Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17974 del 26/10/2017


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 17974 Anno 2018
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: MACRI’ UBALDA

SENTENZA

sul ricorso proposto da Bianco Domenico, nato a Boscotrecase il 20.8.1939,
avverso la sentenza in data 20.12.2016 della Corte d’appello di Milano,
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Ubalda Macrì;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Paolo
Canevelli, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 20.12.2016 la Corte d’appello di Milano, in parziale
riforma della sentenza del Tribunale di Milano in data 23.5.2014, ha ridotto la
pena inflitta a Bianco Domenico ad anni 1, mesi 11 di reclusione cui ha adeguato
la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, per i reati, capo A) art. 2,
comma 1 e 2, d. Lgs. 74/2000 e 110 cod. pen., per l’uso di fatture inesistenti al
fine di riportare nelle dichiarazioni annuali dei redditi e dell’IVA anno 2008
elementi passivi fittizi per un imponibile complessivo di C 373.154,00 e di IVA di
C 74.630,80, in Milano il 10.6.2009; capo B) art. 110 cod. pen., 81 cpv cod.
pen., 8, commi 1 e 2, d. Lgs. 74/2000, perché aveva emesso una fattura di C
564.767,00 per un’operazione inesistente, onde consentire ad altra società di
evadere le imposte sui redditi o sull’IVA per l’anno d’imposta 2008, in Milano il
31.12.2008; capo C) art. 110 cod. pen., 81 cpv cod. pen. e 10-quater d. Lgs.
74/2000, perché non aveva versato le somme dovute utilizzando nell’anno 2009
in compensazione ai sensi dell’art. 17, d. Lgs. 241/1977 crediti non spettanti o

Data Udienza: 26/10/2017

inesistenti per C 360.527,45, in Milano dal 17.2.2009 al 10.2.2010; reati
aggravati dalla recidiva specifica infraquinquennale.

2. Con il primo motivo di ricorso, l’imputato deduce la violazione dell’art.
606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in ordine alla valutazione della prova ex
art. 192, comma 3, cod. proc. pen., quanto alla sua responsabilità come
amministratore di fatto.
Espone: a) che né nella fase delle indagini preliminari né nel dibattimento

di fatto della GE.CO.MIN. S.r.l., giacché tale giudizio era derivato dalle sentenze
irrevocabili relative ad altri soggetti, in particolare all’amministratore di diritto
che era stato assolto, acquisite ai sensi dell’art. 238-bis cod. proc. pen., ma non
congruamente valutate ai sensi dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen.; b) che
la Corte territoriale aveva altresì richiamato le dichiarazioni del funzionario
dell’Agenzia delle Entrate, il quale si era limitato ad affermare che esso imputato
si era qualificato come consulente del lavoro, aveva risposto alle domande sulle
questioni contabili della società ed aveva messo in contatto gli Operanti con
Farfan Chavez, amministratore di diritto; c) che la Corte territoriale aveva
valorizzato le seguenti ulteriori circostanze, la partecipazione come socio di
minoranza al 5% della società che aveva sede nello stesso edificio ove si trovava
il suo ufficio, che nel medesimo stabile era custodita anche la documentazione
contabile e che egli si occupava della contabilità della società e
dell’amministrazione del personale; d) che gli elementi indicati, lungi dal fondare
la sua qualità di amministratore di fatto, erano espressione del normale rapporto
professionale che legava il commercialista alla sua cliente; e) che la Corte
territoriale aveva sostenuto in modo paradossale che gli elementi desumibili dalla
sentenza irrevocabile a carico del Chavez fossero corroborati dai riscontri sopra
indicati e che si potesse parlare di un effettivo esercizio di poteri
d’amministrazione se egli aveva dimostrato documentalmente di essersi limitato
a curare la contabilità, l’amministrazione del personale dal punto di vista
contabile, ma non amministrativo; f) che la Corte territoriale aveva omesso di
richiamare quanto affermato all’udienza del 26.2.2014, pag. 16 ed indicato a
pag. 4 dell’atto d’appello, e cioè che, durante il controllo, egli non aveva mai
dato indicazioni sull’operatività della società, ma solo sulle questioni contabili, in
perfetta coerenza con il suo ruolo, ma in altrettanta perfetta discordanza con
l’asserito presunto ruolo di amministratore di fatto.
Con il secondo motivo, lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e),
cod. proc. pen. con riferimento alla sussistenza oggettiva dei reati contestati. La
Corte territoriale, ritenuto che egli fosse amministratore di fatto, si era limitata a

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erano emersi elementi indiziari utili alla sua qualificazione come amministratore

trarne apoditticamente la conseguenza che gli fossero attribuibili i reati indicati in
epigrafe senza motivare anche in ordine ai reati ascritti.
Con il terzo motivo, deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e),
cod. proc. pen. con riferimento alle circostanze attenuanti generiche. Il Tribunale
aveva escluso le attenuanti generiche in virtù del suo ruolo di amministratore di
fatto, con la conseguenza di una doppia penalizzazione, perché lo stesso fatto
era stato posto a fondamento sia dell’applicazione della recidiva
infraquinquennale sia del diniego delle attenuanti generiche. Sulle circostanze

