Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17999 del 29/03/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 17999 Anno 2018
Presidente: ROTUNDO VINCENZO
Relatore: MOGINI STEFANO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
REUT KRZYSZTOF ADAM nato il 03/09/1967 a BARTOSZYCE( POLONIA)

avverso la sentenza del 30/11/2017 della CORTE APPELLO di ROMA.
sentita la relazione svolta dal Consigliere STEFANO MOGINI;

sentite le conclusioni del PG ALFREDO POMPEO VIOLA che ha chiesto il rigetto
del ricorso.

Udito il difensore avvocato STANISCIA ANGELO del foro di ROMA difensore di
fiducia del ricorrente il quale insiste nell’accoglimento del ricorso con particolare
riferimento alla trasmissione dello stesso alle Sezioni Unite della Corte.

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Data Udienza: 29/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Reut Krzysztof ricorre per mezzo del suo difensore di fiducia avverso la sentenza con la
quale la Corte di appello di Roma ha dichiarato la sussistenza delle condizioni per l’accoglimento
della domanda di estradizione proposta nei suoi confronti dalla Polonia per l’esecuzione del
mandato di arresto del 14/9/2004 del Tribunale regionale di Olsztyn emesso sulla base della
sentenza pronunciata in data 28/11/2002, confermata dalla sentenza del Tribunale distrettuale
di Olszyn del 29/10/2003 e poi divenuta definitiva, in virtù della quale il ricorrente è stato

tentata, e per la quale deve ancora espiare la residua pena di un anno e otto mesi di reclusione.

2. Il ricorrente deduce con unico motivo di ricorso vizi di motivazione e erronea applicazione
di legge penale e processuale, dovendosi la pena inflitta con la sentenza cui si riferisce la
domanda di consegna estradizionale proposta dalle Autorità polacche ritenere estinta per il
decorso del termine decennale previsto dall’art. 172 cod. pen., decorrente dalla sentenza di
appello del 29/10/2003.
Nel caso di specie non opererebbero infatti cause di sospensione di tale termine, unicamente
riferibili alla pronunzia di condanna e non all’attività cui si riconnette la possibile inerzia, posta
in essere dagli organi deputati all’esecuzione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è manifestamente infondato e deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
La sentenza impugnata dà infatti corretta applicazione al principio di diritto secondo il quale,
in tema di estradizione per l’estero, il termine finale per il calcolo della prescrizione della pena
inflitta con la sentenza di condanna costituente titolo per l’attivazione della procedura di
estradizione è rappresentato dalla data di presentazione della richiesta di estradizione e non da
quella di emissione della sentenza con cui la corte di appello dichiara sussistenti le condizioni
per il relativo accoglimento (Sez. 6, n. 44604 del 15/09/2015, Wozniak, Rv. 265454).

condannato alla pena di cinque anni e sei mesi di reclusione per plurimi reati di estorsione

Quindi, nel caso di specie – posto che il “dies a quo”, ai sensi dell’art. 172, comma quarto,
cod. pen., si individua nel giorno in cui la sentenza è divenuta irrevocabile o in quello in cui il
condannato si è volontariamente sottratto alla sua esecuzione, se già iniziata – il termine iniziale
deve essere fissato in data comunque non antecedente il 29/10/2003, giorno nel quale è stata
pronunciata nei confronti del ricorrente la sentenza di appello, mentre quello finale corrisponde
alla data di presentazione della richiesta di estradizione, avvenuta il 23/7/2008.
Ne discende che a tale ultima data non risultava dunque trascorso il termine minimo
decennale previsto dal citato art. 172, comma 1, cod. pen. e che del tutto inconferente appare
il richiamo a cause di sospensione di quel termine, in vero non sussistenti e in ogni caso, per
quanto sopra argomentato, del tutto irrilevanti. Altrettanto inconferente al caso di specie deve

(

ritenersi il richiamo operato dal ricorrente a precedente decisione di questa Corte
(Sez. 6, n. 21627 del 29/04/2014, Antonszek, Rv. 259700) che riguarda fattispecie concreta
diversa da quella in esame.

Conseguono a carico del ricorrente le pronunce di cui all’art. 616 cod. proc. pen.,
ravvisandosi, in ragione dei motivi dedotti, profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità del ricorso (Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000). Va pertanto
equitativamente fissata in euro duemila la somma da versare alla Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 203 Disp. att. cod. proc. pen.

Così deciso il 29 marzo 2018.

La Cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 203 Disp. att. cod. proc. pen.

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