Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17991 del 20/03/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 17991 Anno 2018
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: CRISCUOLO ANNA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
CUSANI ARMANDO nato il 08/10/1963 a FORMIA
DE VITO GERARDO nato il 17/11/1959 a TERRACINA

avverso la sentenza del 24/01/2017 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ANNA CRISCUOLO
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore PAOLO
CANEVELLI che ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza
perche’ i fatti non costituiscono reato; revoca delle statuizioni civili.
Udito il difensore, avv. DE SIMONE CORRADO, che chiede l’annulamento senza
rinvio della sentenza.

Data Udienza: 20/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1. In parziale riforma della sentenza emessa il 30 ottobre 2013 dal Tribunale
di Latina nei confronti, tra gli altri, di Cusani Armando e De Vito Gerardo, la
Corte di appello di Roma ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli
imputati in ordine ai reati di abuso d’ufficio loro contestati ai capi A) e C) del
procedimento n. 803/2005 RGNR e al capo A) del procedimento n. 163/2007
perché estinti per intervenuta prescrizione e ha confermato le statuizioni civili nei

Rigettate le eccezioni preliminari sollevate dalla difesa degli appellanti, la
Corte di appello ha dichiarato ex art. 129, comma 1, cod. proc. pen. la
prescrizione per i reati contestati nel procedimento più risalente, maturata
rispettivamente il 5 dicembre 2013 ed il 4 marzo 2014, nelle more della
trattazione del procedimento, non emergendo la prova evidente
dell’insussistenza del fatto; quanto all’abuso d’ufficio, contestato al capo A) del
procedimento riunito, la Corte di appello ha ritenuto sussistente la responsabilità
degli imputati.
Al Cusani, in qualità di sindaco del comune di Sperlonga, ed al De Vito, quale
componente della Giunta municipale (in concorso con il Caputo, segretario
generale), si contestava di avere, mediante l’adozione di atti in violazione
dell’art. 30 dello statuto comunale, dell’art. 110 I. 267/2000 e 12 lett. c) della
legge regionale n.1/2005 ed in particolare, della delibera di Giunta n. 76 del 3
maggio 2005, con la quale si approvava il regolamento sull’ordinamento degli
uffici e dei servizi comunali, che istituiva l’Area III “Servizi al cittadino” (non
prevista dallo statuto comunale), ed al Cusani anche mediante l’adozione del
decreto sindacale in data 19 gennaio 2006, con il quale veniva nominato il capo
Area con funzioni dirigenziali e preposizione alla titolarità dell’Area per il periodo
dall’i gennaio al 30 giugno 2006 con riconoscimento dell’indennità di posizione a
Faiola Alessandra, assegnandole, per l’effetto, anche la responsabilità del settore
di polizia locale, intenzionalmente procurato alla Faiola (che otteneva la stipula
del contratto di durata semestrale ed i successivi rinnovi sino al 31/12/2010) un
ingiusto vantaggio patrimoniale, arrecando a Ciccarelli Paola, comandante della
Polizia Municipale, un danno ingiusto, privandola dei poteri inerenti la sua
qualifica.
Dopo aver premesso che: 1) la Ciccarelli era risultata vincitrice del concorso,
bandito nel marzo 98 dal Comune di Sperlonga, per la copertura del posto di
comandante della polizia municipale ed assunta con tale qualifica con contratto a
tempo indeterminato con decorrenza dall’i giugno 2000; 2) nel 2003 si
verificarono dissapori tra la Ciccarelli e l’amministrazione comunale, in persona

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confronti della parte civile costituita Ciccarelli Paola.

del sindaco e del segretario comunale a causa di indebite pressioni esercitate
sulla Ciccarelli, che condussero al licenziamento della stessa con decorrenza dal
16 luglio 2004; 3) la Ciccarelli impugnò il licenziamento, dichiarato illegittimo dal
giudice del lavoro del Tribunale di Latina, che ne ordinò la reintegra nel posto di
lavoro, mai eseguita dal Comune; 4) con la delibera del maggio 2005 fu adottato
un regolamento di riorganizzazione degli uffici e dei servizi interni, con istituzione
di quattro aree ed inserimento nell’AREA III “Servizi al cittadino” anche del
settore della polizia municipale; 5) con decreto del 25 giugno 2005 il sindaco

