Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17946 del 15/03/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 17946 Anno 2018
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: SCARLINI ENRICO VITTORIO STANISLAO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BUGGEA GIANCARLO nato il 14/12/1970 a PALERMO

avverso il decreto del 19/04/2017 della CORTE APPELLO di PALERMO
sentita la relazione svolta dal Consigliere ENRICO VITTORIO SCARLINI;
le,tte/s

le conclusioni del PG

432 z,t’ocv2

Pc4C/9/0109 egaltot, cbtrik

Data Udienza: 15/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1 – Con decreto del 19 aprile 2017, la Corte di appello di Palermo
confermava, per quanto qui di interesse, il provvedimento del Tribunale di
Agrigento con il quale era stata applicata a Giancarlo Buggea la misura di
prevenzione personale e patrimoniale.
Con la misura di prevenzione patrimoniale si erano confiscati alcuni terreni
siti in Naro, acquistati nel 2005 per un corrispettivo di euro 7.500, l’associazione

srl Biofrutta, tutti beni intestati all’ex moglie del proposto, Maria Katia Gueli, ed il
complesso aziendale della medesima Biofrutta, in esso compreso un fabbricato
acquistato nel 2006 di proprietà dello stesso proposto.
La pericolosità sociale del Buggea era stata dedotta dalla condanna da
questi riportata per il delitto previsto dall’art. 416 bis cod. pen., per condotte
consumate fino al maggio 2005, in concorso, fra gli altri, con il cognato Salvatore
Vladinniro Gueli, condanna fondata sull’apporto dichiarativo dei collaboratori di
giustizia Maurizio Di Gati e Giuseppe Sardino.
Buggea, in particolare, era risultato inserito nella famiglia mafiosa di
Campobello di Licata visto che, oltre a contribuire alle attività economiche del
sodalizio grazie alla sua professionalità imprenditoriale, aveva direttamente e
personalmente partecipato a condotte illecite più proprie della consorteria,
concorrendo ad episodi estorsivi volti a mantenere il controllo delle attività
economiche nel territorio di influenza della cosca.
Irrilevante (per l’autonomia e la diversità del compendio probatorio fra
processo penale e processo di prevenzione) era l’assoluzione per il delitto di
intestazione fittizia di alcuni dei beni sottoposti alla misura di prevenzione visto
che, comunque, in quello stesso processo, erano state raccolte le inequivoche
dichiarazioni del Sardino (che, in assenza di riscontri, non erano state ritenute
sufficienti per la condanna penale) che aveva indicato come Buggea si fosse
prestato a fungere da prestanome per gli esponenti di spicco della consorteria
mafiosa di cui era un partecipe, Giuseppe Falsone e Pino Gambino, in relazione
agli investimenti fatti da costoro nelle società dallo stesso Buggea intestate alla
moglie.
Dalla documentazione conferita dalla difesa, un affidavit del parroco ed una
decisione del Tribunale di sorveglianza, non emergeva, come sostenuto dalla
difesa, che egli si fosse allontanato dal contesto mafioso in cui aveva
precedentemente operato. Né tale distacco poteva dirsi provato dalla lecita
attività lavorativa intrapresa dopo la sua scarcerazione.

1

agricola La Rotonda dei Pini, il suo complesso aziendale, il 50 % del capitale della

Si doveva poi ricordare che, per scontare la pena comminatagli per il delitto
associativo consumato fino a tutto l’anno 2005, Buggea era rimasto detenuto da
tale anno fino al dicembre 2012. Durante tale periodo, però, il proposto si era
ancora interessato alle intraprese economiche che ne avevano provato la
prossimità e l’inserimento nel contesto mafioso, come era emerso dalle
conversazioni intercettate in carcere e tenute con la moglie che ne era rimasta
l’intestataria.
A seguito della scarcerazione, poi, Buggea aveva abusivamente occupato

