Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17937 del 18/12/2017


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 17937 Anno 2018
Presidente: VESSICHELLI MARIA
Relatore: MICCOLI GRAZIA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
RAPPOCCIO PASQUALE nato il 17/10/1956 a REGGIO CALABRIA
RAFFA ROSALIA MARIA nato il 13/08/1965 a REGGIO CALABRIA
RAPPOCCIO ANGELA nato il 17/07/1987 a REGGIO CALABRIA
RAPPOCCIO CARMEN nato il 14/07/1992 a REGGIO CALABRIA

avverso il decreto del 11/11/2016 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
sentita la relazione svolta dal Consigliere GRAZIA MICCOLI;
lette/sentite le conclusioni del PG

Data Udienza: 18/12/2017

Il Procuratore Generale, nella persona della dott. Paola FILIPPI, ha chiesto il rigetto dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. Con decreto dell’Il novembre 2016, la Corte di appello di Reggio Calabria – in parziale
riforma della pronunzia del Tribunale della stessa città – ha rideterminato in anni due,e mesi
sei la durata della misura della sorveglianza speciale di p.s. con obbligo di soggiorno applicata
a Pasquale RAPPOCCIO e.revocato la confisca ed il sequestro di alcuni beni (analiticamente
indicati nel provvedimento), confermando la confisca di tutti gli ulteriori beni mobili e immobili
indicati nel primo decreto.

difensori, ricorso per cassazione articolato in quindici motivi, relativi sia alla misura personale
(dal primo al terzo motivo), che a quella patrimoniale (dal quarto al quindicesimo motivo).
2.1. Con il primo motivo si deduce violazione di legge in ordine agli artt. 1, comma 1,
(anche se il ricorrente indica erroneamente l’art. 4) e 10, comma 3, d.lgs. n. 159/2011.
Sostiene il ricorrente che il giudizio di pericolosità formulato nel decreto sarebbe viziato per la
circostanza dhe la Corte territoriale si è limitata a postulare la pericolosità sociale (semplice)
del proposto senza fornire adeguata motivazione sul punto. In particolare, il giudice di secondo
grado non avrebbe indicato concrete circostanze di fatto sulla base delle quali poter ricondurre
il proposto in una delle categorie soggettive tipizzate dal legislatore. Sarebbero rimaste
inattese, quindi, le argomentazioni difensive in ordine alla necessità di un obbiettivo riscontro
di concreti elementi di fatto, al fine di poter operare una corretta prognosi di pericolosità.
Il giudice di secondo grado, secondo le doglianze difensive, ha inquadrato le condotte del
proposto nella categoria dei soggetti che vivono abitualmente dei proventi di attività delittuose
in assenza di una precisa individuazione degli elementi di fatto da cui desumere “la
sistematicità di delitti – in via ripetuta – che siano produttivi, in quanto tali, di un provento
qualificabile come illecito”.
2.2. Con il secondo motivo si denunzia violazione di legge in ordine agli artt.

1 e 10

cligs.7don riferimento all’attualità della pericolosità sociale.
Si afferma che la Corte territoriale avrebbe operato il giudizio di attualità della pericolosità
qualificata a mezzo di una mera presunzione, consistente nella ritenuta non necessità di
motivare sul punto.
Il Decidente, quindi, non si sarebbe attenuto ai parametri fondamentali – indicati dalla
giurisprudenza di questa Corte – sulla base dei quali va valutata l’attualità della pericolosità
sociale.
Sostiene, inoltre, il ricorrente che la circostanza che le condotte contestate al proposto
risalgano al 2005 (per quanto attiene alla pericolosità semplice) e al 2009 (per quanto riguarda
la pericolosità qualificata) avrebbe dovuto indurre la Corte territoriale a fornire una adeguata
motivazione circa la ritenuta sussistenza del requisito dell’attualità. Invero, secondo le
argomentazioni difensive, gli elementi che avrebbero dovuto costituire il substrato della
valutazione del Giudice circa la sussistenza, o meno, dell’attualità della pericolosità sociale,
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2. Avverso il decreto il suddetto Pasquale RAPPOCCIO ha proposto, per il tramite dei propri

