Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17952 del 22/11/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 17952 Anno 2018
Presidente: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA
Relatore: SIANI VINCENZO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
TESTA MORENO nato il 02/11/1966 a CAMPOLONGO MAGGIORE

avverso l’ordinanza del 10/04/2017 della CORTE APPELLO di VENEZIA
sentita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO SIANI;
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Data Udienza: 22/11/2017

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento in epigrafe, reso in data 10 – 14 aprile 2017, la
Corte di appello di Venezia ha dichiarato non luogo a provvedere sull’istanza
proposta da Moreno Testa avente ad oggetto la declaratoria di insussistenza o
invalidità dei titoli per la riscossione delle spese di giustizia emessi nei suoi
confronti con le tre cartelle di pagamento notificategli da Equitalia Giustizia Spa,
per conto dell’Ufficio Recupero Crediti della stessa Corte di appello, tutte

Corte di appello: n. 12476201600001628000, relativa alla partita di credito
001906/2013,

per

l’ammontare

di

euro

741.768,63;

n.

11920160014592160027, relativa alla partita di credito n. 001851/2013, per
euro 20.374,16; n. 06820160134210156029, relativa alla partita di credito n.
001911/2013, per euro 19.287,81.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso il difensore del Testa
chiedendone l’annullamento e prospettando due motivi.
2.1. Con il primo motivo si lamenta violazione dell’art. 666 cod. proc. pen. in
ragione dell’assunzione della decisione con il procedimento de plano.
L’adozione del rito inaudita altera parte per definire l’incidente di esecuzione
era errata, atteso che la questione dedotta non era manifestamente infondata,
né costituiva mera riproposizione di istanza già rigettata.
L’oggetto dell’incidente, infatti, non avrebbe dovuto individuarsi nella
rideterminazione dell’importo preteso con le cartelle opposte, bensì all’esplicita
individuazione dei reati per i quali il Testa aveva, fra quelli contestati, riportato
condanna: si trattava, dunque, precisamente dell’accertamento del perimetro
della statuizione condannatoria avente effetto sulle spese in questione, che non
poteva non essere devoluta al giudice penale.
Nel caso di specie, invero, la rilevantissima cifra richiesta era chiaramente
conseguente, non alla condanna in solido con altri imputati per determinati reati,
bensì all’attribuzione a carico del Testa dell’intero costo del processo, anche per i
reati oggetto di condanna che non riguardavano la sua posizione.
Attesa la portata della questione proposta, pur se essa poteva, in ipotesi,
rivelarsi all’esito della verifica da compiersi non fondata, ciò non avrebbe potuto
non avvenire dopo l’instaurazione del contraddittorio, dando all’istante la
possibilità processuale di interloquire sull’argomento in contraddittorio ed
esercitare le sue facoltà difensive.
2.2. Con il secondo motivo si evidenziano violazione di legge e vizio di
motivazione nell’interpretazione dell’art. 535 cod. proc. pen., nel testo vigente

2

attinenti alla sentenza n. 777 emessa in data 9 maggio 2008 dalla suddetta

prima dell’entrata in vigore della legge n. 69 del 2009.
L’attenta verifica della fattispecie da cui aveva preso le mosse l’arresto
regolatore,a cui aveva fatto riferimento il giudice dell’esecuzione onde pervenire
alla dichiarazione di non luogo a provvedere, rendeva invece chiaro che la relativa
decisione afferiva a caso che già aveva visto il giudice penale, con l’emissione di
un primo provvedimento, chiarire la portata della statuizione di condanna alle
spese delimitandone l’estensione ai soli reati in ordine ai quali l’istante di quel
procedimento era stato condannato.

condannato aveva occasionato l’affermazione del principio di diritto richiamato in
modo incongruo dalla Corte di appello di Venezia.

3.

