Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17987 del 24/01/2018

Penale Sent. Sez. 6 Num. 17987 Anno 2018
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: D’ARCANGELO FABRIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A.A.

avverso la sentenza del 07/06/2017 della Corte di appello di Lecce

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Fabrizio D’Arcangelo;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Ciro Angelillis, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
uditi i difensori, avv. Franco Carlo Coppi ed avv. Gianfranco Chiariello, che hanno
chiesto l’accoglimento dei motivi di ricorso ed il conseguente annullamento della
sentenza impugnata;

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Lecce ha confermato la
sentenza di condanna emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale

Data Udienza: 24/01/2018

J

di Lecce in data 8 gennaio 2014 ed appellata dall’imputato A.A., che
ha condannato al pagamento delle spese del grado.

2. A.A. è imputato del delitto di corruzione in atti giudiziari di
cui agli artt. 110, 81, 319-ter cod. pen., commesso in Modugno e Corato dal
mese di ottobre del 2007 al febbraio del 2008, in quanto aveva corrisposto, nella
qualità di difensore di plurimi soggetti sorvegliati speciali di P.S., utilità non
dovute al Giudice di pace di S.S. affinché costui compiesse

indipendenza propri dell’esercizio della funzione giurisdizionale.
Secondo l’ipotesi di accusa, il giudice di pace S.S. si era posto a
disposizione dell’avvocato A.A., asservendo e piegando il proprio ruolo al
soddisfacimento delle aspettative del difensore, riservando alle cause di
quest’ultimo una corsia preferenziale nei procedimenti iscritti presso gli uffici del
Giudice di pace di Modugno e di Corato.
In particolare lo S.S. aveva alterato il meccanismo di assegnazione
del contenzioso, trattenendo sei ricorsi presentati dall’A.A. e smistandone
altre sei a R.C., “compiacente” giudice di pace di Corato, in
violazione della precostituzione del giudice naturale per legge, aveva emanato
tempestivamente i provvedimenti di sospensione della revoca della patente di
guida e dilatato, in maniera ingiustificata il corso della procedura, mediante
pretestuosi rinvii della trattazione, in modo da vanificare la misura disposta dal
prefetto e far coincidere la durata del processo di merito con quella della revoca
della patente di guida.
Lo S.S. avrebbe, per tali favori, ricevuto dall’A.A. utilità non
dovute, tra le quali, in occasione delle festività natalizie del 2007, una confezione
contenente 7-8 aragoste, salmone, caviale e champagne.

3. L’avv. Giancarlo Chiariello, difensore dell’A.A., ricorre avverso tale
sentenza e ne chiede l’annullamento, deducendo tre motivi di ricorso e,
seg nata mente:
– il vizio di motivazione e la violazione di legge in relazione agli artt. 546,
comma 1, lett. e), 192, comma 1 e 2, cod. proc. pen. e 319-ter cod. pen.;

la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta

sussistenza della corruzione in atti giudiziari nella forma susseguente;

il vizio di motivazione e la violazione di legge in relazione agli artt. 546

comma 1, lett. e), cod. proc. pen. e 319, 319-ter e 323 cod. pen., in quanto la
motivazione era graficamente inesistente nella parte in cui erano state negate

2

atti contrari ai doveri di ufficio in violazione dei doveri di imparzialità ed

all’A.A. le attenuanti generiche ed una diversa dosimetria sanzionatoria
coniugabile con la sospensione condizionale della pena.

4. Con memoria depositata in data 20.12.2017 l’avv. Giancarlo Chiariello
ha eccepito la nullità, ai sensi dell’art. 178, lett. c), cod. proc. pen. della notifica
dell’avviso di deposito della sentenza impugnata all’imputato, in quanto eseguita
non già presso la propria residenza (Trani, Via Aldo Moro n. 10), domicilio
dichiarato dall’A.A., bensì presso il proprio studio professionale (Trani, Via

Il ricorrente ha chiesto, pertanto, la regressione del procedimento nella
fase in cui si era verificata la nullità al fine di consentire il corretto
perfezionamento della notifica dell’avviso di deposito.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in quanto proposto per
motivi diversi da quelli consentiti dall’art. 606 cod. proc. pen. e, comunque,
manifestamente infondati.

2. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 606,
comma 1, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 546, comma 1,
lett. e), 192, comma 1 e 2, cod. proc. pen. ed agli artt. 49, 240, 322-ter, 319ter cod. pen., in quanto la Corte di appello non aveva offerto, neppure
graficamente, una risposta alla censura della difesa che aveva sollecitato la
riqualificazione dei delitti contestati in abuso di ufficio ovvero di corruzione
semplice.
La Corte di appello aveva, inoltre, fondato il proprio convincimento su
congetture che non trovavano conferma in alcuna evidenza probatoria; non vi
era, infatti prova che i provvedimenti di sospensiva adottati dal giudice di pace
S.S. fossero, di seguito, stati revocati o annullati in sede di gravame per
difetto di competenza o di legittimazione.
Il Cristallini, inoltre, non era stato imputato e, pertanto, i provvedimenti
adottati dal medesimo si sottraevano a qualsiasi diagnosi non solo di illiceità, ma
anche solo di illegittimità formale.
Proprio la indicazione del giudice competente ad opera del Coordinatore
dell’ufficio del Giudice di pace (in uno spazio lasciato volutamente in bianco nel
ricorso dall’A.A.) rispondeva, invero, alla necessità di assicurare il rispetto
delle regole sulla competenza.

3

Cavour n. 148).

Irrazionale era, inoltre, l’addebito fondato sulla tempestività nella adozione
dei provvedimenti di sospensiva della sanzione accessoria.
La tempestività nella adozione dei provvedimenti cautelari, stigmatizzata
dalla Corte di appello, infatti, non era indice di accordo collusivo, bensì di
efficienza e tempestività della risposta giurisdizionale in sede cautelare.
La dilatazione dei tempi di trattazione del merito dei ricorsi, tramite rinvii,
giudicati pretestuosi, non era frutto, inoltre, di sviamento dalla funzione
giurisdizionale, bensì di un orientamento giurisprudenziale che riteneva che i

sorvegliati speciali costituissero un impedimento al processo di reinserimento dei
medesimi nel tessuto sociale e lavorativo.
Non vi era stata, inoltre, alcuna alterazione del processo attraverso il quale
si era pervenuti alla decisione.
Le intercettazioni telefoniche, del resto, non avevano disvelato alcun patto
corruttivo prima del Natale ed a Natale, epoca nella quale era stato consegnato il
cesto in dono allo S.S., erano solo emersi contatti tra questo ultimo e
l’A.A. connotati da una particolare familiarità. Si era, pertanto, in presenza di
un travisamento della prova.
La sentenza impugnata non dimostrava, inoltre, il “collegamento causale”
tra il dono ed i precedenti atti, né il dolo che deve sorreggere anche la forma di
corruzione susseguente; la Corte di appello, soprattutto, aveva trascurato di
collocare la vicenda nel contesto del legame di amicizia tra l’A.A. e lo
S.S., preesistente e non occasionato dall’assunzione dello

status di

Giudice di pace di quest’ultimo.
Il cesto era, inoltre, stato inviato in occasione del Natale e non in
coincidenza delle decisioni da adottare; era un dono isolato, nell’ambito di una
relazione di amicizia e di frequentazione tra l’A.A. e lo S.S.
Tale bene, inoltre, non poteva assurgere a prezzo del reato contestato,
anche perché non eccedeva, per lo meno nelle intenzioni dell’avvocato, un valore
compatibile con le relazioni di cortesia richiamate dalla norma e dagli usi sociali.
La manifestazione di incredibilità dello S.S. all’atto della ricezione
del cesto, del resto, dimostrava come lo stesso non si fosse motivato alla
adozione dei provvedimenti oggetto di incriminazione nella ragionevole fondata
aspettativa di un ritorno economico o di una futura ricompensa, ma, al contrario,
che tale possibilità esulava integralmente dal suo ambito previsionale.
La motivazione della sentenza impugnata si rivelava, pertanto,
manifestamente illogica, oltre che ampiamente infedele al testo del processo.

