Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17988 del 06/02/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 17988 Anno 2018
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: AGLIASTRO MIRELLA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MILETO ATTILIO, nato il 16/08/1961 ad ALBA (CN),

avverso la sentenza del 07/04/2017 della CORTE DI APPELLO di TORINO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere MIRELLA AGLIASTRO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
SIMONE PERELLI, il quale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito l’avvocato GIONA SCAGLIA del foro di MILANO, difensore di CONCA
VALERIA e CONCA ELISABETTA, il quale si è richiamato alla memoria già
presentata ed ha depositato conclusioni e nota spese;
udito l’avvocato MONICA ALESSANDRA ROSSI del foro di VERBANIA, difensore di
MILETO ATTILIO, la quale ha insistito nell’accoglimento dei motivi di ricorso.

Data Udienza: 06/02/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 07/44/2017 la Corte di appello di Torino, in parziale
riforma della sentenza del locale Tribunale in data 12/4/2016, riduceva la pena
inflitta a Mileto Attilio nella misura di anni uno e mesi sei di reclusione
concedendo i doppi benefici di legge, confermando le statuizioni civili.
In primo grado l’imputato era stato condannato alla pena di anni due e mesi

favore delle costituite parti civili Conca Elisabetta e Conca Valeria nonché
Comune di Ghiffa, per i reati di tentata induzione indebita e omissione di
denuncia.
Con riferimento alla imputazione di cui al capo a) – art. 56, 81 comma 2,
319 quater cod. pen. – si addebitava al Mileto di avere, abusando della sua
qualità di pubblico ufficiale responsabile dell’Ufficio Tecnico Edilizia Privata del
Comune di Ghiffa (provincia di Verbania), compiuto atti idonei, diretti in modo
non equivoco a indurre le sorelle Conca Elisabetta e Conca Valeria a concedere
indebitamente, a vantaggio della proprietà immobiliare intestata alla moglie Tosi
Elena, una servitù di passaggio che sarebbe gravata sul terreno sito in Ghiffa di
proprietà delle persone offese. Al capo b) si addebitava al Mileto il reato di cui
all’art. 361 cod. pen., consistente nell’avere omesso, in qualità di pubblico
ufficiale responsabile dell’Ufficio Edilizia Privata del Comune di Ghiffa, di riferire
all’Autorità Giudiziaria l’accertato abuso edilizio costituente reato commesso in
epoca risalente dalla famiglia Conca sul terreno della loro proprietà,
rappresentato da una tettoia aperta su due lati in muratura in territorio
sottoposto a vincolo paesaggistico.
I giudici di merito, ricostruendo la vicenda in esame, hanno evidenziato che
il ricorrente aveva avanzato alle persone offese plurime richieste di concessione
del diritto reale di servitù; le aveva informate che di fronte al loro diniego,
avrebbe potuto, quale responsabile dell’Ufficio Tecnico Edilizia Privata,
denunciare l’esistenza della violazione di edilizia-ambientale nella loro proprietà,
costituito dal porticato in muratura costruito nei primi anni ’80 in assenza di
autorizzazione. Il Mileto si era attivato per incontrare il legale di fiducia delle
sorelle Conca (il primo incontro era avvenuto il 30/8/2013), al quale aveva
prospettato che se gli fosse stata concessa la servitù richiesta, avrebbe rilasciato
un’autorizzazione a costruire in sanatoria (ma il manufatto non aveva il requisito
della doppia conformità urbanistica e paesaggistica ai sensi dell’art. 36 d.P.R. n.
380/2001).

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di reclusione ed euro 300,00 di multa oltre che al risarcimento dei danni in

Gli interventi della polizia giudiziaria avevano consentito di rinvenire nel
computer di Mileto Attilio la trascrizione del colloquio tra lo stesso ed il legale
delle signore Conca, avvenuto il 30/8/2013, che era stato dallo stesso registrato
e riversato nel suo computer (come confermato dal legale delle persone offese,
la cui attendibilità della deposizione non era mai stata contestata dall’imputato).
Un ulteriore incontro era avvenuto il 4/11/2013 presso lo studio del legale
predetto e del geometra di fiducia delle medesime, nel corso del quale era stata
reiterata la stessa richiesta illecita, non riuscendo l’imputato nell’intento per il