Il Procuratore generale ha chiesto l’annullamento senza rinvio del

provvedimento impugnato, con trasmissione degli atti nuovamente alla Corte di
appello di Venezia, giudice dell’esecuzione, giacché il provvedimento era stato
emesso, in modo del tutto invalido, all’esito di procedura de plano al di fuori dei
casi previsti dalla legge.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

L’impugnazione è fondata con riferimento al primo motivo e va, di

conseguenza, accolta.

2. Dall’esame degli atti (consentito, trattandosi di error in procedendo) oltre
che dello stesso provvedimento impugnato, pronunciato sostanzialmente nel
senso dell’inammissibilità, ex art. 666, comma 2, cod. proc. pen., dopo
l’acquisizione del solo parere del Procuratore generale territoriale, dunque avente
la natura di decreto, si trae che la Corte di appello di Venezia, giudice
dell’esecuzione, ha ritenuto, in via immediata, che la deduzione del Testa – di
essere stato condannato in relazione a due soli capi di imputazione, sicché
secondo lui era da revocarsi in contestazione la pertinenza delle somme
complessivamente richiestegli ai fatti per i quali era stato condannato collidesse con il principio affermato dalle Sezioni Unite della giurisprudenza di
legittimità.
Il giudice dell’esecuzione ha ritenuto che come, per ciò che aveva riguardato
il caso dell’arresto citato, la domanda del condannato non contestasse la
condanna alle spese nel processo penale e si limitasse a discutere del concreto
ammontare delle voci di spesa, per cui essa era da proporsi al giudice civile con
le forme dell’opposizione all’esecuzione.

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Pertanto, una volta emessa la relativa ordinanza, la nuova istanza del

Per tale ragione, secondo la Corte di appello di Venezia, l’incidente doveva
definirsi in questa sede con l’indicata formula e l’interessato avrebbe potuto
riproporre la questione innanzi al suddetto giudice civile.
Il riferimento svolto dal giudice dell’esecuzione è all’insegnamento secondo
cui “la domanda del condannato che, senza contestazione della condanna al
pagamento delle spese del procedimento penale, deduca (sia quanto al calcolo
del concreto ammontare delle voci di spesa, sia quanto alla loro pertinenza ai
reati cui si riferisce la condanna) l’errata quantificazione, va proposta al giudice

fine l’attribuibilità alla statuizione di detta condanna della natura di sanzione
economica accessoria alla pena” (Sez. U, n. 491 del 29/09/2011, dep. 2012, Rv.
251265, anche in relazione a Corte cost., sent., n. 98 del 1998 e, ord., n. 10959
del 2005, con la precisazione che il giudice penale erroneamente investito, nelle
forme dell’incidente di esecuzione, della domanda del condannato di
accertamento dell’inesistenza dell’obbligazione di pagamento di determinate
partite delle spese processuali, deve dichiarare il non luogo a provvedere
sull’istanza, non il difetto di giurisdizione, sicché tale declaratoria non preclude,
di per sé, la riproposizione della stessa istanza al giudice civile competente in
materia di opposizioni all’esecuzione forzata).
Nel solco di tale affermazione di principio, si è, fra l’altro, condivisibilmente
specificato che le spese processuali al cui pagamento l’imputato riconosciuto
colpevole va condannato continuano ad essere – pur dopo la modifica dell’art.
535, comma primo, cod. proc. pen. ad opera della legge n. 69 del 2009 unicamente quelle relative ai reati per cui sia stata pronunciata condanna del
medesimo (Sez. 5, n. 28081 del 22/03/2013, Spensierato, Rv. 255570, la quale
ha ribadito che, ove sussistano questioni che importino la reale definizione del
perimetro e, quindi, della portata della stessa statuizione penale, esse
appartengono alla cognizione del giudice dell’esecuzione penale; Sez. 3, n.
36359 del 19/05/2015, Testa, Rv. 264732, ha sottolineato che la questione
relativa alla persistenza, a seguito dell’abrogazione dell’art. 535, comma 2, cod.
proc. pen., del vincolo di solidarietà della condanna alle spese del procedimento
penale, in tal senso già emessa, rientra nelle attribuzioni del giudice
dell’esecuzione penale, in quanto organo competente a conoscere di tutte le
questioni che attengono alla esistenza, validità e sufficienza del titolo per
l’esercizio dell’azione di recupero delle spese processuali).