devono essere ravvisati nei fatti compendiati nell’ultimo procedimento penale instaurato nei
confronti del prevenuto (“Reggio Nord”, ove la contestazione del reato ascritto è collocata nel
2010), con la conseguente necessità di accertare il persistere della pericolosità del soggetto
negli anni successivi, ovvero dal 2010 al 2016 (data di emissione del provvedimento
impugnato).
2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge in ordine agli artt. 7 e 4, comma
9, legge n. 1423/1956 e 125, comma 3, cod. proc. pen.
Premesso che l’omessa motivazione (al pari della motivazione priva dei requisiti minimi di

cassazione in tema di misure di prevenzione, si sostiene che il giudice di secondo grado
avrebbe ritenuto di riscontrare elementi idonei a ritenere le condotte del proposto sintomatiche
di pericolosità qualificata indipendentemente dall’esito dei procedimenti penali instaurati nei
suoi confronti. Nell’ambito di tali procedimenti, in particolare, è rimasta del tutto indimostrata
la funzionalità della condotta del ricorrente agli interessi della criminalità organizzata.
2.4. Con i successivi motivi si deduce violazione di legge in ordine agli artt. 24 d.lgs. n.
159/2011, 42 Cost., 125, comma 3, 192 e 193 cod. proc. pen.; in particolare con riferimento:
a) Alla riduzione del 10% delle spese Istat (quarto motivo). La Corte territoriale,
limitandosi a rigettare la parte del motivo di appello relativa “alla decurtazione delle
spese Istat per essere risultata la stessa famiglia del proposto proprietaria di abitazione
e non aver sopportato costi per fitti passivi”, non avrebbe fornito alcuna motivazione,
con conseguente violazione di legge censurabile anche in materia di misure di
prevenzione, in ordine alla richiesta decurtazione del 10% delle Spese Istat in relazione
agli acquisti per auto e moto. Altrettanto inesistente sarebbe la motivazione in ordine
alla errata considerazione autonoma, tra gli impieghi, delle spese per l’acquisto di
autoveicoli e motoveicoli, già ricompresi, in realtà, nell’elenco dei consumi non
alimentari delle tabelle Istat.
b) Alla riduzione del 18/20% delle spese Istat relativamente alla mancata esecuzione di
spesa per fitti passivi della casa di abitazione (quinto motivo). La Corte territoriale
avrebbe ritenuto la prova del superamento del tenore di vita della famiglia media in
forza di elementi o indici di spesa che non sono affatto ricompresi nell’elenco dei beni
considerati dalle tabelle Istat. Sostiene il ricorrente che il giudice di secondo grado, da
un lato, ha utilizzato le tabelle Istat quale parametro per la individuazione del requisito
della sproporzione economica, dall’altro, ha valorizzato gli acquisti immobiliari e gli
investimenti in quote e partecipazioni societarie (resi possibili da un più ampio margine
di risorse economiche), ovvero costi, o comunque elementi, che non sono ricompresi
nelle suddette tabelle. Questi ultimi elementi, quindi, non assumono alcuna rilevanza ai
fini della valutazione della sproporzione ex art. 24 d.lgs. n. 159/2011.

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coerenza, completezza e logicità) determina una violazione di legge censurabile con ricorso per

Altrettanto irrilevante sarebbe l’argomento relativo all’acquisto di due autovetture (una
nel 1990 e l’altra nel 1998), in quanto non dimostrativo di alcun consumo superiore alla
media.
c)

Al mancato riconoscimento delle utilità economiche del proposto e del suo nucleo
familiare, analiticamente indicate nell’atto di ricorso (sesto motivo). Sostiene il
ricorrente che una adeguata valorizzazione di detti risparmi e dei relativi frutti civili (da
determinarsi mediante l’applicazione del tasso di interesse pime rate ABI o del tasso di
interesse ex art. 1284 cod. civ.) avrebbe dimostrato l’origine lecita di tutti i beni