l’inesistenza di valide ragioni per addivenire a tale riconoscimento, mancando
elementi positivi suscettibili di indurre alla concessione delle attenuanti. Si
trattava di una motivazione apparente e standardizzata che non aveva risposto
alla specifica doglianza mossa nel ricorso in appello.
Con il quarto motivo, lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e),
cod. proc. pen., per mancata motivazione in ordine all’omessa applicazione della
sospensione condizionale della pena. Nel ricorso in appello, aveva evidenziato di
non aver fruito del beneficio della sospensione condizionale della pena perché la
precedente condanna specifica era stata assorbita dall’indulto.
Chiede quindi l’annullamento della sentenza impugnata senza o con rinvio
ad altra sezione della Corte d’appello di Milano per violazione delle norme sulla
prova, per mancanza o illogicità della motivazione sull’esistenza dei reati
contestati, per mancanza della motivazione sul diniego delle attenuanti
generiche e della sospensione condizionale della pena.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è manifestamente infondato.
3.1. Il primo motivo sollecita un diverso apprezzamento delle circostanze
di fatto che sono state congruamente valutate dai Giudici di merito.
Ed invero, che l’imputato sia stato individuato come amministratore di
fatto della Ge.co.min. S.r.l. è emerso da una serie di elementi indiziari tutti
convergenti: a) le dichiarazioni dell’amministratore di diritto, Chavez, il quale, in
altro procedimento, aveva affermato di essere stato chiamato a rivestire la
carica, proprio dall’imputato, e che solo nel maggio 2010, dopo le verifiche
dell’Agenzie delle Entrate, aveva dismesso il mandato, essendosi avveduto di
alcune irregolarità; peraltro l’imputato gli aveva nominato l’avvocato ed intimato
di non rispondere al processo per ottenere rinvii che avrebbero portato alla
prescrizione dei reati; b) la Ge.co.min. S.r.l. ed altre società coinvolte negli
illeciti avevano tutte sede nell’immobile ove si trovava lo studio dell’imputato; c)
l’imputato era socio di minoranza della società ed era in grado di rispondere a

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generiche, la Corte territoriale aveva utilizzato delle formule di stile quali

tutte le domande dei funzionari dell’Agenzia delle Entrate; d) il Chavez era un
ingegnere informatico e non aveva cognizione delle modalità di gestione della
società; e) l’imputato aveva imposto la nomina del Chavez quale amministratore
della società titolare della partecipazione maggioritaria nell’ambito della
Ge.co.min. S.r.l. e gli aveva fatto firmare gli assegni di cui aveva deciso
l’emissione.
Orbene, neanche il ricorrente mette in discussione l’uso degli
accertamenti compiuti nelle sentenze irrevocabili richiedendo però la valutazione

Sennonché, a differenza di quanto opinato nel ricorso, le dichiarazioni del
Chavez sono state riscontrate da numerosi elementi, peraltro di per sé sufficienti
a rappresentare il ruolo di amministratore di fatto, tutti enunciati dai Giudici di
merito ed apprezzati globalmente. La motivazione non è manifestamente illogica
né contraddittoria, anzi appare solida e convincente.
Peraltro, il ricorrente, nel focalizzare la sua attenzione sull’accertamento
del ruolo di amministratore di fatto, non ha svolto alcuna considerazione sulla
contestazione del concorso di cui all’art. 110 cod. pen. in tutti e tre i capi
d’imputazione.
3.2.

Parimenti inammissibile è il secondo motivo di ricorso

sull’imputabilità dei reati, giacché il tema, a differenza di quanto dedotto, non è
stato affatto esplorato nell’atto d’appello, in cui, anzi, non è stata messa in
discussione la falsità delle fatture, riferita semmai all’amministratore di diritto ed
ai soggetti operativi ma non al commercialista. Anche la questione delle modalità
di pagamento delle fatture è irrilevante e comunque costituisce un argomento,
ben evidentemente non recuperabile in questa sede.
3.3. Quanto alla motivazione del diniego delle circostanze attenuanti
generiche, sia il primo Giudice che il secondo hanno valorizzato i precedenti
penali. La Corte territoriale ha escluso la presenza di elementi positivi suscettibili
di indurre alla relativa applicazione stante la condanna per associazione a
delinquere e l’emissione di fatture per operazioni inesistenti. Che uno stesso
fatto possa essere utilizzato a fondamento sia del diniego delle attenuanti
generiche sia dell’applicazione della recidiva è acquisizione pacifica della
giurisprudenza. Si veda tra le più recenti Sez. 6, n. 47537/13, Quagliara, Rv.
257281, secondo cui il giudice, nell’esercizio del suo potere discrezionale, può
legittimamente negare la concessione delle attenuanti generiche e,
contemporaneamente, ritenere la recidiva, valorizzando per entrambe le
valutazioni il riferimento ai precedenti penali dell’imputato, in quanto il principio
del “ne bis in idem” sostanziale non preclude la possibilità di utilizzare più volte
lo stesso fattore per giustificare scelte relative ad elementi la cui determinazione
è rimessa al prudente apprezzamento dell’Autorità decidente.
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accurata della prova ai sensi degli art. 187 e 192, comma 3, cod. proc. pen.

3.4. Infine, quanto al diniego della sospensione condizionale della pena e
della non menzione, la Corte territoriale ha ritenuto che il precedente penale
specifico fosse sintomatico della proclività dell’imputato a commettere ulteriori
reati di genere analogo, confermando il giudizio di primo grado. Tale valutazione
è giuridicamente corretta, sebbene il precedente sia stato oggetto d’indulto,
perché questo beneficio ha ad oggetto la pena e non il reato (si vedano Sez. 1,
n. 5689/2015, Mercurio, Rv 262464 e con un’applicazione del medesimo
principio in materia di recidiva, più recentemente, Sez. 1, n. 48405/2017, F., Rv

precedente rilevante ai fini del rigetto dei benefici di legge.
3.5. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene
pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente
onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le
spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte
costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione
di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi
la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa
delle Ammende.

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende

Così deciso, il 26 ottobre 2017.

271415), sicché il suo riconoscimento non incide nel senso di escludere il

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