Era, infine, emerso che i beni confiscati erano stati acquisiti proprio nel
periodo in cui Buggea aveva consentito a Falsone e a Gambino di investire in tali
aziende.
Né per la confisca di prevenzione era necessario accertare la sproporzione
del valore dei beni rispetto ai redditi leciti maturati visto che si era raggiunta la
prova che la proprietà di quegli stessi beni derivava da disponibilità economiche
ottenute anche (non necessariamente in toto) con attività illecite.
Per la medesima ragione non avevano rilievo le produzioni difensive volte ad
attestare la lecita provenienza degli investimenti fatti da Buggea e dalla moglie
nelle attività e nei beni confiscati.
2 – Propone ricorso l’imputato, a mezzo dei suoi difensori, articolando le
proprie censure in due motivi.
2 – 1 – Con il primo deducono la violazione di legge ed in particolare dell’art.
4 comma 1 lett. a), d. Igs. n. 159/2011.
La motivazione del decreto impugnato era apparente sia in relazione
all’attualità della pericolosità sociale, sia in riferimento alla illecita provenienza
dei beni confiscati.
Si ricorda che l’attualità della pericolosità sociale qualificata è, secondo la
giurisprudenza di legittimità, un requisito della misura di prevenzione, personale
e patrimoniale, che deve anche essersi concretata in specifiche condotte che la
dimostrino come presente in prossimità temporale con la richiesta della misura.
La Corte, invece, non aveva neppure valutato la rilevanza del lungo periodo
di tempo in cui Buggea era rimasto detenuto. E si era limitata, nella sostanza, ad
affermare l’attuale pericolosità del proposto in base alla sola presunzione

iuris

tantum della permanente appartenenza di un soggetto condannato per il delitto

previsto dall’art. 416 bis cod. pen., qualora egli non provi l’avvenuto distacco da
tale contesto (con l’accertato scioglimento del sodalizio o con la scelta di
collaborare con le autorità).
2 – 2 – Con il secondo motivo lamentano la violazione di legge in relazione
agli artt. 4, lett. a), 16, 18, 24 e 29 d. Igs. n. 159/2011.
2

uno degli immobili sequestratigli.

La Corte aveva violato il giudicato favorevole all’imputato costituito dai

decisum della sentenza del 2013 della Corte di appello di Palermo in riferimento
all’imputazione di intestazione fittizia di beni, facendo anche errata applicazione
del principio di autonomia del procedimento di prevenzione sancito dall’art. 29 d.
Igs. n. 159/2011, in quanto in esso si era giunti ad affermare un fatto (la
riconducibilità dei compendi sottoposti a vincolo al contesto mafioso in cui
Buggea aveva operato) che era stato, invece, escluso nel processo penale, visto
che in tale sede si era ordinata, in ragione della ritenuta infondatezza

dell’art. 12 sexies I. n. 356/1992), in quanto non si erano rinvenuti riscontri alle
affermazioni circa le compartecipazioni dei capi cosca Gambino e Falsone alle
società condotte dal Buggea.
Né la Corte aveva indicato gli elementi dai quali poteva trarsi la prova che
Buggea avesse impiegato in tali enti proventi rivenienti dalle condotte illecite
oggetto della sua precedente condanna.
Si doveva poi ricordare come la Corte di legittimità (con sentenza n.
47983/2012 D’Alessandro) avesse precisato che la definitività del provvedimento
reiettivo del vincolo adottata in una delle due sedi (il procedimento di
prevenzione o il procedimento di merito) costituisce un ostacolo radicale alla sua
adozione nell’altra.
La Corte non si era confrontata neppure con la parallela assoluzione del
Falsone dal medesimo delitto di intestazione fittizia dei beni che era stata
pronunciata perché lo stesso Sardino aveva riferito che Falsone si era rifiutato di
entrare in società con il Buggea, ed il suo socio, nelle attività intestate alle mogli.
La Corte non aveva adeguatamente valutato la consulenza tecnica di parte
ove si era dimostrata la lecita provenienza delle somme che il proposto aveva
impiegato nella attività confiscate. E ciò nonostante la giurisprudenza di
legittimità (sentenza n. 12493/2013) imponga che si accerti che nell’attività
economica soggetta a confisca di prevenzione il proposto si sia avvalso, in tutto
o in gran parte, del contesto mafioso in cui aveva operato (sentenza n.
9774/2015).
Era comunque mancata la verifica rigorosa della derivazione del bene
dall’attività illecita richiesta dalle Sezioni unite con la sentenza n. 4880/2014
Spinelli. Tenuto poi conto che, a seguito dell’ultima riforma del testo normativo
sulle misure di prevenzione, per pervenire alla confisca dei beni è richiesta la
prova della stretta pertinenzialità degli bene ai delitti che la legittimano (Cass. n.
8389/2016).