Il giudice di secondo grado, inoltre, nel pretendere dal proposto la prova delle
allegazioni difensive relative ai risparmi, e ai relativi frutti civili, degli anni 1977-2004,
ha fatto mal governo del criterio di valutazione della prova (volto al superamento del
ragionevole dubbio), improntandolo alla regola civilistica del “più probabile che non”
estranea al procedimento di prevenzione.
d) All’omessa valutazione dei finanziamenti bancari quali diponibilità economiche di origine
lecita del proposto (settimo motivo). La corte territoriale – rilevando che non poteva
tenersi conto dei finanziamenti bancari perché gli appellanti non avevano provato la
restituzione delle somme anticipate e che “non si sarebbe potuto ritenere che le somme
finanziate fossero state ancora tutte a debito del proposto e della sua famiglia” – ha
rigettato la relativa doglianza, formulata anche con l’atto di appello, facendo mal
governo delle norme e dei criteri di interpretazione della prova.
Sostiene il ricorrente che le il ragionamento seguito dalla Corte territoriale risulta
smentito dalle prove documentali prodotte dalla difesa, relative alla sussistenza di un
saldo debitorio su uno dei conti correnti intestati al proposto.
e) All’errata valutazione delle prove in riferimento agli investimenti in titoli (ottavo
motivo). Sostiene il ricorrente che la Corte territoriale, trascurando totalmente gli
elementi di prova emersi già in primo grado circa l’errato conteggio dei titoli e degli
investimenti, avrebbe rigettato le doglianze difensive sull’unico presupposto della
mancata contestazione da parte della difesa delle risultanze della relativa consulenza
del CTU.
f)

All’erronea determinazione in 12.000,00 euro (anziché in 3.000,00) dell’ammontare del
versamento nell’anno 2005 per la costituzione della società Polisportiva Piero Viola
S.S.P.A. (nono motivo).
La Corte non avrebbe distinto la sottoscrizione del capitale dal versamento dello stesso
nella misura del 25%, così come consentito dall’art. 2464 cod. civ. Del resto, sull’errata
determinazione del suddetto importo, la Corte non avrebbe fornito alcuna motivazione.

g) Alle operazioni di acquisto e successiva vendita delle quote della società Piccolo Hotel
S.r.l. (decimo motivo).

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sequestrati.

La Corte territoriale avrebbe male interpretato il dato probatorio emergente dai dati
documentali prodotti dalla difesa, ritenendo che il proposto avesse interamente
corrisposto (seppur in diversi momenti) la somma dovuta per l’acquisto delle suddette
quote (somma invece compensata al momento della cessione delle stesse quote al
precedente titolare) e non valorizzando la somma ricavata dalla vendita quale fonte di
origine lecita.
h) Alla confisca dei beni residui con pretermissione o esclusione del residuo reddito
disponibile lecito (undicesimo motivo). Il giudice di secondo grado non si sarebbe

artt. 24 d.lgs. n. 159/2011 e 42 Cost. che escludono la possibilità che le disponibilità
lecite di reddito o altre utilità possano portare alla confisca del bene.
i)

Alla confisca delle quote societarie e del corrispondente patrimonio dalla Piccolo Hotel
S.r.l. (dodicesimo e tredicesimo motivo). Secondo le argomentazioni sviluppate dalla
Corte territoriale, nel periodo successivo alla manifestazione della pericolosità sociale
nel è stata inserita nel circuito societario (negli anni 2008, 2009 e 2010) una quantità di
denaro (di entità tale da non potersi definire marginale) ampiamente sproporzionata
rispetto alle provvidenze lecite di cui il proposto poteva disporre. Sostiene il ricorrente
che, invero, una attenta analisi di tutte le operazioni relative all’esercizio dell’attività
sociale, avrebbe consentiti di accertare che la stessa somma individuata dal giudice
costituisce soltanto il 23% del capitale investito.
Il ragionamento seguito dalla Corte va censurato, secondo il ricorrente, anche in
relazione alla mancata esposizione delle regioni per le quali la Corte ha considerato
rilevanti anche le somme immesse nel circuito societario nel 2008.
Infine, il ricorrente lamenta che il vizio di motivazione che caratterizza il decreto
impugnato in ordine alla confisca dei suddetti beni sarebbe tale da integrare una palese
violazione di legge.

j)

Alla confisca del 50% del capitale sociale e delle quote societarie, nonché del
corrispondente

patrimonio

aziendale,

della

Welcome

Investments

S.r.l.

