise di appello fondata sulla
testimonianza di chi aveva visto l’imputato coltivare il suo orto, sulle annotazioni
della polizia giudiziaria, che danno atto dei movimenti dell’imputato, visto
camminare, utilizzare mezzi pubblici, guidare auto e motoveicoli.
La testimonianza Bonfanti prova che in quella circostanza l’imputato aveva
preferito che fosse la signora Bonfanti a spostare il motoveicolo, ma tale fatto
non prova che l’imputato non fosse in grado di utilizzare un motoveicolo,
circostanza ampiamente documentata anche dalle riprese del sistema di video

Il motivo risulta quindi manifestamente infondato.

2.7. Il ricorso si occupa della testimonianza di Calvaresi Desirè nei motivi
terzo e tredicesimo.
Il terzo motivo denuncia la mancata assunzione di prova decisiva e il
difetto di motivazione in ordine al rigetto della richiesta di assunzione della
testimonianza di Calvaresi Desirè.
Il motivo viene esaminato sotto il profilo della logicità della motivazione
nonostante la mancata ri-assunzione della testimonianza di Calvaresi Desirè .
Il motivo tredicesimo si collega espressamente al motivo terzo e sostiene
che dalla inattendibilità oggettiva della testimonianza ( „…

pesantissima

contraddizione tra le dichiarazioni della donna e i dati oggettivi, ovvero i risultati
delle video riprese …”) dovrebbe derivare la non credibilità della teste in ordine a
tuttiifatti oggetto del procedimento.

2.7.1. Nell’atto di appello la difesa aveva chiesto la rinnovazione
dell’istruttoria per l’assunzione della teste Calvaresi sia per consentire un nuovo
contro esame della teste, sia “… perché le sue dichiarazioni dovranno essere
confrontate con quelle di Gatto Giorgio”.
Va precisato che la teste Calvaresi è stata assunta in incidente probatorio
e quindi nel contraddittorio delle parti.
La istanza istruttoria della difesa, per quanto concerne la testimonianza
Calvaresi in relazione ai fatti del 27 ottobre 2013, è articolata come collegata a
quella, principale, relativa all’esame del teste Gatto, prova che legittimamente,
come sopra esposto, il giudice di appello ha ritenuto non necessaria.

2.7.2. Il ricorso sostiene che nel corso della discussione del giudizio di
appello la difesa aveva evidenziato la prova che l’imputato era rientrato a casa
alle ore 11.41 e che la motivazione data dalla corte di assise di appello, sulla
compatibilità tra la testimonianza di Calvaresi Desirè, in punto orario di rientro a
16

sorveglianza.

casa dell’imputato, e la documentazione attestante il transito dell’imputato in via
Lessona alle ore 11.41, fosse manifestamente illogica.
La deduzione viene motivata con riferimento alla inverosimiglianza
dell’ipotesi che l’imputato, dopo il duplice omicidio, si sarebbe recato prima verso
casa e poi nel garage di via Lagarina.
Dunque, il motivo non denuncia un travisamento di prova per contrasto
tra l’accertamento compiuto e quanto risulta da un certo elemento probatorio,
bensì la illogicità della motivazione per aver ritenuto verosimile che l’imputato,

Ora, la motivazione della sentenza impugnata, nel fare applicazione della
massima di esperienza secondo cui conviene all’autore di un duplice omicidio
depositare l’arma e altre cose connesse al delitto in un luogo noto solo a lui e
quindi dove le forze di polizia non avrebbero potuto compiere una perquisizione,
risulta del tutto conforme alla logica.
Il ricorso, poi, non si confronta con gli ulteriori elementi valorizzati dal
giudice di appello come significativi della attendibilità della teste Calvaresi in
ordine all’orario in cui l’imputato era rientrato a casa: si tratta di due sms ( delle
ore 12.21 e 12.33) che riscontrano la teste Calvaresi in ordine al rientro del
Benfante non prima delle ore 12.30.
La sentenza impugnata ha poi dato specifica motivazione, alle pagg. 4648, in ordine alla credibilità della testimonianza Calvaresi, senza alcuna censura
da parte del ricorrente.
Il motivo proposto risulta quindi, in relazione alla adeguatezza della
motivazione, manifestamente infondato.

3.

I motivi esposti nel terzo paragrafo del ricorso riguardano la

motivazione del giudizio di colpevolezza in ordine al capo B (omicidio di Pasquale
Tatone in data 30 ottobre 2013).
Le censure sono attinenti alla principale prova diretta ( teste Calvaresi) e
agli indizi a carico dell’imputato, di natura oggettiva e logica.

3.1. Il motivo tredicesimo estende le censure sulla testimonianza di Calvaresi
Desirè anche in relazione all’omicidio di cui al capo B.
I rilievi già esposti hanno condotto al giudizio di manifesta infondatezza del
motivo.