contestualmente anche la responsabilità della polizia municipale, di fatto,
annullando la nomina della Ciccarelli di comandante della polizia municipale; 6)
l’impugnazione della delibera di Giunta, accolta dal Tar di Latina, fu respinta dal
Consiglio di Stato, che, con sentenza n. 6065/2008 stabilì che non vi era
contrasto con lo statuto comunale, i giudici di appello hanno ritenuto che la
delibera rimaneva illegittima nella parte in cui accorpava all’interno dell’Area III
il servizio di polizia municipale, che, invece, doveva conservare autonomia ed
avere un comandante in possesso dello status di appartenente al corpo ed ai
servizi di polizia locale, non posseduti dalla Faiola, in violazione dell’art. 12 lett.
c) della legge regionale n.1/2005, come già ritenuto dal giudice di primo grado.
E’ stato tuttavia, rilevato che anche per detto reato era ormai maturato il
termine massimo di prescrizione, tenuto conto dei periodi di sospensione,
trattandosi di condotte poste in essere nel gennaio 2006.
Quanto alle statuizioni civili la Corte di appello le ha confermate, riportandosi
integralmente alle valutazioni del giudice di primo grado sia quanto all’an che al
quantum, riconoscendo alla Ciccarelli solo il danno morale per la lesione morale e

i danni all’immagine.

2. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso i difensori degli imputati, che
ne chiedono l’annullamento per i motivi di seguito illustrati:
2.1 nullità della sentenza di appello, di quella di primo grado, dell’ordinanza
dibattimentale del 3 febbraio 2010, del decreto che dispone il giudizio, della
richiesta di rinvio a giudizio e dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari
per violazione degli artt. 415 bis, 416, 419 e 178 lett. c) cod. proc. pen. nonché
omessa motivazione e mera apparenza della stessa, in quanto la Corte di appello
non ha assolto l’obbligo di motivazione su tali eccezioni, limitandosi al rigetto
dell’eccezione di nullità della sentenza e dell’ordinanza dibattimentale,
evidenziando che il mancato deposito insieme alla richiesta di rinvio a giudizio
della documentazione relativa alle indagini espletate non è causa di nullità,
comportando la sola inutilizzabilità degli atti non trasmessi. Non si è invece,

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i)

nominò capo di detta area la d.ssa Faiola, alla quale venne assegnata

pronunciata sulle altre eccezioni, in quanto si era evidenziata l’incompletezza del
fascicolo del P.m., per parziale trasmissione dell’informativa di reato, priva delle
pagine da 5 a 81 e da 94 in poi, rilevante ai fini dell’esercizio delle facoltà
difensive previste dall’art. 415 bis cod. proc. pen.; anche in udienza preliminare
era stata eccepita la nullità della richiesta di rinvio a giudizio per violazione del
diritto di difesa e dell’art. 419 cod. proc. pen., respinta dal G.u.p. e dal giudice
del dibattimento con l’ordinanza censurata, che risulta illegittima per violazione
del diritto di difesa degli imputati e conseguente nullità dell’avviso di conclusione