4

provvedimenti prefettizi di revoca della patente di guida nei confronti dei

3. Tale articolata censura si rivela, tuttavia, inammissibile in quanto, come
è testimoniato dalla ampia e diffusa riproposizione nel ricorso del testo delle
intercettazioni, intende pervenire, mediante un diretto esame delle stesse, ad
una diversa (e più favorevole) lettura dei fatti posti a fondamento delle sentenze
di merito.
Nel giudizio di cassazione sono, tuttavia, precluse al giudice di legittimità la
rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e
l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione

migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez.
6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482).
La Corte di appello di Lecce ha, peraltro, rilevato, del tutto logicamente e
congruamente, come fossero stati acclarati plurimi atti contrari ai doveri di
ufficio posti in essere da parte dello S.S., che aveva riservato a sé o ad
altro collega a lui collegato, il Giudice di pace Roberto Cristallini, la trattazione di
dodici ricorsi proposti dall’avv. A.A., in violazione della disciplina tabellare che
regola le assegnazioni degli affari.
Dalle risultanze probatorie era, inoltre, emerso che in tutti i ricorsi proposti
dall’A.A. e decisi dallo S.S. e dal C.C., i ricorrenti avevano
ottenuto in tempi celeri la sospensione dei provvedimenti prefettizi di revoca
della patente, tanto da essere rientrati in possesso del titolo abilitativo alla guida
pur nel periodo di sottoposizione alla misura della sorveglianza speciale di
Pubblica Sicurezza.
La trattazione del processo di merito era, inoltre, stata dilata
pretestuosamente sino al termine di efficacia della revoca della patente intimata
dal Prefetto, vanificando, in tal modo, la irrogazione di tale misura sanzionatoria.
Nessun rilievo può, inoltre, assumere la mancata dimostrazione della
illegittimità dei singoli provvedimenti giurisdizionali indicati nella imputazione, in
quanto la Corte di appello di Lecce, in consapevole consonanza con i principi
sanciti dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nel caso Mills (Sez. U, n.
15208 del 25/02/2010, Mills,) ha, inoltre, rilevato che ciò che assumeva rilievo
qualificante nella specie era la contaminazione del libero ed indipendente
esercizio della funzione giurisdizionale e la previa assicurazione di una gestione
assolutamente parziale dei ricorsi propositi dall’imputato operata dallo
S.S..
Non era, pertanto, il contenuto dell’atto giudiziario in sé a qualificare come
propria o impropria la corruzione, ma il metodo mediante il quale si era giunti
alla decisione, che, pur formalmente corretta in ipotesi, era risultata
compromessa a priori.

5

dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una

Nel delitto di corruzione in atti giudiziari, infatti, per stabilire se la decisione
giurisdizionale sia conforme o contraria ai doveri di ufficio deve aversi riguardo
non al suo contenuto ma al metodo con cui a essa si perviene, nel senso che il
giudice, che riceve da una parte in causa denaro o altra utilità o ne accetta la
promessa, rimane inevitabilmente condizionato nei suoi orientamenti valutativi,
e la soluzione del caso portato al suo esame, pur accettabile sul piano della
formale correttezza giuridica, soffre comunque dell’inquinamento metodologico a
monte (Sez. 6, n. 33453 del 04/05/2006, Battistella, Rv. 234362).

ordine alla inidoneità del cesto natalizio indicato nella imputazione ad integrare
una retribuzione di natura corruttiva, stante il proprio modico valore e la
conseguente riconducibilità alla categoria delle regalie d’uso di modico valore che
i pubblici ufficiali sono facultati a ricevere (c.d.

munuscula)

secondo le

prescrizioni dell’art. 4 del d.P.R. 16 aprile 2013 n. 62 del 2013.
Tali doglianze, infatti, si risolvono in una rilettura del fatto e si rivelano
radicalmente in contrasto con quanto congruamente accertato dai giudici di
merito relativamente al significativo valore di tale bene alla stregua della
indicazione rivolta dall’A.A. al titolare della pescheria di comporre il cesto
senza limiti di spesa (“tu non ti creare problemi di niente”) ed al commento dello
S.S. che, sorpreso dalla entità del dono, aveva amichevolmente
rimbrottato l’imputato per aver “esagerato”, tanto da averlo messo “in
imbarazzo”.

4. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione di legge ed il
vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della corruzione in atti
giudiziari.
La Corte di appello di Lecce, infatti, non aveva offerto, neppure
graficamente una risposta nella motivazione della sentenza impugnata, ai motivi,
puntualmente articolati, che sollecitavano una riqualificazione della condotta
contestata in termini di abuso di ufficio ovvero di corruzione semplice ai sensi
dell’art. 319 cod. pen.
La corruzione nella forma susseguente era, del resto, difficilmente
configurabile nella specie, in quanto difettava non solo un accordo preventivo,
ma anche una convenzione postuma con il pubblico ufficiale.
La figura della corruzione susseguente in atti giudiziari, inoltre, determina
una torsione della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 319-ter cod. pen. e
concreta una analogia in malam partem che preclude di estendere la sanzione
penale a fatti non previsti come reato o, comunque, espressione di un contenuto
di disvalore eterogeneo rispetto a quelli selezionati dal legislatore.

6

Parimenti inammissibili, si rivelano le censure proposte dal ricorrente in

5. Manifestamente infondato si rivela, tuttavia, tale motivo di ricorso in
quanto, secondo un incontrastato orientamento della giurisprudenza di
legittimità, dal quale non vi è ragione per discostarsi, il delitto di corruzione in
atti giudiziari si configura pur quando il denaro o l’utilità siano ricevuti, o di essi
sia accettata la promessa, per un atto già compiuto, cosiddetta corruzione
susseguente (ex plurimis: Sez. U, n. 15208 del 25/02/2010, Mills, Rv 246581)
ed è indifferente, ai fini della sua configurabilità, che l’atto compiuto sia

Rv. 244973; Sez. 6, n. 25418 del 20/06/2007, Giombini, Rv. 236859).
La adesione a tale condiviso principio di diritto esime dallo scrutinare la
fondatezza delle qualificazioni alternative prospettate dal ricorrente.
Indubitabile era, inoltre, nella lettura logica e coerente della Corte di
appello di Lecce, la chiara connessione causale stabilita dagli interlocutori tra la
ricezione di tale donativo ed i favoritismi (“le solite cose”, le “rotture di coglioni”)
posti in essere dallo S.S. nell’interesse dell’A.A..
Ritiene, pertanto, il Collegio che la motivazione della sentenza impugnata
sia logica ed immune dai vizi di legittimità denunciati dal ricorrente con il primo
motivo.

6.

Con il terzo motivo il ricorrente, da ultimo, censura il vizio di

motivazione e la violazione di legge in relazione agli artt. 546 comma 1, lett. e),
cod. proc. pen. e 319, 319-ter e 323 cod. pen., in quanto la motivazione era
graficamente inesistente nella parte in cui erano state negate A.A. le
attenuanti generiche ed una diversa dosimetria sanzionatoria coniugabile con la
sospensione condizionale della pena.
La motivazione della sentenza impugnata sul punto si rivelava meramente
apparente, in quanto A.A. non era inserito in un sistema collaudato e
sperimentato di rapporti illeciti con lo S.S., essendo i contati intervenuti
prima del Natale del 2007 privi di qualsiasi connotazione penalmente illecita.
L’unico addebito rivolto A.A.  si risolveva e si esauriva nell’invio, in via
postuma rispetto agli atti esercizio della funzione giurisdizionale contestati, del
cesto allo S.S. in occasione delle festività natalizie; tale donativo, inoltre,
non si inseriva in un contesto di ripetizione seriale della condotta illecita, assunta
a consuetudine di vita o stile di vita professionale.
Al contrario, la Corte di appello di Lecce aveva obliterato plurimi elementi
rilevanti ai sensi dell’art. 133 cod. pen. e, segnatamente, la incensuratezza
dell’imputato, l’assenza di carichi pendenti dopo l’infortunio del 2007, la modesta
intensità del dolo.

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conforme, o non, ai doveri di ufficio (Sez. 6, n. 36323 del 25/05/2009, Drassich,

La esplicita carenza di una compiuta ed analitica disamina di tali elementi
di giudizio viziava, in maniera insanabile, la motivazione della sentenza
impugnata sul punto.
D’altro canto la scelta sanzionatoria della Corte risultava distonica con il
principio costituzionale orientato al recupero sociale del condannato ed al
conseguente ripudio di ogni logica meramente retributiva.