3.2. I motivi undicesimo e dodicesimo, attinenti alla motivazione della
sentenza impugnata, riguardano elementi oggettivi del fatto: la compatibilità fra

17

dopo essersi diretto verso casa, si fosse poi diretto nel garage di via Lagarina.

l’orario dell’omicidio e l’orario in cui l’imputato è rientrato a casa quella sera; lo
scooter utilizzato dall’assassino .

3.2.1. Quanto al primo aspetto, si deve considerare che, pacificamente,
l’omicidio, con l’autore a bordo di scooter, è avvenuto in via Pascarella alle ore
22.39 e che l’imputato è rientrato, in auto, a casa in via Lessona alle ore 22.53;
inoltre, posto che la perquisizione domiciliare effettuata la stessa notte aveva
dato esito negativo, in tesi di accusa si era valorizzato la disponibilità in capo

L’atto di appello aveva evidenziato la ” …

eccessiva ristrettezza dell’arco

temporale …” nel corso del quale l’imputato avrebbe dovuto cambiare abiti,
nascondere arma e scooter, rientrare a casa.
La sentenza di appello ( pag. 41) ha osservato che all’imputato non sarebbe
stato necessario entrare nel garage di via Lagarina prima di tornare a casa, ma
avrebbe anche potuto lasciare lo scooter, rientrare in auto e quindi, in un
momento successivo, portare lo scooter nel garage di via Lagarina; ha aggiunto
che, comunque, i 14 minuti in questione sarebbero stati sufficienti per entrare
nel garage di via Lagarina, lasciarvi scooter, arma e abiti, e quindi rientrare a
casa in auto.
Questa seconda affermazione viene dalla sentenza di appello fondata sul
rilievo della distanza tra via Pascarella e via Lagarina ( 1,5 km) e del mezzo a
disposizione dell’assassino ( scooter).
Il ricorso ha sostenuto che il giudice di appello, così motivando, avrebbe
travisato la prova costituita da una elaborazione dei tempi di percorrenza
effettuata dal pubblico ministero in primo grado, secondo la quale per compiere il
tragitto via Pascarella – via Lagarina – via Lessona sarebbero stati necessari 13
minuti, una tempistica, tenuto conto del tempo occorrente per entrare nel
garage e cambiarsi, incompatibile con i dati oggettivamente accertati.
Ora, lo stesso ricorso rileva che era stato il giudice di primo grado ( alle pagg.
60 e 92) a valorizzare quella elaborazione di tempi di percorrenza, concludendo
per la compatibilità fra il giudizio di responsabilità dell’imputato e i dati oggettivi
in esame.
Il gravame presentato non aveva formulato alcuna specifica critica sul punto.
D’altra parte, la Corte di assise aveva avuto la cura di precisare che quella
tempistica era stata calcolata utilizzando come parametro una media oraria di
km 25, ed era quindi suscettibile di essere ridotta in funzione di una velocità
media più alta.
Le sentenze di merito hanno espresso un giudizio di compatibilità tra l’orario
dell’omicidio e l’orario in cui l’imputato è stato visto rientrare a casa, e in ordine

18

all’imputato di garage sito in via Lagarina.

a tale compatibilità non vi sono contestazioni, essendo pacifico che via Pascarella
( luogo dell’omicidio) e via Lessona ( indirizzo dell’abitazione dell’imputato) si
trovano nel medesimo quartiere cittadino.
Tale compatibilità rimane indiscussa anche se si considera l’operazione di
cambio del veicolo.
La difesa ha introdotto il tema della incompatibilità rispetto ai tempi occorrenti
per recarsi nel garage di via Lagarina e cambiare gli abiti.
La sentenza di appello, peraltro, ha già evidenziato che il transito per il

ulteriore, secondo cui l’imputato avrebbe potuto abbandonare altrove lo scooter,
rientrare a casa e quindi far sparire arma e abiti bagnati prima della
perquisizione compiuta dalla polizia giudiziaria alle ore 1.00 di quella notte.
Le sentenze di merito si sono limitate ad un giudizio di compatibilità del
contesto spazio-temporale, e, in questa prospettiva, la motivazione risulta
ineccepibile da punto di vista logico e della corrispondenza rispetto agli elementi
probatori disponibili, senza giungere ad un accertamento oggettivo – che
avrebbe costituito ulteriore prova a carico dell’imputato, ma di tale prova non vi
è traccia nelle sentenze di merito – del fatto che l’autore dell’omicidio di via
Pascarella fosse andato a nascondere lo scooter e l’arma nel garage di via
Lagarina.
Il motivo proposto risulta dunque infondato.