Costituzionale e da questa Corte nelle sentenze riportate; non risulta neppure
presa in esame la richiesta di sollevare questione di legittimità costituzionale sul
punto. Anche l’ulteriore profilo di nullità della sentenza e dell’ordinanza sollevato
per omessa notifica al difensore della richiesta di rinvio a giudizio insieme
all’avviso di fissazione dell’udienza preliminare e della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 419, comma secondo, cod. proc. pen. non è stato
esaminato, nonostante l’apoditticità della motivazione del giudice di primo grado
e pur trattandosi di questione rilevante per le prerogative e la centralità del ruolo
del difensore;
2.2 erronea applicazione dell’art. 323 cod. pen., violazione dell’art. 194,
comma 3, cod. proc. pen. e vizio di motivazione, in quanto la sentenza è
illegittima per violazione dell’art. 194, comma 3, cod. proc. pen. e travisamento
della prova, atteso che dal dibattimento di primo grado non è emersa la prova
degli asseriti dissapori tra il Cusani, il De Vito e la d.ssa Ciccarelli, sulla quale i
giudici di merito di primo e di secondo grado hanno fondato il dolo intenzionale
degli imputati. Si deduce che tali dissapori troverebbero fondamento nelle
dichiarazioni dei consiglieri di minoranza, i quali hanno riferito solo voci correnti
nel pubblico, che non costituiscono prova e sono inutilizzabili ai sensi della norma
processuale indicata. La sentenza impugnata inoltre, travisa alcuni dati probatori
e fornisce un’errata interpretazione dell’art. 323 cod. pen. in quanto, pur dando
atto che la sentenza n. 6065/08 del Consiglio di Stato ha riconosciuto la
legittimità della delibera n. 76 del 3 maggio 2005, ne ha ravvisato un profilo di
illegittimità nella mancata riserva di autonomia del servizio di polizia municipale,
trascurando che, come era stato precisato nell’atto di appello, la nomina di
responsabile del servizio di polizia locale è cosa diversa dal ruolo di comandante
della polizia municipale, tant’è che la responsabilità del servizio era stata
attribuita al segretario generale ancor prima dell’espletamento del concorso vinto
dalla Ciccarelli. Illegittimamente pertanto, i giudici di appello hanno disatteso il
giudicato amministrativo, che non ha ravvisato vizi degli atti amministrativi
esaminati, senza indicare elementi diversi o elementi non valutati nelle altre sedi

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delle indagini e di tutti gli atti successivi, secondo i principi affermati dalla Corte

ed in particolare, nella sede deputata al controllo degli atti e della materia
organizzativa in oggetto. Il Consiglio di Stato ha ritenuto legittimo il regolamento
degli uffici e dei servizi, adottato con la delibera di giunta, non solo sotto il
profilo formale, ma anche sostanziale, ritenendo legittima sia l’istituzione
dell’Area III che l’individuazione di un dirigente quale responsabile dell’Area,
cosicché la sentenza incorre in una illogica e macroscopica contraddizione,
quando reputa il regolamento in contrasto con la legge regionale nella parte in
cui accorpava all’interno dell’Area il servizio di polizia municipale, aspetto

poteri dell’amministrazione comunale. Si evidenzia l’errore in cui incorrono i
giudici, in quanto la Ciccarelli non è mai stata privata delle funzioni di
comandante della polizia locale, ma il servizio è stato accorpato nell’Area III; non
vi è prova dell’illegittimità della condotta né dell’ingiusto vantaggio patrimoniale
conseguito dalla d.ssa Faiola e del danno subito dalla Ciccarelli, risultando
riconosciuto che la delibera rispondeva all’esigenza di una migliore
organizzazione dei servizi al cittadino, quale effetto delle nuove norme introdotte
dalle leggi Bassanini.
Analoghe considerazioni valgono per il capo C) del procedimento n. 803/05,
in cui l’abuso è concentrato sulla creazione dell’Area III e sulla inesistente
violazione dell’art. 110 d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, trascurando il giudicato
amministrativo formatosi sulla delibera di Giunta del 2005.
Anche per il capo A) di detto procedimento le sentenze di merito incorrono in
errore, atteso che nessuna violazione di legge e del regolamento comunale era
riscontrabile negli atti del segretario comunale, che non avevano affatto privato
la Ciccarelli dei poteri inerenti la sua qualifica, in quanto la qualifica di
comandante della polizia municipale non comportava l’assunzione della
responsabilità del servizio di polizia municipale, spettante al segretario
comunale, che da anni lo curava, come da delibera della Giunta municipale n. 10
del 2001: la sentenza impugnata non ha affatto esaminato la documentazione e
le censure difensive, applicando il secondo comma dell’art. 129 cod. proc. pen. e
non la regola di giudizio dell’art. 530 cod. proc. pen. in mancanza di tutti gli
elementi costitutivi del reato contestato;
2.3 erronea applicazione degli artt. 185 e 187 cod. pen. e mancanza di
motivazione, avendo la Corte di appello omesso ogni motivazione sull’effettiva
sussistenza del danno morale asseritamente subito dalla Ciccareli, limitandosi a
confermare le statuizioni civili, senza valutare la prova del danno, nonostante
nell’appello si fosse dedotta l’insussistenza del presunto svuotamento dei poteri
connessi alla carica di comandante della polizia municipale. I giudici hanno
trascurato che alcun danno è stato arrecato alla Ciccarelli, che nessun danno alla

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ti

esaminato e ritenuto legittimo dal giudice amministrativo perché rientrante nei

salute è stato certificato né risultano precisati i danni morali liquidati, esclusi dal
Giudice del lavoro di Latina nella sentenza n. 1406/12 per infondatezza della
domanda, cosicché è stata confermata la sentenza di primo grado sul punto,
prescindendo dalla prova del danno, che grava sul danneggiato.

