Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1799 del 30/11/2012


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 1799 Anno 2013
Presidente: BARDOVAGNI PAOLO
Relatore: LA POSTA LUCIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) DI MONTE DOMENICO N. IL 15/02/1968
avverso l’ordinanza n. 64/1998 CORTE ASSISE APPELLO di
MILANO, del 16/11/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCIA LA POSTA;
lette/s,tWe le conclusioni del PG Dott. 7.n. ,Thconatz,
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Data Udienza: 30/11/2012

RITENUTO IN FATTO

l. Con provvedimento del 20.7.2011 la Corte di assise di appello di Milano,
in funzione di giudice dell’esecuzione, sulla richiesta avanzata dal Procuratore
generale della repubblica presso la stessa Corte di appello, disponeva, ai sensi
dell’art. 12 sexies d.l. 8.6.1992 n. 306, la confisca in danno di Domenico Di
Monte del bene immobile specificamente identificato, formalmente intestato al
predetto e alla moglie, acquistato nel 2006.

assise di appello di Milano con sentenza del 14.2.2000, divenuta irrevocabile, alla
pena di anni sei di reclusione, oltre la multa, per il reato di acquisto illecito di
sostanze stupefacenti (art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990) commesso in Milano tra
gennaio e marzo 1993; che il reato cui si riferisce la condanna è compreso tra
quelli per i quali è prevista la confisca dei beni di cui il condannato non possa
giustificare la provenienza e di cui risulti essere titolare o aver la disponibilità,
anche per interposta persona, per un valore sproporzionato al reddito dichiarato
o risultante dalla propria attività economica; che non è rilevante il requisito della
riferibilità dell’acquisto del bene al reato per il quale è intervenuta la condanna,
ben potendo essere disposta la confisca di beni acquisiti in epoca anteriore o
successiva alla data di commissione del reato ed anche di valore superiore al
provento del reato; che l’immobile è stato acquistato dai predetti nel 2006 al
prezzo di euro 155.000 con l’accollo di un mutuo trentennale e che dalla
dichiarazione dei redditi degli intestatari risulta che gli stessi hanno percepito
esclusivamente redditi modesti da lavoro dipendente dal 1997 al 2009
sproporzionati all’acquisto, anche tenuto conto dell’entità dei ratei di mutuo pari
ad euro 450 mensili e delle somme necessarie a provvedere alle esigenze di vita
quotidiana.

2. Avverso detto provvedimento il Di Monte proponeva opposizione che
veniva respinta con ordinanza della Corte di assise di appello in data 16.11.2011.
In particolare, la Corte territoriale ribadiva che i coniugi avevano percepito,
nel periodo rilevante cui si riferisce l’acquisto del bene, redditi assai modesti come specificamente indicati – ed insufficienti anche a provvedere alle necessità
quotidiane anche di una figlia minore; rilevava, altresì, che il Di Monte era stato
detenuto tra il 10.5.1994 ed il 2.10.1995 e tra il marzo 2002 ed il 2004 non
producendo, quindi, alcun reddito; che ecotaratto di opposizione non è stato
allegato alcun elemento concreto volto a dimostrare il contributo finanziario
ricevuto dai genitori; che doveva ritenersi poco plausibile l’assunto in ordine al
valore reale dell’immobile„ inferiore a quello indicato nell’atto di compravendita;
che la distanza temporale tra la commissione del reato (1993) e l’epoca

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A ragione rilevava che Domenico Di Monte è stato condannato dalla Corte di

dell’acquisto dell’immobile (2006) non è rilevante anche tenuto conto dei periodi
di detenzione sofferti dal Di Monte.

3.

Ha proposto ricorso per cassazione, personalmente, il Di Monte

deducendo la violazione di legge ed il vizio di motivazione.
Premesso che la sproporzione deve essere valutata con riferimento al
momento dell’acquisto del bene in oggetto, il ricorrente rileva l’incongruenza ed
irragionevolezza della valutazione operata dalla Corte di merito evidenziando:

aggiunto il reddito della moglie per lo stesso anno pari ad euro 1.959, nonché,
l’importo delle mance percepite quantificabili in circa euro 150 al mese;
conseguentemente il reddito totale familiare del 2006 (come quello del 2005 e
del 2007) è pari ad euro 18.451 al quale deve essere detratto l’importo mensile
della rata di mutuo di euro 450.
Contesta, quindi, la affermazione del giudice dell’esecuzione in ordine alla
omessa indicazione dei punti sui quali dovevano essere esaminati i testimoni
secondo la richiesta istruttoria avanzata .dal ricorrente, rilevando che nel
procedimento di esecuzione non è prescritta l’indicazione delle circostanze sulle
quali si chiede l’esame dei testimoni come nel dibattimento, essendo invece
previsto che l’assunzione delle prove avviene senza formalità. Lamenta, quindi,
l’omessa motivazione sul mancato esame del datore di lavoro, che avrebbe
potuto riferire l’importo della mance percepite per il lavoro di barista, nonché
sulla richiesta di perizia avanzata all’udienza del 16.11.2011.
Contesta, inoltre, la valutazione in ordine al valore reale dell’immobile al
momento dell’acquisto.
Sottolinea che dal 1993, data del commesso reato, al 2006, anno di acquisto
del bene in oggetto, sono decorsi ben tredici anni, tempo certamente rilevante ai
fini della valutazione della pertinenzialità.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Come è noto, la confisca dei beni patrimoniali dei quali il condannato per
determinati reati non sia in grado di giustificare la provenienza, prevista
dall’articolo 12-sexies d.l. 8 giugno 1992 n. 306, convertito in legge 8 agosto
1992 n. 356, come modificato dal d.l. 20 giugno 1994 n. 399, convertito in legge
8 agosto 1994 n. 501, può essere disposta anche dal giudice dell’esecuzione che
provvede de plano, a norma degli articoli 676 e 667, comma 4, cod. proc. pen.,
ovvero all’esito di procedura in contraddittorio a norma dell’art. 666 dello stesso
codice, salvo che sulla questione non abbia già provveduto il giudice della