3.2.2. Quanto allo scooter utilizzato dall’autore del reato, il ricorso sostiene
che la sentenza di appello avrebbe dato una motivazione illogica.
La sentenza di appello ( pagg. 43-44) si sofferma sul tema della
identificazione di questo scooter come uno di quelli in uso all’imputato, con una
motivazione che il ricorso sostiene essere illogica, nella parte in cui dà credito a
testi de relato vicini alla famiglia Tatone e non crede al teste diretto, indifferente
rispetto ai soggetti coinvolti, e laddove afferma che lo scooter utilizzato
dall’omicida fosse lo scooter SH 300 in uso all’imputato.
Si deve precisare che le sentenze di merito non hanno affermato che l’autore
dell’omicidio si trovasse a bordo di scooter di proprietà ovvero in uso
all’imputato.
La sentenza di primo grado ha rilevato che, dalle riprese delle telecamere, era
risultata la presenza di uno scooter che aveva affiancato l’auto dove si trovava la
vittima, ed era quindi accertato che l’assassino avesse utilizzato uno scooter;
inoltre, dalle indagini era risultato che l’imputato utilizzava abitualmente uno
scooter Honda SH tg. B84240, rinvenuto dalla polizia giudiziaria a casa
dell’imputato nel corso della perquisizione.
19

garage di via Lagarina è solo una ipotesi, cui può essere affiancata quella

La prima sentenza dunque ha evidenziato, dopo aver enumerato gli elementi
di prova generica relativi all’omicidio del 30 ottobre 2013 ( pagine 53-57), che”
… gli elementi ora descritti non permettono di per sè un’identificazione sicura
dell’autore dell’omicidio in Ben fante, pure rappresentano elementi che
concorrono tutti ad esprimere un giudizio di compatibilità rispetto all’imputato
delle diverse circostanze che dall’istruttoria è emerso aver caratterizzato il killer
di Tatone Pasquale”.
L’atto di appello ha contestato, sin dall’esordio, proprio tale affermazione del

della negatività della perquisizione domiciliare e della prova dello stub.
Dunque, né l’atto di appello né la memoria ai sensi dell’art. 585 cod. proc.
pen. hanno formulato rilievi specifici in ordine al punto relativo allo scooter
utilizzato per questo omicidio.
Con la memoria difensiva presentata nel giudizio di appello la difesa ha
esaminato le diverse testimonianze che avevano riferito particolari sull’autore
dell’omicidio e sul motoveicolo, testimonianze che la Corte di assise aveva
riportato alle pagine 31-34.
In particolare la difesa ha evidenziato che la teste Selene Freddi aveva negato
di aver riconosciuto lo scooter dell’autore dell’omicidio in quello abitualmente
utilizzato dall’imputato.
La sentenza impugnata si sofferma sul punto, osservando che era stato
provato che l’imputato avesse a disposizione più di uno scooter Honda e che
fosse solito sostituire la carenatura, così che lo stesso motoveicolo in una
occasione risultava di un colore e in altra di diverso colore; aveva poi spiegato il
contrasto fra i testi de relato e il teste diretto con il clima di terrore che si era
diffuso nel quartiere dopo i tre omicidi.
Il ricorso sostiene la illogicità della motivazione del giudice di appello sia
laddove sostiene la credibilità dei testi de relato e non quella del teste diretto, sia
dove afferma che l’imputato aveva a disposizione più scooter Honda.
Si deve precisare che le sentenze di merito non hanno inteso accertare che
l’assassino avesse utilizzato scooter di proprietà o in uso all’imputato, il che
rA
U

sarebbe stato un indizio J grave e preciso.
La motivazione data dalle sentenze di merito in ordine al punto relativo
all’accertamento del motoveicolo utilizzato dall’autore dell’omicidio va letta nella
prospettiva correttamente esplicitata dal primo giudice, come un elemento di
compatibilità rispetto alla ipotesi accusatoria di responsabilità in ordine al fatto in
capo all’imputato, ipotesi fondata,

in primis, sulla testimonianza di Calvaresi

Desirè.

20

primo giudice, aggiungendo poi, nella terz’ultima pagina del gravame, il rilievo

Infatti, anche laddove la teste Freddi avesse confermato a dibattimento
quanto aveva dichiarato ad altri testi – cioè di aver riconosciuto lo scooter come
quello utilizzato da Benfante – si sarebbe trattato di testimonianza generica, in
quanto priva del riferimento a elementi individualizzanti, come il numero di targa
ovvero particolari distintivi, che consentano di formulare il riconoscimento di un
motoveicolo.
Le sentenze di merito hanno rilevato che era stata notata anche da testi la
presenza di uno scooter, elemento che, in quella fase investigativa, aveva