Con motivi nuovi, depositati il 5 marzo 2018, i difensori producono un
elemento nuovo sopravvenuto ovvero la sentenza emessa il 12 ottobre 2017,
depositata in data 1 febbraio 2018, dalla Corte di appello di Roma Sezione

delle pretese risarcitorie della Ceccarelli in sede civile e quelle formulate nel
processo penale con la costituzione di parte civile, nonché la legittimità
dell’operato del comune di Sperlonga, in quanto ha ritenuto infondata la richiesta
di riassegnazione delle funzioni e di risarcimento danni, avanzata dalla Ciccarelli,
escludendo che vi fosse stato un demansionamento e una dequalificazione della
stessa.
In particolare, ha ritenuto che, in base al nuovo regolamento, era da ritenere
infondata la domanda di riassegnazione delle funzioni di responsabile del servizio
di polizia municipale, attribuite al capo dell’Area III “Servizi al cittadino”, come
stabilito nella sentenza del Consiglio di Stato n. 6065 del 2008; che è inesistente
la violazione della legge regionale n. 1/2005, risultando il comando della polizia
municipale affidato alla Ciccarelli, che ha continuato, anche dopo l’istituzione
dell’Area III, a ricoprire la veste di comandante della polizia municipale; che
presso il Comune di Sperlonga non risulta istituito il Corpo della Polizia
Municipale, non sussistendo i presupposti di cui all’art. 7, comma primo, della
legge 7 marzo 1986 n. 65, che richiede almeno 7 addetti, dal che discende che la
Ciccarelli poteva essere nominata capo settore, ma non responsabile del servizio,
nomina di competenza del sindaco a norma dell’art. 50, comma 10, d.lgs.
267/2000, con la conseguenza che, non essendo istituito il corpo di P.M., non
necessariamente le funzioni di responsabile del settore devono essere affidate al
comandante. Pertanto, la sentenza prodotta ha confermato quanto esposto nel
ricorso ed in particolare, che la Ciccarelli non è mai stata privata delle funzioni di
comandante della polizia municipale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono fondati.

2. Sono inammissibili nonché infondate le eccezioni processuali, poiché in
presenza di una causa di estinzione del reato, la sussistenza di una nullità non è

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A

Lavoro, che ha definitivamente stabilito l’identità dei fatti, posti a fondamento

rilevabile nel giudizio di legittimità, in quanto l’inevitabile rinvio al giudice del
merito è incompatibile con il principio dell’immediata applicabilità della causa
estintiva (Sez. Un., 28 novembre 2001, n.1021, Cremonese). Peraltro, i profili
segnalati non integrano le nullità assolute denunciate.
2.1 Speciosa e meramente formale è l’eccezione di nullità della richiesta di
rinvio a giudizio e degli atti successivi per mancato deposito dell’informativa
completa ed integrale, in quanto, a prescindere dalla corretta risposta fornita dai
giudici di merito, è agevole rilevare che l’informativa aveva ad oggetto una