(quattordicesimo e quindicesimo motivo). Sostiene il ricorrente che, in violazione
dell’art. 2467 cod. civ., la Corte territoriale, nel disporre la confisca dei suddetti beni,
non ha operato alcuna distinzione tra le somme versate per l’acquisizione della titolarità
delle quote societarie e le somme versate a titolo di finanziamento. Queste ultime, in
particolare, fanno sorgere in capo al socio finanziatore un diritto soggettivo di credito
nei confronti della società; diritto che non può confondersi con la titolarità delle quote
societarie e, quindi, del patrimonio societario.
Secondo il giudice di secondo grado, i versamenti effettuati per la Welcome
Investments S.r.l. che assumono rilevanza ai fini dell’applicazione del provvedimento
ablatorio sono quelli effettuati nel 2002, 2003, 2005, 2006 e 2007. Tuttavia, i
versamenti relativi agli anni 2002 e 2003 sono stati qualificati dalla stessa Corte come
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confrontato con la destinazione del residuo lecito di risorse, in aperta violazione degli

”di sicura provenienza lecita”, in quanto tali non avrebbero potuto costituire oggetto di
confisca, pena la violazione degli art. 24 d.lgs. 159/2011 e 42 Cost.; quelli relativi agli
anni 2005, 2006 e 2007 costituirebbero, invece, finanziamenti effettuati dal proposto in
favore della società e, quindi, non passibili di ablazione, non essendo mai stato oggetto
di confisca, e neppure di sequestro, il diritto di credito del proposto nei confronti della
società.
Infine, il ricorrente lamenta che il vizio di motivazione che caratterizza il decreto
impugnato in ordine alla confisca dei suddetti beni sarebbe tale da integrare una palese

3. Per il tramite del loro difensore, munito di procura speciale, anche i terzi interessati Rosalia
RAFFA, Angela RAPPOCCIO e Carmen RAPPOCCIO hanno proposto ricorso articolato in dodici
motivi.
3.1. Con i primi undici motivi si propongono le stesse doglianze del ricorso del proposto
in ordine all’applicazione della misura patrimoniale.
3.2. Con il dodicesimo motivo si deduce violazione di legge in relazione agli artt. 17 e
24 d.lgs. n. 159/2011 e 178 e 179 cod. proc. pen., in quanto la Corte territoriale ha
confermato la confisca del libretto di deposito intestato a Carmen RAPPOCCIO, disposta dal
Tribunale in assenza della relativa richiesta di sequestro del Pubblico Ministero.
Sostengono i ricorrenti che il provvedimento impugnato è stato assunto in violazione della
disciplina dettata dal d.lgs. n. 159/2011 che – pur prevedendo, all’art. 19, comma 3, la
possibilità di svolgere indagini nei confronti del coniuge e dei figli, nonché di coloro che
nell’ultimo quinquennio hanno convissuto con il proposto – rimette pur sempre all’elenco
tassativo di soggetti di cui all’art. 17 la facoltà di formulare la richiesta di sequestro.
4. Con motivi nuovi depositati in data 27 novembre 2017 il proposto ha ribadito le doglianze
già formulate con il ricorso originario in ordine all’applicazione della misura sorveglianza
speciale di p.s. e ai relativi presupposti.
4.1. Con il primo motivo si invoca l’annullamento del decreto impugnato anche alla luce
della più recente giurisprudenza della Grande Camera della Corte EDU, con cui è stato
evidenziato il contrasto della normativa italiana in materia di misure di prevenzione con i
principi sovranazionali, dovuto alla scarsa precisione e prevedibilità che caratterizza la suddetta
normativa, tanto in ordine alle categorie dei soggetti destinatari delle misure, quanto alle
prescrizioni imposte con queste ultime.
4.2. Con il secondo motivo si ribadisce l’illegittimità della decisione assunta dalla Corte
territoriale per avere ritenuto la sussistenza della pericolosità sociale del proposto in assenza di
validi e concreti elementi di fatto in tal senso. Del resto, sostiene il ricorrente, nei confronti del
proposto non vi è stato alcun riconoscimento giudiziale della sua presunta mafiosità.
5. Con requisitoria scritta, depositata il 30 novembre 2017, il Procuratore Generale, previo
analitico esame delle singole doglianze proposte sia dal proposto che dai terzi interessati, ha
concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi.
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violazione di legge.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso presentato nell’interesse di Pasquale RAPPOCCIO è fondato e merita accoglimento nei
limitati termini di seguito indicati, mentre i ricorsi dei terzi interessati (Rosalia RAFFA, Angela
RAPPOCCIO e Carmen RAPPOCCIO) sono inammissibili.
1. I primi tre motivi del ricorso del proposto, in quanto riferibili all’accertamento della
pericolosità sociale – in funzione dell’applicazione della misura di prevenzione personale della
sorveglianza speciale di p.s. – possono essere esaminati congiuntamente.
1.1. La Corte territoriale ha confermato l’applicazione della suddetta misura personale