dell’accusa, la restituzione dei beni sequestrati anche in quel processo (ai sensi

3 – Il Procuratore generale presso questa Corte, nella persona del sostituto
Delia Cardia, ha chiesto il rigetto del ricorso.
La sentenza delle Sezioni unite n. 111 del 30 novembre 2017 ha confermato
la necessità per il giudice della prevenzione di accertare l’attualità della
pericolosità sociale del proposto anche in caso di appartenenza ad un sodalizio
mafioso.
La Corte territoriale, proprio a tale parametro si era adeguata. Aveva
ricordato la sentenza definitiva a carico del Buggea che ne aveva accertato

il capo cosca Giuseppe Falsone. Aveva riportato il contenuto delle conversazioni
tenute dal proposto, durante la detenzione, fra il 2005 ed il 2012, nel corso delle
quali aveva dato alla moglie specifiche indicazioni sull’utilizzo delle società a lei
fittiziamente intestate. Aveva preso atto delle condotte del Buggea, successive
alla scarcerazione, con le quali il prevenuto aveva inteso tornare in possesso di
alcuni dei beni confiscati.
La Corte, nel rispetto del principio di autonomia fra il procedimento di
prevenzione e quello di merito, aveva poi valutato le emergenze, nel secondo,
che conducevano ad affermare la riconducibilità dell’Associazione agricola
sequestrata all’impiego di disponibilità economiche tratte dall’attività del
sodalizio.
Nel percorso argomentativo di entrambe le decisioni assolutorie, del Buggea
e del Falsone, dal delitto di intestazione fittizia dei beni, si era comunque dato
atto della attendibilità oggettiva e soggettiva del dichiarante Sardino, che
avesse riferito come le società del Buggea fossero partecipate, in modo occulto,
dagli esponenti di vertice della cosca, Falsone stesso e Gambino.
Si doveva anche considerare che il socio del Buggea era stato condannato
per l’art. 648 ter c.p.p. proprio in relazione a tale apporto.
Errato era poi il richiamo ad una presunta preclusione determinata dal
provvedimento reiettivo della confisca prevista dall’art. 12 sexies I. n. 356/1992
muovendo dalla distinzione della prova dei presupposti che ne costituiscono il
fondamento.
Irrilevante era poi l’eventuale immissione nelle società di capitali leciti
poiché la condotta mafiosa ed estorsiva del Buggea aveva contaminato l’intero
patrimonio delle aziende confiscate.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso proposto nell’interesse del Buggea è inammissibile.

4

l’intraneità nel sodalizio mafioso di Carrpobello di Licata ed il legame diretto con

1 – Lo è, innanzitutto, perché i motivi di ricorso, nella parte in cui
contestano la ricostruzione dei fatti operata dal Tribunale prima e dalla Corte di
appello poi, sotto la veste della dedotta violazione di legge, sollevano, in realtà,
doglianze rivolte all’apparato giustificativo del decreto impugnato e quindi
all’adeguatezza della motivazione, laddove invece è consentito il ricorso in
cassazione in tema di misure di prevenzione (dall’art. 10 d. Igs. 6 settembre
2011 n. 159 per le misure personali e dall’art. 27 del medesimo decreto per le
misure patrimoniali) solo per violazione di legge e può pertanto vertere sulla