la vicenda del comandante della polizia municipale, segnalata dall’esposto di
consiglieri di minoranza, alla quale si riferivano le pagine dell’informativa
trasmesse. Dunque, alcuna capziosa selezione di atti risulta effettuata dal P.m.,
che ha trasmesso solo le pagine dell’informativa relative alla vicenda in esame,
non essendo obbligato a trasmettere l’atto integrale, evidentemente relativo ad
altre vicende, confluite e costituenti oggetto di altro, separato procedimento.
Non è quindi, ravvisabile alcuna lesione del diritto di difesa, fondata peraltro,
solo sulla supposta ed indimostrata presenza in quell’informativa di elementi
favorevoli alla posizione degli imputati.
2.2 Parimenti infondata è l’eccezione di nullità dell’avviso di conclusione delle
indagini per mancata notifica al difensore della richiesta di rinvio a giudizio,
invece, prevista per l’imputato e la persona offesa, trattandosi di nullità non
prevista dall’art. 419, comma 7, cod. proc. pen. né di disposizione lesiva delle
prerogative del difensore, che trova ragione proprio nella competenza tecnica del
difensore, il quale, a differenza delle parti, può agevolmente accedere agli atti,
prenderne visione ed ottenerne copia, come espressamente previsto dall’art.
419, comma 2, cod. proc. pen..
2.3 Del tutto infondata è anche l’ulteriore eccezione, in quanto,
contrariamente all’assunto difensivo, i dissapori tra l’amministrazione comunale e
la Ciccarelli non risultano affatto frutto di voci correnti nel pubblico, ma di precise
indicazioni e di elementi di fatto, riferiti dai testimoni e dalla stessa Ciccarelli (v.
trascrizioni allegate al ricorso e dichiarazioni della persona offesa, riportate a
pag. 14 della sentenza di primo grado).

3. Nel merito i ricorsi sono fondati.
L’impostazione dei giudici di merito poggia su un equivoco di fondo ovvero
sulla istituzione del Corpo di polizia municipale nel comune di Sperlonga, al quale
si aggiungono la non corretta distinzione tra competenze del comandante di
polizia municipale e responsabilità del servizio e l’interpretazione delle norme

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/,

pluralità di vicende e di fatti, riguardanti l’amministrazione comunale, tra le quali

regolamentari, statutarie e regionali, come riconosciuto nelle sentenze prodotte
dai difensori dei ricorrenti.
Va peraltro, evidenziato che la stessa persona offesa ha ammesso di non
aver mai ottenuto la nomina di responsabile del servizio di polizia municipale,
essendo le competenze affidate al segretario comunale, al quale spettava la
gestione delle risorse finanziarie, limitandosi ella alla gestione delle spese
ordinarie; ha anche ammesso di aver continuato ad esercitare sino al
licenziamento le funzioni di comandante della polizia municipale.

n. 20/90 stabilivano che “i comuni, che destinano almeno sette addetti al
servizio di polizia locale, possono istituire il Corpo di polizia municipale” ed anche
l’art. 12, comma 1, della legge regionale n. 1/2005 lo ribadisce, ma, come
riconosciuto dalla sentenza della Corte di appello di Roma, Sezione lavoro,
presso il comune di Sperlonga non risulta istituito il Corpo di polizia municipale,
con la conseguenza che la d.ssa Ciccarelli era nominata capo del settore, ma non
responsabile del servizio di polizia municipale, rientrando tale nomina nelle
competenze del sindaco a norma dell’art. 50, comma 10, d.lgs. 267/2000 e
dell’art. 8 del regolamento comunale: ed infatti, il Cusani aveva nominato
responsabile della polizia municipale il segretario comunale con il provvedimento
del 30 gennaio 2001 in atti, che dava esecuzione alle delibere di Giunta del 23
gennaio 2001 con la quale venivano individuati i responsabili dei servizi dell’ente
secondo le previsioni degli artt. 7 e 8 del regolamento degli uffici e dei servizi,
approvato con delibera n. 41 del 20 febbraio 1998.
Da tale ricostruzione discende la non necessaria coincidenza delle funzioni di
comandante della polizia municipale e di responsabile del servizio, prevista solo
per il comandante del Corpo di polizia municipale dall’art. 7 I. 65/86, e l’erronea
impostazione del ragionamento dei giudici di merito.
Pur non potendosi negare che sino al momento in cui si verificarono le
frizioni tra i vertici comunali e la persona offesa, alla stessa era stato consentito
di esercitare attribuzioni, poi assunte dal responsabile del servizio, e che tale
comportamento dell’amministrazione aveva creato nella Ciccarelli un legittimo
affidamento ed il convincimento di essere stata esautorata dei propri poteri,
innescando una sequenza di provvedimenti ed un insanabile contrasto, sfociato
nel licenziamento, ritenuto legittimo anche dai giudici di secondo grado, come
già detto, la linea di condotta tenuta dall’amministrazione non risulta in contrasto
con il quadro normativo ricostruito in precedenza.
Analogamente deve escludersi l’illegittimità della delibera n. 76 del 3 maggio
2005 di adozione del nuovo regolamento comunale, che riorganizzava la
struttura dell’ente con l’istituzione di aree, accorpando nell’Area III, Servizi al