prevenuto dal 2005 e la pericolosità sociale qualificata dall’anno 2009.
Secondo le argomentazioni sviluppate dalla Corte di appello di Reggio Calabria,

«la pluralità

degli indici sintomatici protrattisi nel tempo e via via aggravatisi, trasformando una pericolosità
sociale semplice in una pericolosità sociale qualificata, offrono questa volta alla luce dei
concreti comportamenti che si sono esaminati, la dimostrazione di una svolta nella vita
imprenditoriale del proposto che, partendo da un sistema di illecita partecipazione a contratti
di pubbliche forniture a tutto vantaggio della società di cui il Rappoccio era amministratore, si è
evoluto assumendo cointeressenze imprenditoriali con capitali e uomini di ‘ndrangheta».
In particolare, gli elementi valutati dalla Corte territoriale e posti a fondamento del giudizio di
pericolosità sociale – sia semplice che qualificata – del proposto sono costituiti dalle risultanze
di tre procedimenti penali pendenti nei confronti del RAPPOCCIO:
– in ordine alla pericolosità sociale semplice viene valorizzato il procedimento penale n.
3434/2008 RGNR DDA, nel quale il proposto è stato rinviato a giudizio per una serie di reati dai
quali emerge – secondo le argomentazioni della Corte territoriale – il

modus operandi

dell’imprenditore RAPPOCCIO, amministratore della Medinex S.r.l., caratterizzato dalla
violazione dei principi che regolano la partecipazione alle pubbliche forniture, al fine di
procurare alla propria impresa, proprio grazie ai distorti meccanismi descritti negli stessi capi
di imputazione, vantaggi e lucro privilegiati. Si tratta di una serie di condotte che hanno
abbracciato l’arco di tempo ricompreso tra luglio 2005 e aprile 2006;
– la sussistenza della pericolosità sociale qualificata viene desunta dalle risultanze dei
procedimenti c.d. “‘Ndrangheta Banking” e “Reggio Nord”, nell’ambito dei quali il RAPPOCCIO è
imputato, in concorso, dei delitti di usura e illecita concessione di finanziamenti (processo
“Ndrangheta Banking”) e di intestazione fittizia (processo “Reggio Nord”), tutti aggravati ai
sensi dell’art. 7 D.L. 13 maggio 1991, n. 152, conv. dalla legge 12 luglio 1991, n. 203. Le
contestazioni (per le quali, in ordine al secondo dei suddetti processi, l’imputato ha riportato
condanna, seppur non definitiva) attestano il connubio, negli anni 2009 e 2010, fra
l’imprenditoria del RAPPOCCIO ed il capitale mafioso della cosca Pesce, nel processo
“Ndrangheta Banking”, e il capitale mafioso della cosca Condello, nel processo “Reggio Nord”.
Le vicende delineate in questi procedimenti, raffigurano il RAPPOCCIO quale imprenditore che
si mette al servizio del le suddette cosche, curando gli interessi patrimoniali delle stesse
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nei confronti di Pasquale RAPPOCCIO ritenendo sussistente la pericolosità sociale semplice del

