Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1796 del 09/11/2012


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 1796 Anno 2013
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: ROCCHI GIACOMO

Data Udienza: 09/11/2012

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) FRISENDA ALESSANDRO N. IL 15/06/1981
avverso l’ordinanza n. 1332/2011 TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO,
del 29/03/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI.
19de/sentite le conclusioni del PG Dott. R,1-(124,.>

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RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’Assise di Appello di Catanzaro, con ordinanza del 14/9/2011,
revocava la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di Frisenda
Alessandro, condannato, con sentenza del 6/4/2011, alla pena di anni cinque e
mesi due di reclusione per i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso,
estorsioni aggravate ai sensi dell’art. 7 legge 203 del 1991 e associazione per
delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti. Il Frisenda si trovava

motivava la revoca della misura cautelare con il venir meno delle esigenze di
cautela sociale in considerazione del notevole lasso di tempo decorso dall’inizio
dell’esecuzione, avendo egli presofferto i due terzi dell’intera sanzione irrogata.

In accoglimento dell’appello del Procuratore Generale, il Tribunale del
Riesame di Catanzaro ripristinava la misura della custodia cautelare in carcere
nei confronti dell’imputato.
Il Tribunale rilevava che la decisione adottata dalla Corte d’Assise di appello
appariva essenzialmente imperniata sul parametro della sopravvenuta
sproporzione tra la misura cautelare in atto e la pena irrogata: tale giudizio
appariva in stridente contrasto con la ratio e il disposto normativo dell’art. 275,
comma 3, cod. proc. pen.. Questa Corte aveva dichiarato, a S.U., illegittima la
revoca del provvedimento cautelare fondato esclusivamente sulla sopravvenuta
carenza di proporzionalità della misura con la pena inflitta, cosicché la
rideterminazione della pena in sede di appello, in assenza di qualsiasi elemento
concreto che indicasse un effettivo mutamento del quadro cautelare, non
giustificava la sostituzione della misura cautelare in atto.
Quanto, poi, al soggetto condannato per il reato di cui all’art. 416 bis cod.
pen., valgono le presunzioni stabilite dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.,
anche nella fase successiva all’applicazione della misura, ritenute legittime dalla
Corte Costituzionale. Quindi la sentenza di secondo grado permette la revoca
della misura cautelare solo se contiene valutazioni in grado di eliminare le
esigenze cautelari: elementi che la Corte d’Assise di Appello non aveva
evidenziato, limitandosi a valorizzare il decorso del tempo e la proporzione tra la
pena irrogata e la misura applicata.
Il Tribunale, comunque, riteneva persistere un concreto pericolo di
reiterazione di analoghe condotte delittuose da parte del Frisenda, già gravato
da precedenti penali e ritenuto colpevole dei gravi delitti summenzionati in
entrambi i gradi di giudizio.

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in custodia cautelare in carcere dal 23/4/2008. La Corte d’assise di appello

2. Ricorre per cassazione il difensore di Frisenda Alessandro, deducendo la
violazione di norme procedurali stabilite a pena di nullità e vizio di motivazione,
per omessa declaratoria di inammissibilità dell’appello del P.G. per aspecificità;
violazione di legge e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione in relazione agli artt. 275 e 299 cod. proc. pen., nonché illogicità
della motivazione in relazione agli artt. 274, 275, 282 e 283 cod. proc. pen.
Il Tribunale del Riesame aveva dato una lettura riduttiva della sentenza delle
S.U. che, alla luce dei principi costituzionali e di quelli stabiliti dalla CEDU in

adeguatezza e proporzionalità non solo nella fase genetica della misura, ma per
l’intero arco della vita del processo, imponendo non solo la sostituzione con
misure più lievi, ma anche la revoca. Inoltre ogni misura, per non essere
indebita anticipazione di pena, deve soddisfare funzionalmente le esigenze
tassativamente previste dall’art. 274 cod. proc. pen., cosicché deve escludersi
ogni automatismo anche per quanto riguarda il perdurare della presunzione
legale di pericolosità ai sensi dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
L’ordinanza della Corte d’Assise di appello aveva revocato la misura
cautelare per il venir meno dell’irrinunciabile presupposto di proporzionalità. Il
Tribunale era andato in senso contrario, omettendo, peraltro, ogni motivazione
sul punto.
Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere respinto.