3. Posto ciò, si constata che il ricorrente aveva, con l’istanza, dedotto che
dei numerosissimi reati oggetto del vaglio definito dalla sentenza di cognizione n.
777 emessa dalla Corte di appello di Venezia il 9 maggio 2008 soltanto due reati,

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civile nelle forme dell’opposizione ex art. 615 cod. proc. civ.; non rilevando a tal

quelli di cui ai capi n. 99A) e n. 122C), gli erano stati ascritti, sicché la condanna
al pagamento delle spese processuali, secondo la sua prospettazione, poteva
attingerlo soltanto per le spese che fossero riferibili all’accertamento di quei due
reati.
Alla stregua delle svolte riflessioni, l’indicata prospettazione – avendo
introdotto una questione di (non) esecutività del titolo, o di parte di esso appariva esigere il vaglio approfondito del giudice dell’esecuzione al fine di
verificare se non fosse in discussione, così come dalla deduzione articolata dalla

della stessa statuizione penale.
Pertanto, il giudice dell’esecuzione penale, a cui l’istanza era stata – almeno
prima facie e salva la verifica approfondita da parte dello stesso giudice adìto correttamente proposta (appartenendo la competenza in materia di
contestazione della condanna alle spese di giustizia ancora al giudice
dell’esecuzione penale ai sensi dell’art. 670 cod. proc. pen. qualora venga
contestata anche l’esecutività del titolo: Sez. 1, n. 11604 del 15/12/2015, dep.
2016, Lucifora, Rv. 266610), avrebbe dovuto, non trovandosi di fronte ad istanza
manifestamente infondata in quanto mancante delle condizioni di legge o
reiterata dopo un precedente rigetto, disporre, ai sensi dell’art. 666, commi 3 6, cod. proc. pen., la comparizione delle parti e, svolta la relativa fase,
provvedere.
Invece, è stato pronunciato de plano il non luogo a provvedere, equivalente,
nella sostanza, all’inammissibilità dell’istanza, a fronte di una questione
giuridicamente complessa e richiedente i dovuti accertamenti e#, alla loro luce,
l’interpretazione della disciplina che regola l’istituto del recupero delle spese
processuali, al necessario fine di individuare, con riferimento specifico al caso
dedotto dal Testa, il criterio identificativo della competenza del giudice – penale,
o alternativamente civile – e di emettere poi il provvedimento consequenziale,
rispettivamente di merito o in rito.
Non essendo l’oggetto della domanda tale da abilitare il giudice al
procedimento de plano, da definirsi con decreto ai sensi dell’art. 666, comma 2,
cod. proc. e, pertanto, non ricorrendo nessuna delle due fattispecie tipizzate
dalla norma, era inibita la definizione del procedimento senza il previo
contraddittorio.

4. In definitiva, in accoglimento del primo motivo, deve disporsi, assorbita
ogni altra censura, l’annullamento del provvedimento impugnato senza rinvio,
con trasmissione degli atti alla Corte di appello di Venezia affinché possa
procedere all’esame della domanda proposta dal Testa con il rito in camera di

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parte pareva evincersi, l’effettiva definizione dell’ambito e, quindi, della portata

consiglio, dando luogo al contraddittorio, ai sensi dell’art. 666, commi 3 e ss.,
cod. proc. pen.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e dispone la trasmissione degli
atti alla Corte di appello di Venezia.

Il C ns liere estensore
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Il Presidente
Antonel a Patrizia Mazzei

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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Prima Sezione Penate

Depositata in Cancelleria o ggi
Roma, n
2 0 APR. 2018

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Così deciso il 22 novembre 2017

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