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Sia l’art. 7 della legge n. 65/86 che l’art. 2, comma 2, della legge regionale

cittadino, il servizio di polizia municipale, e ne attribuiva la presponsabilità ad un
funzionario di vertice, come riconosciuto dal Consiglio di stato nella sentenza n.
6065 del 2008, che ha sancito la legittimità dell’atto riorganizzativo degli uffici e
dei servizi comunali, escludendone il contrasto con lo statuto comunale.
A fronte del giudicato amministrativo, già i giudici di primo grado avevano
escluso, in linea con la sentenza del giudice amministrativo, la violazione dell’art.
30 dello statuto comunale ed anche dell’art. 110 TUEL, ma avevano ravvisato un
profilo di illegittimità nell’attribuzione al capo area, in aggiunta ai poteri di

con mansioni e compiti propri del comandante, in violazione dell’art. 12 lett. c)
della legge regionale n.1/2005, e tale valutazione ha trovato concordi i giudici di
appello.
A differenza di quanto sostenuto dai ricorrenti, tale valutazione non integra
la violazione del giudicato amministrativo, essendo stato individuato un profilo di
illegittimità non valutato in tale sede e ciò è in linea con l’orientamento
giurisprudenziale di questa Corte, secondo il quale al giudice penale è preclusa la
valutazione della legittimità dei provvedimenti amministrativi che costituiscono il
presupposto dell’illecito penale qualora sul tema sia intervenuta una sentenza
irrevocabile del giudice amministrativo, ma tale preclusione non si estende ai
profili di illegittimità, fatti valere in sede penale, che non siano stati dedotti ed
effettivamente decisi in quella amministrativa (Sez. 3, n. 44077 del 18/07/2014,
Scotto Di Clemente, Rv. 260612).
Tuttavia, la valutazione dei giudici di merito ricade nell’equivoco indicato in
precedenza, in quanto considera violata una norma dell’ordinamento di polizia
locale, dettato per l’istituzione ed organizzazione dei corpi e dei servizi di polizia
locale, non applicabile al caso in esame.
Il tema è diffusamente trattato nelle sentenze di primo e di secondo grado
emesse dai giudici del lavoro, ai quali la persona offesa aveva chiesto di
dichiarare l’illegittimità della dequalificazione e del demansionamento subiti con
riassegnazione delle funzioni di comandante della polizia municipale.
Muovendo dalla legittimità del regolamento, riconosciuta dal giudice
amministrativo, e dall’inequivoco tenore dell’art. 42 del regolamento, che
attribuisce al capo dell’area III, Servizi al cittadino, la responsabilità del servizio
di polizia locale e ne individua in modo specifico le attribuzioni, tra le quali
rientrano l’emanazione degli ordini di servizio e la gestione del personale
mediante assegnazione alle unità operative secondo le specifiche necessità, i
giudici hanno ritenuto infondata la domanda della Ciccarelli di riassegnazione alle
mansioni di responsabile del servizio di polizia municipale, ribadendo la

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direzione e vigilanza della stessa, della responsabilità del servizio di polizia locale

distinzione tra le funzioni di responsabile del servizio e di comandante della
polizia locale, funzioni queste che l’istante aveva continuato ad esercitare.
Alla luce della ricostruzione che precede e delle sentenze emesse dal giudice
amministrativo e dai giudici dei lavoro, che la confermano, devono ritenersi
insussistenti gli elementi costitutivi degli abusi di ufficio contestati, fondati su
un’erronea interpretazione delle norme e della situazione di fatto esaminata.
Ne consegue l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché i
fatti reato ascritti ai ricorrenti non sussistono e la revoca delle statuizioni civili

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché i fatti reato ascritti ai
ricorrenti non sussistono e revoca le statuizioni civili adottate a carico dei
medesimi ricorrenti.
Così deciso, il 20/03/2018.

Il Consigliere estensore
7
Anna Criscyolo
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Il Presidente
Giacom Paoloni

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adottate a carico degli stessi.

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