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che nell’anno 2006 ha percepito un reddito pari ad euro 14.772 al quale va

cognizione, con conseguente preclusione processuale (Sez. U, n. 29022,
30/05/2001, Derouach, rv. 219221).
Ne consegue, in primo luogo, la manifesta infondatezza della doglianza del
ricorrente in ordine alla mancata assunzione delle prove richieste ed alla relativa
valutazione operata dal giudice dell’esecuzione. Come afferma Io stesso
ricorrente, nel procedimento di esecuzione le prove vengono assunte senza
formalità e, a differenza del dibattimento, non può essere dedotta la mancata
assunzione di prova decisiva. Correttamente, quindi, la Corte territoriale nel

avanzata dal ricorrente, ha sottolineato che non era stata indicata la rilevanza
delle prove ai fini della valutazione in oggetto.
E’ manifestamente infondata, altresì, la censura relativa alla valutazione
della «pertinenzialità» con riferimento all’epoca del commesso reato (1993)
rispetto alla data dell’acquisto del bene confiscato (2006).
Invero, è principio ormai consolidato quello per il quale la condanna per uno
dei reati indicati nell’art. 12 -sexies d.l. 8 giugno 1992 n. 306 comporta la
confisca dei beni nella disponibilità del condannato, allorché, da un lato, sia
provata l’esistenza di una sproporzione tra il reddito da lui dichiarato o i proventi
della sua attività economica ed il valore economico di detti beni e, dall’altro, non
risulti una giustificazione credibile circa la provenienza di essi. Di talché, essendo
irrilevante il requisito della «pertinenzialità» del bene rispetto al reato per cui
si è proceduto, la confisca dei singoli beni non è esclusa per il fatto che essi
siano stati acquisiti in epoca anteriore o successiva al reato per cui è intervenuta
condanna o che il loro valore superi il provento del medesimo reato (Sez. U, n.
920 del 17/12/2003 – dep. 19/01/2004, Montella, rv. 226490).
In tale senso questa Corte ha ritenuto, altresì, manifestamente infondata, in
riferimento agli artt. 3, 24, 27, 42 e 111 Cost., la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 12 -sexies d.l. n. 306 del 1992 nella parte in cui può
disporsi la confisca di beni nella disponibilità del condannato a prescindere da
qualsiasi nesso di pertinenzialità o cronologico con i delitti contestati ed, anzi,
con l’onere di allegazione o dimostrazione probatoria a carico dello stesso
condannato circa la liceità della provenienza. Nell’occasione è stata sottolineata
la diversità di disciplina del sequestro e della confisca dei beni nel processo
penale,* instaurato per l’accertamento della responsabilità dell’imputato in ordine
ad uno dei delitti di cui all’art. 12

-sexies predetto, rispetto alla parallela

disciplina del sequestro e della confisca nel procedimento di prevenzione ex art.
2 -ter I. n. 575 del 1965, ed è stato affermato che non contrasta con i parametri
costituzionali suindicati la ragionevolezza della presunzione di provenienza illecita
dei beni patrimoniali, posto che l’elemento della «sproporzione» deve,
comunque, essere accertato attraverso una ricostruzione storica della situazione
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ritenere di non procedere all’esame dei testimoni, secondo la richiesta istruttoria

dei redditi e delle attività economiche del condannato al momento dei singoli
acquisti, il quale può esporre fatti e circostanza specifiche e rilevanti, indicando
puntualmente le proprie giustificazioni (Sez. 1, n. 21357 del 13/05/2008 – dep.
28/05/2008, Esposito, rv. 240091).
Presupposto necessario, quindi, per procedere alla confisca dei beni nella
disponibilità del condannato per determinati reati è la valutazione della
sproporzione tra il valore dei beni oggetto della misura ablativa e la situazione
reddituale dell’interessato; tale valutazione deve essere condotta avendo

momento della applicazione della misura e rispetto a tutti i beni presenti nel
patrimonio del soggetto, bensì a quello dei singoli acquisti e al valore dei beni di
volta in volta acquisiti (Sez. 6, n. 5452 del 12/01/2010 – dep. 11/02/2010,
Mancin, rv. 246083).
Nella specie, il giudice dell’esecuzione ha adeguatamente contestualizzato la
valutazione della sproporzione tra redditi percepiti dal condannato ed epoca
dell’acquisto del bene immobile confiscato; ha, inoltre, ritenuto, con argomenti
coerenti e plausibili sotto il profilo logico, sproporzionato detto acquisto rispetto
alla capacità economica lecita del Di Monte, pur tenendo conto del mutuo e delle
circostanze allegate dal ricorrente.
Le restanti doglianze oggetto del ricorso si sostanziano in censure di fatto
precluse nel giudizio di legittimità e, pertanto, inammissibili.
Si deve, quindi, concludere per la inammissibilità del ricorso cui consegue
per legge, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma ritenuta
congrua di euro 1.000,00 (mille) in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di mille (1.000,00) euro alla
cassa delle ammende.

Così deciso, il 30 novembre 2012.

riguardo al reddito dichiarato o alle attività economiche esercitate non al

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