La Corte di appello, confermando la sentenza di primo grado, aveva
riconosciuto la responsabilità di Mileto Attilio per entrambi i reati addebitatigli,
per avere l’imputato rivolto pressioni sulla libera determinazione delle titolari del
fondo viciniore al fine di ottenere la costituzione di una servitù in proprio favore,
subordinando il rilascio della sanatoria per il manufatto abusivo accertato
nell’aprile 2013 (mai denunciato all’autorità giudiziaria) alla concessione del
diritto reale, prospettando un vantaggio per le germane Conca, proposta che
però non venne mai accolta dalle sorelle.
Agli atti del Comune esisteva una lettera dell’8/8/2013 con cui il Mileto
aveva attestato l’esistenza della doppia conformità del manufatto abusivo delle
sorelle Conca, atto prodromico al tentativo di induzione all’ottenimento della
servitù prediale in favore del proprio fondo. Infatti, la trattativa con le persone
offese era stata preceduta da attività tecnico-amministrativa con cui l’imputato
aveva contestato alle sorelle Conca la realizzazione nel loro fondo di una tettoia
aperta su due lati, senza titolo ed in area soggetta a vincolo paesaggistico, e su
tale pratica, la commissione edilizia del Comune di Ghiffa aveva espresso parere
favorevole, ritenendo l’opera compatibile sotto il profilo paesaggistico.
La Sovrintendenza dei Beni Architettonici e Paesaggistici per le provincia di
Novara, Alessandria e Verbania, aveva sospeso il parere obbligatorio in attesa di
conoscere se il manufatto costituisse o meno “volumetria”.
In occasione dell’inizio dei lavori (regolarmente autorizzati) svolti nel fondo
della moglie dell’imputato per il ripristino di un passo pedonale e carraio, le
sorelle Conca avevano sporto atto di denuncia-querela in data 22/4/2014 e
intentavano causa civile per negatoria servitutis; questo procedimento era stato
definito con sentenza del Tribunale di Verbania n. 31/2016 divenuta irrevocabile,
la quale riconosceva che l’area su cui si doveva creare la servitù in favore della
moglie dell’imputato non era mai stata di proprietà delle sorelle Conca o dei loro
danti causa, in quanto di proprietà pubblica e gravata da vincolo di uso civico,
sentenza che era intervenuta prima dell’inizio del processo di primo grado e che

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rifiuto opposto dalle persone offese.

statuiva l’inesistenza dei diritti di proprietà affermati dalle sorelle Conca sull’area
culla quale doveva essere costituita la servitù prediale.
2. Ricorre per cassazione Mileto Attilio per il tramite del suo difensore
deducendo i seguenti motivi:
1) violazione di legge ai sensi dell’art 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen.,
travisamento delle risultanze istruttorie in relazione agli artt. 565, 319 quater,
49, art. 167 D.Ivo n. 42/2004 e succ. mod., 530 cod. proc. pen. Ritiene la difesa
che il reato contestato al capo a) vada qualificato come reato impossibile ai sensi
dell’art. 49 cod. pen. per inidoneità dell’azione sia in forma agevolativa,

promessa o garantita sia nella forma negativa, quanto al potere dell’imputato di
impedire il buon esito della pratica edilizia delle sorelle Conca, in assenza
dell’ottenimento di un’utilità personale.
2) violazione di legge e vizio di motivazione, travisamento di prove in
relazione agli artt. 56, 319 quater cod. pen. e 530 cod. proc. pen. La difesa
sostiene che essendosi accertato – a posteriori – che l’area in cui avrebbe dovuto
insistere la servitù di passaggio non era di proprietà delle sorelle Conca, ma
proprietà del Comune di Ghiffa, gravata da usi civici, il reato non si poteva
configurare, nemmeno nella forma del tentativo.
3) mancata assunzione di una prova decisiva ai sensi dell’art. 606 lett. d),
violazione di legge, ai sensi dell’art. 603, 190 cod. proc. pen. Non è stata
disposta l’audizione del funzionario attualmente addetto al Servizio EdilizioUrbanistica sullo stato attuale della pratica di rilascio della sanatoria per il
porticato abusivo.
4)