Si deve, in primo luogo, escludere che l’appello del P.M. avverso l’ordinanza
della Corte d’assise di Appello fosse generico, avendo esso, al contrario, ben
individuato il punto della decisione oggetto di impugnazione e indicato
chiaramente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggevano
l’impugnazione.

L’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., stabilisce che quando sussistono gravi
indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all’art. 51, commi 3 bis e 3 quater,
è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai
quali risulti che non sussistono esigenze cautelari.
Come è noto, questa Corte, a S.U., ha affermato che la presunzione di
adeguatezza della custodia in carcere di cui all’art. 275, comma terzo, cod. proc.
pen. opera non solo nel momento di adozione del provvedimento genetico della

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materia di custodia cautelare in carcere, impongono l’adozione dei principi di

misura coercitiva ma anche nelle successive vicende che attengono alla
permanenza delle esigenze cautelari. (Sez. U, n. 34473 del 19/07/2012 – dep.
10/09/2012, Lipari, Rv. 253186)
Nessun dubbio circa la legittimità costituzionale della normativa può sorgere
con riferimento ai soggetti condannati per il reato di associazione per delinquere
di stampo mafioso, come l’odierno ricorrente, delitto per il quale originariamente
essa era stata dettata e ritenuta ripetutamente conforme alla Costituzione e alla

La Corte d’Assise di Appello di Catanzaro, del resto, ha inteso fare
applicazione della norma in questione, non sostituendo la misura più grave con
altra meno afflittiva, decisione impossibile in base all’art. 275, comma 3 cit., ma
revocandola sul presupposto del venir meno in toto delle esigenze cautelari.

Il vizio del provvedimento esattamente colto dal Tribunale del Riesame sta,
piuttosto, nell’individuazione degli “elementi dai quali risulti che non sussistono
esigenze cautelari”: la Corte aveva preso in considerazione solo il lasso di tempo
trascorso dall’inizio dell’esecuzione della misura, parametrandolo alla misura
della pena inflitta.
Tale criterio di valutazione è stato ripetutamente sconfessato da questa
Corte, che ha poi definitivamente sancito che l’illegittimità del provvedimento di
revoca della custodia cautelare motivato esclusivamente in riferimento alla
sopravvenuta carenza di proporzionalità della misura in ragione della
corrispondenza della durata della stessa ad una percentuale, rigidamente
predeterminata ricorrendo ad un criterio aritmetico, della pena irroganda nel
giudizio di merito e prescindendo da ogni valutazione della persistenza e della
consistenza delle esigenze cautelari che ne avevano originariamente giustificato
l’applicazione. (Sez. U, n. 16085 del 31/03/2011 – dep. 22/04/2011, P.M. in
proc. Khalil, Rv. 249323)

In effetti, il decorso del tempo non incide, di per sé, sulla permanenza delle
esigenze cautelari (da ultimo Sez. 5, n. 16425 del 02/02/2010 – dep.
27/04/2010, Iurato, Rv. 246868): la sua valenza si esaurisce nell’ambito della
disciplina dei termini di durata massima della custodia stessa, e quindi necessita
di essere considerato unitamente ad altri elementi idonei a suffragare la tesi
dell’affievolimento o del venir meno delle esigenze cautelari. (Sez. 2, n. 45213
del 08/11/2007 dep. 04/12/2007, Lombardo, Rv. 238518).

Il criterio errato adottato dalla Corte d’Assise di Appello, comunque, è stato

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Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

superato dalla valutazione espressa dal Tribunale, nell’ordinanza impugnata, di
permanenza delle esigenze cautelari, tutelabili esclusivamente, per il dettato di
legge, con la misura carceraria.
La motivazione appare adeguata e niente affatto illogica o contraddittoria,
facendo riferimento ai precedenti penali riportati dall’imputato e alla
affermazione di responsabilità per i gravi delitti commessi.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento

delle spese

processuali.
La Corte dispone che copia del presente provvedimento sia trasmesso al
competente Tribunale distrettuale del riesame di Catanzaro perché provveda a
quanto stabilito nell’art. 92 disp. att. cod. proc. pen.. Manda alla Cancelleria per
gli immediati adempimenti a mezzo fax.

Così deciso il 9 novembre 2012

Il Consigliere estensore

Il Presidente

P.Q.M.

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