Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17979 del 26/10/2017


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 17979 Anno 2018
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: MACRI’ UBALDA

SENTENZA

sul ricorso proposto da Rondine Ermanno Mario Romano, nato a Trinitapoli il
27.2.1933,
avverso la sentenza in data 21.2.2017 della Corte d’appello di Milano,
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Ubalda Macrì;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Paolo
Canevelli, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 21.2.2017 la Corte d’appello di Milano, in parziale
riforma della sentenza del Tribunale della stessa città in data 30.3.2015, ha
limitato la dichiarazione di penale responsabilità di Rondine Ermanno Mario
Romano al reato di cui all’art. 4 d. Lgs. 74/2000 per il maggior imponibile non
dichiarato per l’anno d’imposta 2009 ad euro 1.000.000,00 con imposta evasa
pari ad euro 275.000,00, ed ha rideterminato la pena principale in mesi 8 di
reclusione adeguando alla stessa durata le pene accessorie temporanee, con
conferma nel resto.

2. Con il primo motivo di ricorso, l’imputato deduce la violazione dell’art.
606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 4 d. Lgs.
74/2000, art. 197 e 546, lett. e), cod. proc. pen. e 220 disp. att. cod. proc. pen.
Premette che, per “imposta evasa”, deve intendersi l’intera imposta dovuta, da

Data Udienza: 26/10/2017

determinarsi in base alle risultanze acquisite nel processo penale e dall’analisi e
contrapposizione tra ricavi e costi di esercizio fiscalmente detraibili in una
prospettiva di prevalenza del dato fattuale reale rispetto ai criteri di natura
meramente formale caratterizzanti l’ordinamento tributario. Nel caso di specie, la
sua responsabilità era stata ritenuta sulla base delle dichiarazioni del teste della
Guardia di Finanza che aveva riferito dell’esistenza di un conto corrente intestato
alla società CO.MO.IND. su cui vi erano stati accrediti per oltre un milione di
euro. Lamenta che dell’estratto conto non v’era traccia in atti e la motivazione

della notizia di reato senza un’effettiva verifica della documentazione bancaria
della società. Ritiene, quindi, la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. per la
valutazione della prova, perché nella sede penale erano stati utilizzati il metodo
induttivo e le presunzioni legali la cui ammissibilità invece era circoscritta alla
sede tributaria. Era stato poi violato l’art. 220 disp. att. cod. proc. pen. perché le
due sentenze erano state fondate sui documenti della Guardia di Finanza,
acquisiti nel fascicolo del dibattimento. Tale scelta andava censurata per l’utilizzo
di prove indebitamente acquisite ai fini della condanna. I processi verbali di
constatazione erano infatti dei documenti extraprocessuali riconducibili ad
un’attività amministrativa ed in quanto tali acquisibili ed utilizzabili ai fini
probatori ai sensi dell’art. 234 cod. proc. pen., con i limiti dell’art. 220 disp. att.
cod. proc. pen., perché la parte di documento redatta prima dell’insorgenza degli
indizi di reato aveva sempre efficacia probatoria ed era utilizzabile, mentre non
era tale quella compilata successivamente a tale emergenza, siccome dovevano
essere necessariamente seguite le norme del codice di procedura penale. In
applicazione di questi principi, conclude che doveva essere ritenuta pienamente
utilizzabile solo quella parte di documentazione relativa ad attività iniziata prima
della verifica fiscale a carico dell’imputato; non erano invece acquisibili al
fascicolo del dibattimento i documenti della Guardia di Finanza che costituivano
un vero e proprio atto d’indagine perché non erano documenti precostituiti
rispetto al processo ed esulavano dalla disciplina dell’art. 234 cod. proc. pen.
Con il secondo motivo, lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b)
ed e), cod. proc. pen. in relazione all’art. 133 cod. pen. I suoi precedenti penali
erano risalenti nel tempo e relativi a reati per i quali erano intervenute cause
estintive che, per loro natura, escludevano un giudizio di pericolosità sociale.
Avuto riguardo alla condotta anteriore alla commissione del reato ed a quella
successiva, doveva pervenirsi alla concessione dei doppi benefici. La Corte
territoriale aveva motivato il diniego in modo solo apparente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2

era assente. La Corte territoriale aveva quindi recepito i dati della comunicazione

3. Il ricorso è manifestamente infondato.
3.1. Il primo motivo attiene alla formazione e valutazione della prova
perché il giudizio era fondato sulla comunicazione della notizia di reato, e quindi
sugli atti formati dalla Guardia di Finanza, senza la verifica degli estratti conto
della società. Il motivo, per come formulato, è generico. Infatti, i Giudici di
merito hanno utilizzato le dichiarazioni del maresciallo della Guardia di finanza
Moretto, che aveva riferito in dibattimento che, nel corso delle indagini sui conti
correnti riferibili alla società, erano stati riscontrati accreditamenti per il valore di

dichiarazione dei redditi di euro 739.687. Tale circostanza non risulta contestata
in fatto né nell’atto d’appello né nel ricorso per cassazione.
3.2. Parimenti generico è il secondo motivo di ricorso sulla mancata
concessione dei doppi benefici perché, a fronte del diniego della Corte territoriale
per la presenza dei precedenti penali, l’imputato avrebbe dovuto specificare
analiticamente i presupposti per la relativa applicazione, non limitandosi ad
indicare che erano risalenti nel tempo e relativi a reati estinti.
3.3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene
pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente
onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le
spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte
costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione
di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi
la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa
delle Ammende.

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende

Così deciso, il 26 ottobre 2017.
Il Consigliere estensore

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