violazione di legge e travisamento delle prove con riferimento

all’insussistenza del reato di cui all’art. 361 cod. pen. di cui al capo b)
dell’imputazione. La Corte di appello ritiene sussistente anche questo reato
poiché, l’imputato quale pubblico ufficiale, non comunicò all’Autorità Giudiziaria
l’avvenuto accertamento del reato urbanistico riguardante il porticato abusivo.
Sostiene la difesa che l’imputato Mileto era uno dei tanti poteri amministrativi
che potevano esprimere la volontà della Pubblica Amministrazione sulla pratica
delle sorelle Conca. Il Mileto, peraltro, aveva già rilasciato il suo parere
favorevole in data 8/8/2013.
5) violazione di legge ai sensi dell’art. 606 lett. b) cod. proc. pen. per
ingiustificato diniego delle attenuanti generiche ed erronea determinazione della
pena irrogata. Esse potrebbero essere concesse considerando l’incensuratezza, le
modalità in forma di tentativo della condotta.
3. In data 22/1/2018 veniva presentata memoria ai sensi dell’art. 611 cod.
proc. pen. nell’interesse delle parti civili, sorelle Conca. Con tale atto si evidenzia
che la pratica di sanatoria era tutt’altro che conclusa per la parte che riguardava
i \
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il Comune di Ghiffa, poiché esiste una comunicazione interlocutoria della
Sovrintendenza del 16/10/2013 che era stata trasmessa al Comune di Ghiffa, nei
confronti della quale il Mileto, nelle date 28/10/2013 e 6/11/2013, aveva
interloquito con la Sovrintendenza comunicando di non avere ottenuto dalle parti
i chiarimenti richiesti. Si tratta di date successive al 30/8/2013 giorni in cui era
avvenuto l’incontro del Mileto nello studio del difensore delle persone offese.

1.

Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato

inammissibile, anche per la sostanziale reiterazione delle contrapposte
prospettazioni difensive, già dedotte presso i giudici di merito e respinte con
motivazione congrua ed esaustiva.
2. Con il primo motivo il ricorrente ritiene che possa trovare applicazione,
nel caso di specie, la figura del “reato impossibile”, atteso che non sarebbe stato
nel potere dell’imputato impedire il buon esito della pratica edilizia intestata alle
sorelle Conca, a fronte dell’ottenimento di un’utilità personale del Mileto e
soprattutto perché erano stati rilasciati parere favorevoli in materia ambientale
da parte delle autorità comunali, circostanze da rendere inattuabile la
configurazione del reato.
Va in primo luogo puntualizzato che risulta smentito che il Mileto avesse
esaurito la sua attività amministrativa in data 8/8/2013, con il rilascio del parere
favorevole, avendo interloquito, attraverso alcune e-mail con la Soprintendenza
BB.CC .AA., proprio con riferimento al manufatto abusivo delle persone offese.
Inoltre, quand’anche più organi siano stati chiamati a rendere pareri e atti ai fini
delle autorizzazioni urbanistico-paesaggistiche, tali atti si fondano sull’istruttoria
curata dall’Ufficio Tecnico Comunale (e nel Comune di Ghiffa il funzionario
addetto era l’imputato, che infatti, aveva curato l’iter tecnico-amministrativo);
infine, il cuore della condotta illecita, oggetto della contestazione, è la
strumentalizzazione dell’attività d’ufficio da parte del ricorrente, per compiere
atti di convincimento, induzione e suggestione alle parti offese, prospettando
plausibili esiti favorevoli su cui l’autore mostra di potere influire.
Per la configurabilità del reato impossibile, “l’inidoneità” deve essere
assoluta per inefficienza strutturale e strumentale del mezzo usato, tale da non
potere consentire neppure in via eccezionale l’attuazione del proposito criminoso.
Viceversa, “l’idoneità” degli atti, valida per l’integrazione della figura del
delitto tentato deve essere considerata nella sua potenzialità, causalmente atta a
conseguire il risultato progettato, dovendosi avere riguardo alla situazione che
l’agente si era prospettato al momento dell’azione criminosa e prescinde dal

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CONSIDERATO IN DIRITTO

contemporaneo intervento esterno che abbia impedito la realizzazione
dell’evento.
In materia di reato impossibile, l’inidoneità dell’azione che rende impossibile
l’evento dannoso o pericoloso esige che l’incapacità di produrre l’evento sia
“assoluta, intrinseca e originaria” secondo una valutazione oggettiva da
compiersi ex ante, risalendo al momento iniziale del suo compimento, e ciò
indipendentemente da ogni cautela predisposta dalla persona offesa ovvero
intervento successivo che abbia impedito la realizzazione di tale evento (Sez. 1,

