Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17998 del 20/03/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 17998 Anno 2018
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: CRISCUOLO ANNA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BAGALA’ FRANCESCO nato il 13/03/1977 a GIOIA TAURO

avverso l’ordinanza del 02/05/2017 del TRIB. LIBERTA’ di REGGIO CALABRIA
sentita la relazione svolta dal Consigliere ANNA CRISCUOLO;
sentite le conclusioni del PG PAOLO CANEVELLI, che conclude per l’annullamento
con rinvio
Udito il difensore, avv. SURACE PATRIZIA, che insiste per l’accoglimento del
ricorso.

Data Udienza: 20/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Reggio Calabria ha confermato il decreto emesso il 30
gennaio 2017 dal G.i.p. del medesimo Tribunale con il quale era stato disposto
nei confronti, tra gli altri, di Bagalà Francesco il sequestro preventivo delle quote
sociali, dell’intero patrimonio aziendale e dei conti correnti e di altri strumenti
finanziari delle società LGF di Bagalà Francesco e Futura srl nonché il sequestro
preventivo di tutti i conti correnti, libretti di deposito, titoli e altri strumenti

ai reati di associazione di stampo mafioso, contestata al capo 1), associazione
per delinquere aggravata dall’art. 7 I. n.203/91, contestata al capo 3), e
numerosi reati di turbativa d’asta, frode in pubbliche forniture, falso e
corruzione, tutti aggravati dall’art. 7 l. n.203/91, emersi nell’ambito dell’indagine
cd. “cumbertazione”, che aveva svelato l’esistenza di un’associazione per
delinquere, facente capo ai membri della famiglia Bagalà di Gioia Tauro,
finalizzata alla sistematica alterazione e turbativa delle gare indette in ambito
regionale mediante la creazione di una rete di imprese, la corruzione di
funzionari infedeli e la concertata predisposizione delle offerte, per garantirsi
l’aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici, indetti dagli enti comunali e
dall’Anas.
Secondo i giudici di merito le indagini avevano rivelato che i componenti
della famiglia Bagalà e le loro imprese, costituivano il gruppo imprenditoriale di
riferimento dei Piromalli, gruppo mafioso egemone nella piana di Gioia Tauro,
della cui forza, protezione e controllo territoriale si giovavano per la tranquilla
gestione dei lavori in aree di competenza di altri gruppi mafiosi, ai quali veniva
garantita la cd tassa ambientale, e che al fine di realizzare tale obiettivo era
stata costituita una distinta associazione per delinquere, strumentale e
funzionale agli scopi della prima, composta da imprenditori, residenti in altre
zone del territorio nazionale, da professionisti e funzionari infedeli, stabilmente
dediti alla turbativa d’asta, in modo da assicurare l’aggiudicazione dei lavori ad
una delle imprese della cordata e da consentire il controllo sull’esecuzione dei
lavori o l’inserimento nell’esecuzione, nel caso in cui la gara fosse stata vinta da
imprese esterne al circuito creato.
Illustrati gli elementi indiziari, di natura intercettativa e dichiarativa, posti a
fondamento dell’ordinanza cautelare emessa nei confronti degli associati;
descritto il meccanismo abitualmente adottato per predisporre le offerte, redatte
in bianco dagli imprenditori della cordata, e completate dal ricorrente e dai più
stretti collaboratori come il Morabito, nominato procuratore dalle imprese di
cordata e, quindi, in grado di gestire procedure e lavori per loro conto, ed il

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finanziari e delle quote di partecipazione sociali, intestati al Bagalà, in relazione

cugino Francesco, figlio di Giuseppe, nonché esaminate le gare aggiudicate ed il
ruolo del ricorrente, ritenuto un alter ego dei Piromalli nel settore economico di
interesse dell’associazione, il Tribunale ha ritenuto sussistenti i presupposti per
l’adozione della misura cautelare reale, in ragione dei rapporti e dei collegamenti
fra la cosca dei Piromalli e la famiglia del ricorrente, all’origine dell’ascesa e
dell’espansione economica dei Bagalà, della natura strumentale delle imprese
inserite nell’associazione servente, funzionale alla realizzazione del programma
criminoso, e quindi, strumenti destinati a commettere i reati. Analoga

periodo di operatività delle associazioni e derivati dall’appartenenza alla cosca
Piromalli, da ritenersi profitto dei reati, ravvisando per tutti i beni sia il rapporto
di pertinenzialità che il pericolo di aggravamento delle conseguenze dei reati e di
agevolazione della commissione di reati similari.