7. Anche tale motivo si rivela inammissibile, in quanto il ricorrente

delle circostanze attenuanti generiche, ma non dimostra la carenza o la
manifesta illogicità del convincimento espresso dalla Corte di appello di Lecce.
In tema di attenuanti generiche, infatti, il giudice del merito esprime un
giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché
sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli
indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione
o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269).
La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle
diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra, infatti,
nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la
pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne
discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad
una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia
frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente
motivazione (ex plurimis: Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Ferrario, Rv 259142).
Nessuna violazione di legge è, inoltre, ravvisabile sul punto, in quanto ai
fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della
concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è, inoltre, tenuto a
prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo
sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi
alla concessione delle attenuanti (ex plurimis: Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016,
De Cotiis, Rv. 265826; Sez. 4, n. 23679 del 23/04/2013, Viale, Rv. 256201).
Nella specie, peraltro, la Corte di appello di Lecce ha, tutt’altro che
incongruamente, escluso la concessione delle circostanze attenuanti generiche in
ragione della “negativa personalità” dell’imputato, desunta dalla pervicacia con la
quale la condotta illecita era stata posta in essere, dai numerosi “contatti illeciti”
captati in una arco di tempo “davvero contenuto” e dall’assenza di elementi
evincibili dagli atti suscettivi di valutazione positiva.
Il parametro valutativo del trattamento sanzionatorio è, del resto,
desumibile dal testo della sentenza impugnata riguardata nel suo complesso

8

argomenta la opportunità di una diversa valutazione in punto di concessione

argomentativo e non necessariamente nella parte destinata alla mera
quantificazione della pena (ex plurimis:

Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016,

Rignanese, Rv. 267949); in tale prospettiva interpretativa la valutazione di
immeritevolezza della concessione delle circostanze attenuanti generiche è stata
motivata, tutt’altro che illogicamente, nella sentenza impugnata con riferimento
alla ritenuta gravità della condotta accertata, desunta anche del numero di
procedimenti, ben dodici, per i quali l’A..A si è avvalso dei favori dello

8. Con memoria depositata in data 20 dicembre 2017 l’avv. Giancarlo
Chiariello ha depositato una memoria difensiva nella quale ha eccepito la nullità,
ai sensi dell’art. 178, lett. c), cod. proc. pen. della notifica dell’avviso di deposito
della sentenza impugnata all’imputato, in quanto eseguita non già presso la
propria residenza (Trani, Via Aldo Moro n. 10), domicilio dichiarato dall’A.A.,
bensì presso il proprio studio professionale (Trani, Via Cavour n. 148).
Il ricorrente ha chiesto, pertanto, la regressione del procedimento nella
fase in cui si era verificata la nullità al fine di consentire il corretto
perfezionamento della notifica dell’avviso di deposito.

9. Tali censure non possono, tuttavia, essere delibate in quanto si rivelano
strutturalmente irrelate e, segnatamente, prive di connessione con i motivi
originariamente proposti nel ricorso.
Il principio generale delle impugnazioni, concernente la necessaria
connessione tra i motivi originariamente proposti e i motivi nuovi, non è
derogato nell’ambito del ricorso per cassazione (ex plurimis: Sez. U, n. 4683 del
25/02/1998, Bono, Rv. 210259; Sez. 4, n. 12995 del 05/02/2016, Uda, Rv.
266295; Sez. 1, n. 40932 del 26/05/2011, Califano, Rv. 251482) e, pertanto,
anche in tale giudizio i motivi nuovi proposti a sostegno dell’impugnazione
devono avere ad oggetto, a pena di inammissibilità, i capi o i punti della
decisione impugnata investiti dall’atto di impugnazione originario, ai sensi
dell’art. 581, comma 1, lett. a), cod. proc. pen.

10. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile
ed il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
In ragione delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13
giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso
sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, il ricorrente deve, inoltre, essere condannato al pagamento

9

S.S..

4

della somma, determinata in via equitativa, di duemila euro in favore della cassa
delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle
ammende.

Così deciso il 24/01/2018.

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