relativamente alla fase – essenziale per la sopravvivenza di qualsivoglia consorteria mafiosa della “ripulitura” degli ingenti capitali mafiosi, derivanti da attività illecite, consentendone, così,
il reinvestimento nei circuiti dell’economia legale.
Secondo le valutazioni operate dalla Corte di appello di Reggio Calabria, infine, tale condizione
del proposto assume i caratteri della “appartenenza” (alle predette consorterie mafiose), intesa
come contiguità agli interessi criminali e condivisione degli stessi, da cui emerge un evidente
quadro di pericolosità sociale qualificata.
1.2. Circoscritto, quindi, il periodo di pericolosità sociale del prevenuto dal 2005 al

speciale di p.s. applicata dal Tribunale di Reggio Calabria nei confronti di Pasquale RAPPOCCIO,
in ossequio alla giurisprudenza di legittimità che esclude la necessità di attualizzare il giudizio
di pericolosità sociale nei confronti di appartenenti ad associazioni mafiose in assenza di
elementi da cui desumere il recesso dal sodalizio.
In altri termini, in punto di “attualità” della suddetta pericolosità il decreto opera un richiamo al
principio ermeneutico, fondato su massime di esperienza, che ne ritiene la persistenza
nell’indiziato di appartenere ad associazione mafiosa, in conseguenza della stabilità del vincolo
associativo, dato che si presume – essendo la stessa stabilità, sulla base di dati di natura
empirica e sociologica, una caratteristica costitutiva delle organizzazioni criminali – fino a
quando non vi sia una dimostrazione di scioglimento della compagine o di risoluzione del
legame del singolo, evenienze che la Corte ha sottolineato non essere state dimostrate, né
dedotte dall’interessato.
1.3. Articolata in questi termini, la motivazione fornita dalla Corte territoriale si pone in
contrasto con il principio di recente stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte, le quali hanno
affermato la necessità di accertare il requisito dell’attualità della pericolosità del proposto
anche nei confronti di indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, evidenziando che
solo nel caso in cui sussistano elementi sintomatici di una “partecipazione” del prevenuto al
sodalizio mafioso è possibile applicare la presunzione semplice relativa alla stabilità del vincolo
associativo (e, dunque, all’attualità della pericolosità sociale) purché la sua validità sia
verificata alla luce degli specifici elementi di fatto desumibili dal caso concreto e la stessa non
sia posta quale unico fondamento dell’accertamento di attualità della pericolosità (Sez. U, n.
111 del 30/11/2017, Gattuso, Rv. 271511).
La decisione in esame ha in particolare escluso che dalla sola individuazione di appartenenza
all’associazione mafiosa, pur se riferibile a compagini storiche, possa automaticamente
discendere l’attualità della pericolosità, a prescindere da ogni analisi rapportata ai tempi
dell’intervento di prevenzione, poiché le massime d’esperienza circa la stabilità del vincolo e le
modalità di risoluzione, desunte dall’esame sociologico e storico del fenomeno mafioso, devono
coniugarsi con un doppio ordine di verifiche sulla natura giuridica dell’accertamento di
appartenenza e circa l’apporto riconosciuto al gruppo dal singolo.

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2010, la Corte territoriale ha confermato, riducendone la durata, la misura della sorveglianza

L’applicazione della massima di esperienza desumibile dalla tendenziale stabilità del vincolo
può, dunque, trovare applicazione solo attraverso la previa analisi specifica dei suoi
presupposti di validità nel caso oggetto della proposta e non può da sola genericamente
sostenere l’accertamento di attualità.
Così delineato il requisito dell’attualità, quale presupposto applicativo delle misure di
prevenzione nei confronti dei soggetti indiziati di appartenere ad organizzazioni di stampo
mafioso, deve necessariamente riconoscersi l’omessa motivazione del decreto impugnato in
ordine al suddetto requisito.