2. Avverso l’ordinanza hanno proposto ricorso i difensori del ricorrente, che,
con atti distinti, ma con argomentazioni comuni, ne chiedono l’annullamento per
i seguenti motivi:
2.1 inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 416 bis cod. pen. 321,
121, 125, 178 lett. c) cod. proc. pen. per assenza di motivazione, omessa
valutazione delle deduzioni difensive e della documentazione prodotta.
Si deduce che l’ordinanza impugnata è priva di motivazione o comunque, è
solo in apparenza motivata, in quanto contiene una sintesi, priva di analisi, delle
imputazioni cautelari senza dar conto del collegamento tra i reati ed i beni
appresi e senza dar conto degli elementi addotti dalla difesa.
Quanto al fumus dell’appartenenza del ricorrente ad un’associazione di
stampo mafioso non risulta indicato alcun elemento dimostrativo dell’inserimento
del ricorrente nella struttura associativa né della condivisione del programma,
avendo il Tribunale ritenuto coincidenti gli elementi indicati per la partecipazione
al diverso sodalizio privo di connotazioni mafiose; erroneamente si ricava
l’intraneità mafiosa del ricorrente dalla presunta intraneità della famiglia Bagalà,
fondata su sporadici rapporti con i Piromalli intrattenuti da altri familiari con
valutazione plurale e non personale. Si segnala peraltro, che l’ordinanza
cautelare emessa a carico del ricorrente e dei coindagati è stata annullata da
questa Corte per carenza e manifesta illogicità della motivazione, mancanza di
riscontri alle dichiarazioni dei collaboratori e per la coincidenza delle condotte
valorizzate per le due associazioni, contestualmente contestate: annullamento
che ha riguardato il profilo della gravità indiziaria anche per tutte le altre
contestazioni;

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valutazione è stata espressa per i beni personali del ricorrente, accumulati nel

2.2 violazione di legge in ordine al requisito della pertinenzialità, non
risultando indicati gli elementi concreti indicativi del collegamento tra i beni
sequestrati e le singole ipotesi delittuose contestate e del pericolo connesso alla
loro permanenza nella disponibilità del ricorrente, tale da giustificare il sequestro
dell’intero patrimonio, essendosi il tribunale limitato ad affermare che tutti i beni
personali del ricorrente e quelli delle società sono stati conseguiti per effetto
delle condotte addebitate, senza specificare in che epoca ciò sarebbe avvenuto e
quale sarebbe il concreto pericolo di aggravamento dei reati. Il Tribunale ha

funzionale alla confisca, distinti per presupposti e finalità, senza rendere
comprensibile quali beni siano sottoposti all’uno o all’altro tipo di sequestro, con
motivazione omnicomprensiva e sostanzialmente nulla, anche per il riferimento
all’art. 416-bis, comma 7, cod. pen. che avrebbe imposto la motivazione sulla
derivazione causale dei beni dall’attività associativa, mentre il Tribunale non
tiene conto del dato temporale, indicato nell’imputazione dall’agosto 2011, ed in
epoca successiva per i reati fine, trascurando che le attività imprenditoriali
risalgono ad epoca precedente al 2000.
La carenza di motivazione riguarda anche le somme di danaro derivanti da
lecita attività di impresa, essendo indispensabile la dimostrazione del nesso
pertinenziale con il reato, potendo essere sequestrato solo il prodotto, il profitto
o il prezzo oppure è necessario dimostrare che sia servito a commetterli, non
essendo sufficiente l’astratta possibilità di destinarlo a commetterli.
Non risultano indicati gli elementi dai quali emergerebbero i presunti
collegamenti con l’associazione mafiosa, contestata a far data dal 2011, ed i
rapporti finanziari personali sequestrati o l’intero patrimonio del ricorrente; non
si è tenuto conto che i libretti di deposito non costituiscono profitto illecito, in
quanto accesi nel 2014 e 2016, e non sono collegabili ad alcuna delle specifiche
attività delittuose contestate né mai destinati alla commissione di un reato; non
si è considerato che il ricorrente non è mai stato aggiudicatario di alcuna delle
gare asseritamente turbate; che la consulenza depositata dimostra che le
somme depositate sui libretti del Banco di Napoli provengono dalla vendita di un
terreno, da rimborsi, utili e accrediti derivanti da polizze assicurative, con la
conseguenza che l’affermazione del Tribunale sul punto è apodittica al pari della
valutazione del periculum in mora, astratto e non concreto;
2.3 assenza di motivazione sul periculum in mora, non avendo il collegio
motivato in che modo ed in relazione a quali beni corrisponda il pericolo di
commissione di ulteriori reati o di aggravamento delle conseguenze già
prodottesi; con ragionamento circolare il Tribunale ritiene che l’appartenenza al
sodalizio mafioso comporti di per sé che il soggetto utilizzi tutti i suoi beni per gli