quando la si pretenda affetta da altri vizi motivazionali: Sez. 6, n. 50946 del
18/09/2014, Catalano, Rv. 261590).
La motivazione del provvedimento impugnato non poteva affatto dirsi
inesistente o meramente apparente posto che si era fondata sul rilievo delle
seguenti circostanze:
– la pericolosità, qualificata, del Buggea era stata dedotta da una condanna,
definitiva, per il delitto di partecipazione al sodalizio mafioso di Campobello di
Licata per il quale il proposto aveva condotto attività economiche ed
imprenditoriali, strumentali agli interessi della cosca, ed aveva, anche, concorso
a singole azioni estorsive, funzionali al recupero di nuove risorse finanziarie ed a
ribadire il controllo mafioso del territorio;
– l’accertata pericolosità doveva considerarsi attuale (anche alla luce di
quanto precisato dalle Sezioni unite con la recente sentenza n. 111 del
30/11/2017, Gattuso, Rv. 271511) in quanto del prevenuto era stata accertata
la partecipazione diretta al sodalizio, e non la mera “appartenenza”, e si erano
raccolti elementi significativi (per il procedimento di prevenzione) della
permanenza di tale vincolo nella cura, durante la carcerazione e tramite la
moglie (l’intestataria fittizia delle attività economiche), delle imprese condotte
anche per conto del sodalizio, nell’interesse diretto dei suoi uomini di vertice, e
nel tentativo, almeno di fatto, attuato dopo la sua scarcerazione del 2012, di
ritornare in possesso di almeno parte dei beni sottoposti al vincolo;
– i beni sottoposti al vincolo erano stati tutti acquisiti nel periodo di tempo in
cui Buggea aveva attivamente partecipato alle attività illecite della consorteria e,
pertanto, almeno in parte, avevano costituito il provento, reinvestito, di tali
condotte;
2 – Né potevano costituire un ostacolo a tali valutazioni ed alla conseguente
emissione della misura il fatto che, nel processo di merito inerente alla
intestazione fittizia dei beni a favore e nell’interesse di Falsone e Gambino, si
fosse pervenuti alla assoluzione del Buggea perché, in quella sede si era
ritenuto, in applicazione dei principi fissati dall’art. 192 cod. proc. pen., la
5

motivazione solo quanto questa sia inesistente o meramente apparente (e non

carenza della prova, pur deducibile dalle dichiarazioni del collaboratore di
giustizia Giuseppe Sardino, perché non erano stati raccolti idonei riscontri
esterni, del fatto che Buggea stesso si fosse prestato ad occultare la proprietà di
beni e quote in realtà riconducibili agli stessi Falsone e Gambino, in quanto
l’insufficienza di tale costituto probatorio non si trasferiva nella valutazione di
quello posto a fondamento del procedimento di applicazione delle misure di
prevenzione visto che l’autonomia dei due procedimenti ha consentito a questa
Corte di affermare, costantemente, che, nel giudizio di prevenzione, la prova

cod. proc. pen. nè le chiamate in correità o in reità devono essere
necessariamente sorrette da riscontri individualizzanti (Sez. 5, n. 49853 del
12/11/2013, Rv. 258939, Sez. 1, n. 20160 del 29/04/2011, Bagalà, Rv.
250278).
3 – Né poteva affermarsi, ancora ricordando l’autonomia del giudizio di
prevenzione rispetto al giudizio di merito, che l’assoluzione di Buggea dal delitto
di intestazione fittizia dei beni precluda, di per sé, un contrastante esito del
procedimento di prevenzione, posto che, come si è visto, l’opposta decisione è
giustificata dalla, consentita, diversa valutazione dei portati probatori.
4 – All’inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e, versando il medesimo in colpa, della
somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma il 15 marzo 2018.
Il Consigliere estensore

Il Presidente
Maurizio Fumo

Enrico Vittorio Stanislao Scarlini

g-24
Depositato in Cancelleria
Roma, lì

indiretta o indiziaria non deve essere dotata dei caratteri prescritti dall’art. 192

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