Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17945 del 15/03/2018

Penale Sent. Sez. 5 Num. 17945 Anno 2018
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: SCARLINI ENRICO VITTORIO STANISLAO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A.

avverso il decreto del 05/04/2017 della CORTE APPELLO di LECCE
sentita la relazione svolta dal Cons? liere ENRICO VITTORIO
VIORIO SCARLINI;

Data Udienza: 15/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1 – Con decreto del 5 aprile 2017, la Corte di appello di Lecce confermava il
provvedimento del Tribunale di Brindisi che aveva applicato a A.A. la
misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per il
periodo di due anni, con la cauzione di euro 1.000.
La Corte osservava che il giudizio di pericolosità sociale, generica, della
prevenuta trovava adeguato fondamento nella precedente condanna a suo carico

tempi assai recenti, nei suoi confronti da diverse persone offese, tutti elementi
da cui si doveva dedurre che la stessa vivesse dei proventi dei delitti che andava
consumando.
A fronte della sistematicità della condotta della prevenuta – che si
presentava, in occasione delle citate truffe, come la titolare di un patrimonio,
importante ma vincolato, attestato da falsa documentazione, e così otteneva la
consegna di denaro, promettendo allettanti ritorni economici – non aveva rilievo
il fatto che alcune delle somme, provento delle truffe, fossero state restituite.
La prevenuta conduceva poi un alto tenore di vita senza che risultasse
condurre alcuna lecita attività lavorativa.
L’attualità del giudizio di pericolosità era desunta dal fatto che le condotte
più prossime erano state consumate nel 2015, l’anno precedente la richiesta
della misura.
2 – Propone ricorso la prevenuta, a mezzo del suo difensore, deducendo,
con l’unico motivo, la violazione di legge, anche con riferimento ai principi di
diritto fissati dalla sentenza della Corte EDU De Tommaso, posto che si era tratta
la prova della pericolosità, seppur generica, della prevenuta da un solo
precedente penale, molto risalente (del 2003) e da carichi pendenti che non
risultavano neppure iscritti nel relativo certificato.
Ricorda la difesa che la Corte Edu, poi, nella citata sentenza, aveva rilevato
come le norme previste dall’ordinamento italiano in tema di misura di
prevenzione personali delineassero fattispecie afflitte da inaccettabile genericità
e di ciò se ne aveva riprova proprio nell’odierno caso concreto in cui era stata
disposta la misura sulla sola base di un’unica precedente condanna, molto
risalente nel tempo, senza che fossero state acquisite le ulteriori denunce
riportate nei provvedimenti dei giudici e senza che fosse stato raccolto alcun
oggettivo riscontro dell’affermato tenore di vita della proposta.
Le denunce per truffa ancora pendenti erano poi per fatti anche risalenti, le
dazioni di denaro ad opera delle persone offese non erano state documentate,
mentre, al contrario, lo erano state le restituzioni.
1

per falso ed appropriazione indebita e nelle undici denunce per truffa sporte, in

3 – Il Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, nella
persona del sostituto B.B., chiedeva dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso posto che le numerose denunce per truffa sporte in anni recenti
deponevano per la pericolosità sociale della A.A., considerando anche che il
suo ricorso era argomentato, sostanzialmente, tutto in fatto.
Era poi contraddittoria l’affermazione che non risultavano carichi pendenti
rispetto alla presa d’atto dei processi che erano seguiti alle undici denunce.
4 – Con una successiva memoria la difesa della prevenuta ha presentato un

indeterminatezza degli elementi che avevano giustificato l’applicazione della
misura.
In particolare, non si era adeguatamente valutato il fatto che la proposta
aveva restituito parte delle somme, si era valorizzato un lontano precedente, del
2003, non si era tenuto conto che la A.A. aveva intrapreso una regolare
attività lavorativa, a partire dal 14 settembre 2016 (era stata sottoposta alla
misura dal 22 giugno 2016).

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso proposto nell’interesse della prevenuta è inammissibile.
1 – Quanto, più in generale, alle conseguenze della applicazione della
sentenza della Corte EDU, Grande Camera, 23 febbraio 2017, De Tommaso c.
Italia (ed ai conseguenti dubbi di costituzionalità dell’art. 1, comma 1, lettere a)
e b), del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, per violazione dell’art.
117 Cost. in rapporto all’art. 7 CEDU e all’art. 1 del Protocollo 1) questa Corte ha
già avuto modo di affermare la legittimità della misura di prevenzione personale
quando essa sia stata adottata sulla base, non già di meri sospetti, bensì di un
giudizio di fatto che ricostruisca le condotte materiali del medesimo, onde
successivamente valutarle ai fini della verifica della sua pericolosità sociale, così
da non esporsi, la legge interna, a difetti di chiarezza, determinatezza, precisione
e prevedibilità degli esiti applicativi (Sez. 1, n. 349 del 15/06/2017, Bosco, Rv.
271996).
In applicazione di tale principio di diritto, si osserva come, nel caso di
specie, il giudizio sulla misura si fosse fondato sugli esiti di un procedimento
penale, la cui sentenza era divenuta definitiva, e sulle risultanze di denunce (che
certamente erano stata sporte, posto che se ne erano dettagliati i contenuti e gli
estremi sia nella proposta del pubblico ministero, sia nel provvedimento del
Tribunale, da pagina 2 a pagina 8) dalle quali doveva evincersi la sistematicità
delle condotte truffaldine poste in essere dalla prevenuta, in tempi ravvicinati fra
2

motivo nuovo, in cui lamenta la violazione di legge derivata dalla

loro e prossimi alla medesima proposta che facevano concludere per il fatto che
la stessa vivesse anche di tali illeciti proventi (nulla potendosi dedurre dalle non
precisate, nel ricorso, nei modi, tempi e quantità, restituzioni).
2 – Peraltro, i due motivi di censura, l’originario e l’aggiunto, sotto la veste
della dedotta violazione di legge, sollevano, in realtà, doglianze rivolte
all’apparato giustificativo del decreto impugnato e quindi all’adeguatezza della
motivazione, laddove invece è consentito il ricorso in cassazione in tema di
misure di prevenzione (dall’art. 10 d. Igs. 6 settembre 2011 n. 159 per le misure

violazione di legge e può pertanto vertere sulla motivazione solo quanto questa
sia inesistente o meramente apparente (e non quando la si pretenda affetta da
altri vizi motivazionali: Sez. 6, n. 50946 del 18/09/2014, Catalano, Rv.
261590).
Un apparato argomentativo, quello contenuto nel decreto impugnato, i cui
passaggi ed esiti essenziali si sono sopra riportati e che certo non può essere
definito meramente apparente (e tantomeno assente).
Può solo aggiungersi che l’ulteriore argomentazione addotta dai giudici a
fondamento della misura e che trae spunto dal tenore di vita della proposta altro
non era, nel tessuto motivazionale del provvedimento impugnato, che
un’ulteriore sottolineatura del fatto che della A.A. non si conosceva (se non in
riferimento ad epoca successiva all’adozione della misura) una lecita fonte di
guadagno, così da non potersi spiegare, altrimenti che con i suddetti proventi
illeciti, come la medesima potesse mantenere un qualsivoglia tenore di vita.
3 – All’inammissibilità del ricorso segue la condanna della ricorrente al
pagamento delle spese processuali e, versando la medesima in colpa, della
somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma il 15 marzo 2018.
Il Presidente

Il Consigliere estensore

Maurizio Fumo

Enrico Vittorio Stanislao Serlini

ositato in C
Roma, lì

personali e dall’art. 27 del medesimo decreto per le misure patrimoniali) solo per

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