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ve'(

inoltre, indistintamente fatto riferimento al sequestro impeditivo ed al sequestro

scopi associativi, omettendo di indicare secondo quali modalità operative e per
quali beni, anche leciti, ciò possa ritenersi fondato;
2.4 assenza di motivazione sulla proporzionalità della misura, in quanto
l’ordinanza non motiva sulla sproporzione della misura applicata sull’intero
patrimonio del ricorrente, specie in assenza di qualunque corrispondenza di
valore tra i beni sequestrati e l’entità del profitto dei reati.

1. Il ricorso è fondato.

2.

Quanto al fumus, va preliminarmente precisato che essendo stato

disposto il rinvio a giudizio del ricorrente per i fatti in relazione ai quali è stata
emessa la misura cautelare, come confermato dai difensori in udienza, è
preclusa la questione relativa alla sussistenza del

fumus commissi delicti, in

ragione della verifica giurisdizionale effettuata sulla idoneità e sufficienza degli
elementi per sostenere l’accusa in giudizio (Sez. 2, n. 52255 del 28/10/2016,
Olisterno, Rv. 268733; Sez. 5, n. 26588 del 09/04/2014, Miserocchi, Rv.
260569).

2. Sono fondate le censure relative al vizio di motivazione sugli altri
presupposti giustificativi del sequestro disposto, in primo luogo, sul rapporto di
pertinenzialità tra i beni sequestrati ed i reati contestati al ricorrente.
Premesso che il sequestro preventivo può essere disposto quando vi è
pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa
aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione
di altri reati, è stato precisato che, per evitare una indiscriminata compressione
dei diritti individuali di proprietà e di uso della cosa, è necessario che il bene
oggetto di sequestro preventivo si caratterizzi per una intrinseca, specifica e
strutturale strumentalità rispetto al reato commesso, non essendo sufficiente
una relazione meramente occasionale tra la “res” ed il reato, e che risulti con
chiarezza la probabilità che venga reiterata, in caso di libera disponibilità della
cosa, la condotta vietata. Quanto alle somme di denaro depositate presso
banche, trattandosi di beni normalmente non destinati alla commissione di reati,
il sequestro preventivo comporta la preventiva individuazione del rapporto di
pertinenza con i reati per i quali si procede, di cui deve darsi atto nella
motivazione del provvedimento, nel senso che deve trattarsi di denaro che
costituisca il prodotto, il profitto o il prezzo del reato oppure che sia servito a
commetterlo o sia, comunque, concretamente destinato alla commissione dello

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I

CONSIDERATO IN DIRITTO

stesso. Ciò comporta che il sequestro preventivo non può colpire,
indistintamente e genericamente, beni o somme di denaro dell’indagato o
dell’imputato, ma solo i beni legati dal rapporto di pertinenzialità al reato (Sez.
5, n. 52251 del 30/10/2014, Bianchi, Rv. 262164).
Il Tribunale non ha giustificato, se non in termini generici, l’abiezione
dell’intero patrimonio del ricorrente, ritenuto di origine illecita in forza della
ritenuta intraneità al clan Piromalli ed al ravvisato collegamento tra l’ascesa
economica della famiglia Bagalà ed i rapporti con la cosca, trascurando che non

pen. tutti i beni del ricorrente in mancanza di una valutazione più analitica
dell’origine del patrimonio e di una specifica correlazione tra i beni e l’epoca di
commissione dei reati, specie a fronte dell’epoca della partecipazione, contestata
a partire dall’agosto 2011, e della deduzione difensiva in ordine all’inizio
dell’attività imprenditoriale sin da epoca precedente al 2000.
Il Tribunale ha giustificato l’ablazione dell’intero patrimonio del ricorrente in
ragione della ritenuta qualità di