15/10/2014 Rv. 263058; Sez. 2, sentenza n. 36631 del 15/05/2013, Rv.
257063; Sezione 1, sentenza del 2/2/2007 n. 4359, non mass.)
L’idoneità degli atti va valutata ex ante in relazione alla condotta originaria
dell’agente e non con riferimento alle circostanze impreviste che abbiano
impedito il verificarsi dell’evento o il compimento dell’azione: essa è invero,
criterio di determinazione dell’adeguatezza causale, intesa come attitudine a
creare una situazione di pericolo attuale e concreto, di lesione del bene protetto
dalla norma incriminatrice.
L’univocità degli atti è espressa dal riferimento di essi al delitto consumato e
deve essere tale da non consentire la realizzazione degli stessi o in base alla loro
essenza o in base alla prova specificamente acquisita, tenendo conto della
finalità della commissione di un determinato delitto.
In applicazione dei sopraesposti principi, va osservato che il ricorrente,
ignaro che la porzione confinante fosse in realtà di proprietà pubblica, gravata da
vincolo di uso civico, aveva pesantemente pressato le parti civili, per ottenere la
servitù prediale, allettandole con la prospettiva di eliminare la vertenza
urbanistica e paesaggistica che avrebbe potuto gravare sul porticato
abusivamente costruito in epoca risalente e mai sanato: con ciò integrando
compiutamente la fattispecie addebitata, non consumata per la ferma
opposizione delle destinatarie e posta in essere abusando dei poteri pubblicistici
di cui era investito il Mileto, quale funzionario dell’UTC del Comune di Ghiffa.
3. Con il secondo motivo si lamenta la configurazione del reato addebitato al
capo a) nella forma del tentativo che, secondo l’assunto difensivo, non sarebbe
invece configurabile, in quanto rimasto allo stadio della condotta non punibile.
La Corte aveva ritenuto sussistente il delitto nella forma tentata in termini di
persuasione e pressione morale per conseguire un vantaggio indebito,
prospettando alle sorelle Conca il rilascio di un permesso in sanatoria contra
legem

(illecito beneficio per la persona offesa, poiché assente la doppia

conformità edilizia ai sensi dell’art. 36 comma 1 d.P.R. n. 380/01).

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sentenza n. 36726 del 02/07/2015 Rv. 264567; Sez. 5, sentenza n. 9254 del

Vale al riguardo ribadire che alla stregua della giurisprudenza formatasi
dopo la introduzione della legge 6/11/2012, n.190, nella fattispecie consumata,
la condotta di induzione richiesta per la configurabilità del delitto di cui all’art.
319 quater cod. pen. sussiste quando, in assenza di minaccia vengano
prospettate da parte del pubblico ufficiale conseguenze sfavorevoli derivanti
dall’applicazione della legge per ottenere denaro o altra utilità. Il reato è
caratterizzato dall’abuso induttivo del pubblico ufficiale tramite una condotta di
persuasione, di suggestione, o pressione morale con più tenue valore

disponendo di più ampi margini decisionali, finisce con il prestare acquiescenza
alla richiesta di prestazione non dovuta, perché motivato dalla prospettiva di
conseguire un indebito tornaconto personale. Il reato si caratterizza per una
minore intensità della pressione psicologica esercitata sul soggetto passivo
dell’agente pubblico, ma l’elemento discriminante rispetto alla concussione è
dato dalla tipologia del danno prospettato, che è ingiusto ai sensi dell’art. 317 e
conforme alle previsioni normative in quello di cui all’art. 319 quater cod. pen.
Il delitto si configura in forma tentata – per quello che interessa il caso in
esame – nell’ipotesi in cui l’evento non si verifichi per la resistenza opposta dal
privato alle illecite pressioni del pubblico agente (Sezione 6 sentenza n. 46071
del 22/7/2015, Rv. 265351).
Ai fini della configurabilità del tentativo di induzione indebita di cui all’art.
319 quater cod. pen., che deve ritenersi integrato quando l’evento non si verifica
per la resistenza opposta dal privato alle illecite pressioni del pubblico agente,
non è necessario il perseguimento di un indebito vantaggio da parte di
quest’ultimo poiché tale elemento rileva esclusivamente per la sussistenza della
fattispecie consumata (Sezione 6 sentenza n. 32246 dell’11/4/2014, Rv.
262075) n. 6846 del 12/1/2016, Rv. 265901; Sez. 6 sentenza n. 35271 del
22/6/2016, Rv. 267986). Qualificare una fattispecie concreta come tentativo di
induzione indebita prevista dagli artt. 56 e 319 quater c.p., non implica la
necessità dell’ulteriore requisito costituito dal perseguimento di un indebito
vantaggio da parte dei privati.
4. Con il terzo motivo si lamenta che non è stata disposta l’audizione del
funzionario addetto al servizio edilizia urbanistica sullo stato attuale della pratica
di rilascio della sanatoria per il porticato abusivo. Il motivo è, palesemente
infondato, per la evidente irrilevanza della escussione del funzionario anzidetto,
risultando dagli atti che sia la pratica di compatibilità paesaggistica, sia quella di
compatibilità urbanistica ed edilizia intestata alle sorelle Conca, erano pendenti al
momento del ricorso.