scooter.
Dunque, la motivazione relativa al punto attinente, non alla prova che
l’assassino aveva utilizzato lo scooter dell’imputato, bensì alla compatibilità tra il
motoveicolo utilizzato dall’autore dell’omicidio e quello abitualmente in uso
all’imputato risulta adeguata.
Quanto all’affermazione che l’imputato avesse in uso più motoveicoli tipo
scooter, il ricorso lo riconosce, precisando però che, al momento dell’omicidio, lo
scooter SH 150 si trovava a casa, mentre lo scooter SH 300 era stato rubato
all’imputato un mese prima.
Anche in ordine a tale circostanza, le considerazioni dei giudici di merito
non sono finalizzate ad un accertamento di fatto positivo, bensì a valorizzare
elementi logici congrui rispetto all’ipotesi accusatoria.
E’ stato infatti accertato che l’imputato aveva, all’epoca, la disponibilità di
una ulteriore autorimessa – quella sita in via Lagarina – non conosciuta alla
convivente, circostanza significativa dell’esigenza di aver un luogo dove custodire
beni in via riservata.
Dunque, nella prospettiva di evidenziare come gli elementi di prova
generica non fossero incompatibili con i dati attinenti alla persona dell’imputato in particolare, con la sua accertata capacità di guidare scooter – la motivazione
della sentenza impugnata risulta adeguata, esaustiva ed esente da vizi logici.
I motivi esaminati risultano dunque infondati.

3.3. Il motivo decimo deduce vizio di motivazione in relazione ai riscontri
di natura logica dell’ipotesi accusatoria in relazione al capo B.
Il ricorso esamina criticamente i riscontri logici valorizzati dal giudice di
appello: il movente, la mancanza di alibi.
Ora, nelle sentenze di merito i due argomenti logici indicati risultano
correttamente valorizzati.
Il primo costituisce un elemento di riscontro alla oggettiva attendibilità del
racconto della teste Calvaresi, avendo la teste riferito di aver appreso
21

giustificato sospetti verso l’imputato, che, notoriamente viaggiava a bordo di

dall’imputato che la causale dell’omicidio di Pasquale Tatone era connessa alla
convinzione che la vittima avesse compreso che l’imputato era stato il
responsabile del duplice omicidio di tre giorni prima.
Il secondo argomento è stato evidenziato dal giudice di appello all’esito
della verifica della compatibilità di tempi relativa all’omicidio, risultando palese
come l’imputato non avesse fornito alcuna indicazione circa le attività compiute
in quelle due ore scarse in cui, pacificamente, era rimasto fuori casa.
La sentenza di appello non ha inteso dedurre dal legittimo silenzio

di dare ampia ed esaustiva motivazione, che la verifica da compiere non doveva
confrontarsi con specifiche deduzioni provenienti dall’imputato.
Il motivo proposto risulta dunque infondato.

4. Il motivo quattordicesimo riguarda la condanna per il capo C e la
mancata qualificazione del capo D ai sensi dell’art. 73 co. 5 dpr 309/90.

4.1. Quanto alla imputazione relativa alla violazione della legislazione
sulle armi in occasione dei due fatti omicidiari, il ricorso si limita a evidenziare
come l’eventuale accoglimento dei motivi relativi alla condanna per i capi A e B
avrebbe dovuto comportare annullamento anche della condanna per il capo C.
I rilievi sopra esposti relativamente ai motivi concernenti la condanna per
gli omicidi determinano il rigetto anche del motivo concernente il capo C.

4.2. In ordine alla condanna per la violazione della normativa sugli
stupefacenti, il motivo denuncia difetto di motivazione, in ordine al ritenuto
livello “intermedio” della attività di spaccio, e violazione dell’art. 73, comma 5,
d.P.R. 309/90, in ordine al rilievo ostativo dato alla abitualità della condotta.
Si deve rilevare che nell’atto di appello non veniva dedotto alcun motivo
di gravame sul punto.
Quanto al livello della attività di spaccio condotta dall’imputato, le
sentenze di merito hanno evidenziato come l’imputato avesse un ruolo di
fornitore di droga ai soggetti incaricati dello spaccio ai consumatori, e quindi
precisa e puntuale è la motivazione attinente al ruolo “intermedio” tra i fornitori
di grandi quantità e gli spacciatori al minuto.
Quanto al profilo di diritto, la giurisprudenza ha chiarito che la valutazione
in ordine alla entità del fatto deve essere globale in relazione agli specifici
elementi indicati dalla norma incriminatrice.
In particolare, è stato chiarito che di per sé la abitualità dellaonività di
spaccio non è elemento ostativo al riconoscimento della fattispecie meno grave.

22

dell’imputato una ammissione di responsabilità, ma ha evidenziato, nello sforzo

Peraltro, nel caso in esame le sentenze di merito hanno valorizzato non
solo la ripetitività della condotta, ma anche il livello intermedio e il collegamento
con una pluralità di spacciatori, tutti elementi che concorrono nel qualificare il
fatto certamente non di lieve entità.
Il motivo proposto risulta dunque infondato.

5. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 19.12.2017.

delle spese processuali.

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