longa manus

dei Piromalli nel settore

imprenditoriale e del ruolo verticistico assunto nell’associazione servente per
infiltrarsi, tramite le sue imprese, nel settore degli appalti, ma la valutazione
risulta generica, stante il frequente ed indistinto riferimento alle fortune ed alle
ricchezze della famiglia Bagalà.
Anche per i rapporti finanziari ed i conti sequestrati si registra analoga
genericità della motivazione a fronte delle produzioni difensive, attestanti la
provenienza delle somme depositate sui conti correnti da attività ed investimenti
leciti, ma superate dal Tribunale in forza delle considerazioni esposte in
precedenza ovvero della ritenuta derivazione della fortuna economica del
ricorrente e dell’incremento della stessa nel corso degli anni dalla durevole
cointeressenza dei Piromalli nonché della circostanza che i libretti di deposito
risultavano emessi in epoca ricompresa nella contestazione associativa, senza
però fornire una congrua motivazione circa l’alimentazione di detti conti con i
proventi dell’attività illecita o dar conto del reimpiego di tali profitti.
Quanto alle imprese sequestrate si osserva che, pur risultando puntuale
l’illustrazione degli elementi integranti le singole turbative di gara, delle modalità
di condizionamento, raccordo operativo e alterazione documentale, supportate
dai riscontri intercettativi, nonché della serialità del metodo e della stabilità dei
rapporti ricostruiti, funzionali ad alterare le gare ed a garantirne il controllo al
ricorrente, non risulta specificamente evidenziata la natura strumentale delle
imprese del ricorrente alla commissione dei reati.
In particolare, non risulta chiarito in quale misura le imprese del ricorrente
risultino strumentali al turbamento ed all’aggiudicazione delle gare di appalto, in

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possono essere attratti nella maggior latitudine dell’art. 416 bis, comma 7, cod.

quanto, secondo la stessa ricostruzione del Tribunale, il meccanismo ideato
prevedeva il ricorso ad un cartello di imprese colluse, disposte a figurare per
schermare la posizione dominante del ricorrente e dei suoi più stretti
collaboratori.
Con tale schema operativo risulta scarsamente compatibile il coinvolgimento
delle imprese del ricorrente, risultate aggiudicatarie solo di alcune gare (capi 26
e 27), ma tale strumentalizzazione occasionale e sporadica non consente di
ravvisare uno stabile e strutturale asservimento delle stesse alla commissione

termini astratti.
Il ragionamento del Tribunale è in realtà di portata più ampia e generale, in
quanto si riferisce al sistema illecito scoperto ed alle numerose imprese
coinvolte, innegabilmente funzionali al raggiungimento degli obiettivi illeciti,
propri del programma associativo, ma non si sofferma in modo specifico sulle
imprese del ricorrente e sulla loro natura strumentale.

3. Anche in punto di periculum in mora sono fondate le censure difensive,
avendo il Tribunale ritenuto coesistenti le finalità impeditive del sequestro, in
quanto la libera disponibilità dei rapporti finanziari in sequestro può permettere
al Bagalà di occultare quanto ottenuto come profitto o prodotto dei reati
commessi, e la funzionalità del sequestro alla confisca, per la necessità di
sottoporre a sequestro la ricchezza accumulata dall’indagato quale profitto o
prodotto delle attività delittuose poste in essere in qualità di intraneo alla
consorteria mafiosa Piromalli e dirette al controllo degli appalti con imprese
colluse.
La genericità e la carenza di motivazione sull’attualità e sulla concretezza del
pericolo è confermata dall’affermazione conclusiva dell’ordinanza, nella quale è
ribadito l’indistinto riferimento alla famiglia Bagalà, alla derivazione della
ricchezza dalla partecipazione alla cosca Piromalli ed alla utilizzazione dell’intero
patrimonio per commettere i reati oggetto di contestazione grazie
all’ingentissima disponibilità economica ed alla locupletazione scaturente dai
reati commessi, asservita alle necessità dell’associazione (pag. 60
dell’ordinanza).
La necessità di colmare le lacune evidenziate impone l’annullamento
dell’ordinanza con rinvio per nuovo esame al Tribunale del riesame di Reggio
Calabria.

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dei reati, idoneo a fondare la prognosi di reiterazione degli illeciti se non in

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di
Reggio Calabria.

Così deciso, il 20/03/2018.

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