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condizionante la libertà di autodeterminazione del destinatario il quale,

5. Con il quarto motivo si deduce l’insussistenza del reato di omessa
denuncia da parte dell’imputato di cui al capo b) della rubrica.
Il Mileto, che aveva accertato un illecito urbanistico riguardante il porticato
abusivo delle sorelle Conca, non comunicò all’autorità giudiziaria la notizia di
reato che era emersa, bensì si servì di tale circostanza – da lui appresa nella
qualità di funzionario dell’Ufficio Tecnico Comunale – come espediente per
indurre le persone offese a concedergli la servitù prediale in cambio della sua
inerzia consapevole. È proprio in tale espediente che si annida la malizia del
pubblico ufficiale nel prospettare alle sorelle Conca ed al loro difensore di fiducia

la possibilità di rilascio di un’autorizzazione in sanatoria per regolarizzare il
manufatto che era stato costruito abusivamente molti anni prima, per ottenere la
concessione di una servitù prediale gravante sul fondo viciniore. Dall’esame di
tale condotta deriva la perfetta consapevolezza del ricorrente che la realizzazione
del porticato senza le dovute autorizzazioni doveva essere comunicata all’Ufficio
della Procura in quanto costituente illecito edilizio, essendo l’imputato proprio il
funzionario preposto alla trattazione della materia edilizia nel suo Comune e
adeguato conoscitore della materia trattata.
E’ infondato l’assunto difensivo secondo cui non costituisce omissione punita
dall’art. 361 cod. pen. la mancata comunicazione all’autorità giudiziaria delle
domande di sanatoria degli abusi edilizi pervenuti alla Pubblica amministrazione
(giustificata dalla prassi dell’ufficio Tecnico Comunale di Ghiffa, che, in presenza
di sanatoria di abuso edilizio, si notiziava la Procura della Repubblica solo al
momento del rilascio del corrispondente provvedimento amministrativo). Il
Mileto aveva strumentalizzato la conoscenza dell’abuso, per gestire per suo
tornaconto la procedura di eventuale autorizzazione in sanatoria, rilasciando
parere favorevole.
6. Con il quinto motivo si lamenta l’ingiustificato diniego delle circostanze
attenuanti generiche e l’entità della pena inflitta (peraltro ridotta, in appello,
nella misura di anni uno e mesi sei di reclusione). La mancata concessione delle
circostanze innominate, congruamente ed esaustivamente è stata motivata dalla
Corte per la sussistenza di elementi negativi costituiti dalla grave deviazione dei
doveri funzionali e dall’intensità del dolo manifestata dal ricorrente, reiterando il
medesimo per mesi, la condotta induttiva, ed infine, trattandosi di reati
commessi con abuso di poteri, in violazione dei doveri inerenti alla pubblica
funzione, non appare congruo alcun trattamento di maggiore benevolenza
7. Dalla inammissibilità del ricorso deriva ex art. 616 cod. proc. pen. la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in
favore della cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si’
stima equo determinare in euro 2000,00.

i

8. L’imputato Mileto Attilio deve essere condannato al pagamento delle
spese del grado sostenute dalla parte civile Conca Valeria e Conca Elisabetta, che
liquida nella complessiva somma di euro quattromila oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro duemila alla Cassa delle

rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Conca
Valeria e Conca Elisabetta che liquida nella complessiva somma di euro
quattromila oltre accessori di legge.

Così deciso il 06/02/2018

Ammende. Condanna inoltre il ricorrente alla rifusione delle spese di

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