fatti per i quali pendono a carico del proposto i predetti procedimenti penali, il RAPPOCCIO è
da considerarsi quale soggetto “appartenente”, e non “partecipe”, alle consorterie mafiose
sopra indicate, pur non organicamente inserito nel contesto criminale associativo, si rende
artefice di un contributo finalizzato alla e/o al rafforzamento dell’associazione e/o al
perseguimento degli interessi di questa.
Ne consegue, quindi, che in applicazione della suindicata pronunzia delle Sezioni Unite, nel
caso in esame non vi è spazio alcuno – quanto ai presupposti applicativi delle misure di
prevenzione personali, soprattutto con riferimento all’onere motivazionale del giudice – per
l’operatività della presunzione semplice dell’attualità della pericolosità sociale; condizione di
pericolosità debitamente documentata – sia dal Tribunale che dalla Corte di appello di Reggio
Calabria – esclusivamente con riferimento al periodo di tempo che va dal 2005 al 2010.
Le doglianze difensive sono, quindi, fondate nel punto in cui censurano il provvedimento
impugnato per la radicale mancanza di motivazione sul requisito dell’attualità della pericolosità
(per effetto della sua esplicitazione solo attraverso il richiamo alla presunzione di stabilità del
vincolo associativo, che, invece, è possibile desumere solo dall’analisi attinente alla specifica
natura dell’accertata appartenenza).
Si sostiene correttamente la necessità che su tale aspetto il giudice debba fornire un adeguato
sostegno in fatto, con l’espressa individuazione di quegli elementi da cui desumere la
persistenza del vincolo che lega il proposto alla consorteria mafiosa di appartenenza, da cui
discende appunto l’attuale pericolosità di quest’ultimo.
La stessa esplicitazione dell’esame logico in ordine alla natura e al peso specifico della ritenuta
personale contiguità del proposto alle predette consorterie mafiose – qualificata nei termini di
“appartenenza” – impone al giudice, in vista della imprescindibile attualizzazione degli elementi
di pericolosità, di analizzare quanto avvenuto tra i fatti posti a sostegno della sussistente
pericolosità sociale del prevenuto e l’epoca della proposta.
Onere motivazionale, quest’ultimo, a cui soccorre la presunzione semplice di attualità della
pericolosità sociale esclusivamente nei casi di contiguità intesa come appartenenza (Sez. U, n.
111 del 30/11/2017, Gattuso, Rv. 271511, cit.).

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In tale provvedimento, la Corte territoriale ha precisato (pagine 163 e 164) che, alla luce dei

Né, infine, dal complesso del provvedimento oggetto di impugnazione risulta neppure
logicamente evincibile, a prescindere dal richiamo testuale svolto in punto di analisi di
attualità, un’argomentazione congruente sul predetto dato dell’attualizzazione.
Si impone dunque l’annullamento del decreto impugnato, con rinvio per nuovo esame sul
punto alla Corte di appello di Reggio Calabria.
2. Per quanto riguarda le doglianze relative alla misura di prevenzione patrimoniale (dal quarto
al quindicesimo motivo) occorre premettere, in via generale, che il decreto con il quale la Corte
di Appello decide in ordine al gravame proposto dalle parti avverso il provvedimento del

violazione di legge, vizio, quest’ultimo, nel quale è compreso, per consolidata giurisprudenza di
questa Corte, quello della motivazione solo nella ipotesi in cui essa sia del tutto omessa ovvero
apparente (ex multis, Sez. 1, n. 6636 del 07/01/2016, Pandico e altro, Rv. 266365; Sez. U, n.
33451 del 29/05/2014, Repaci e altri, Rv. 260246; Sez. 5, n. 19598 del 08/04/2010, Palermo,
Rv. 247514; Sez. 6, n. 35044 del 08/03/2007, Bruno e altri, Rv. 237277).
Ciò comporta che non possono essere dedotti, con il ricorso per cassazione, gli altri vizi della
motivazione, previsti come motivo di ricorso dall’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen.,
quali la mancanza (parziale), la contraddittorietà o la manifesta illogicità.
Tale limitazione ha già superato il vaglio di costituzionalità per essere stata ritenuta la relativa
questione, sollevata con riferimento alla presunta violazione degli artt. 3 e 24 Cost., non
fondata; nello specifico la Corte Costituzionale ha rilevato che il procedimento di prevenzione,
il processo penale ed il procedimento per l’applicazione delle misure di sicurezza sono dotati di
proprie peculiarità, sia nel terreno processuale che nei presupposti sostanziali (Corte cost.
sent. n. 321 del 28 ottobre 2004); ciò ha consentito di ribadire il principio, già più volte
affermato (Corte cost. ord. n. 132 e 352 del 2003), che le forme di esercizio del diritto di
difesa possono essere diversamente modulate in relazione alle caratteristiche di ciascun
procedimento, allorché di tale diritto siano comunque assicurati lo scopo e la funzione.
A siffatta circoscrizione del perimetro cognitivo, proprio dei procedimenti di prevenzione,
riconosciuta come coerente con i precetti costituzionali (Corte cost. sent. n. 106 del 15 aprile
2015), si sommano, poi, í limiti intrinseci del giudizio di legittimità, che, com’è noto, non può
occuparsi della revisione del giudizio di merito, né della valutazione dei fatti, ma deve attenersi
alla verifica della correttezza giuridica e logica del provvedimento impugnato, rispetto alle cui
statuizioni la Corte di cassazione non dispone del potere di sostituire una propria alternativa
decisione.
Tanto premesso, deve rilevarsi che le doglianze proposte con riferimento alla confisca di
prevenzione introducono sub specie di vizio di (omessa) motivazione o motivazione apparente,
una diversa lettura di elementi di fatto che nell’ottica difensiva avrebbe dovuto condurre la
Corte di merito a conclusioni opposte a quelle adottate.
Trattasi di questioni che la Corte territoriale ha specificamente considerato, ritenendole non
decisive rispetto ad altri e più pregnanti elementi dimostrativi della pericolosità sociale del
10

Tribunale in materia di misure di prevenzione è ricorribile per cassazione esclusivamente per

proposto, nel periodo che va dal 2005 al 2010, e della sproporzione del reddito con le
disponibilità patrimoniali relative a quegli anni, in ordine alla quale la motivazione fornita
risulta non risulta mancante, né apparente, giacché le argomentazioni, a suo tempo sviluppate
dalla difesa Con i motivi di appello e in gran parte riproposte con il ricorso per cassazione,
sono state adeguatamente esaminate e ritenute infondate dalla Corte territoriale.
3.

In applicazione dei principi da ultimo evocati vanno dichiarati inammissibili i ricorsi

presentati nell’interesse dei terzi interessati Rosalia RAFFA, Angela RAPPOCCIO e Carmen
RAPPOCCIO, le cui deduzioni sono pressoché identiche a quelle formulate nell’interesse del

Si tratta cioè, di doglianze reiterative dei motivi di appello, in ordine ai quali la Corte
territoriale ha adeguatamente motivato, e introduttive di una diversa lettura degli elementi di
fatto, esclusa nel giudizio di legittimità.
4. Dalle considerazioni svolte discende l’annullamento del decreto impugnato limitatamente
alla misura di prevenzione personale, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di
Reggio Calabria.
Il ricorso del RAPPOCCIO va invece rigettato nel resto, mentre i ricorsi dei terzi interessati
Rosalia RAFFA, Angela RAPPOCCIO e Carmen RAPPOCCIO devono essere dichiarati
inammissibili e, per l’effetto, tali ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese
del procedimento e della somma di euro 2.000,00 a favore della Cassa delle ammende.
PQM
.
Annulla il decreto impugnato limitatamente alla misura di prevenzione personale
„ Cú-yy -t, 1,4-La
Rigetta nel resto il ricorso di
/alla Corte di ‘appello di Reggio Calabria per nuovo 00.44/. ,z

pappe cc, c

Pasquale RAPPOCCIO.
Dichiara inammissibili i ricorsi di Rosalia -RAFFA, Angela RAPPOCCIO e Carmen RAPPOCCIO e
condanna

k

predettUricorrenti al pagamento delle spese del procedimento e ciascuno- al

versamento della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende
Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2017
Il consigliere estensore

Il Presidente

proposto con riferimento alla misura di prevenzione patrimoniale.

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