Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17934 del 04/12/2012


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 17934 Anno 2013
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: FIDELBO GIORGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Antonino Riolo, nato ad Enna 18,5.10.1977
avverso l’ordinanza del 25 settembre 2012 emessa dal Tribunale di
Caltanissetta;
visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del consigliere dott. Giorgio Fidelbo;
udito il Sostituto Procuratore generale, dott. Piero Gaeta, che ha concluso per
il rigetto del ricorso;
udito l’avvocato Salvatore Timpanaro, che ha insistito per l’accoglimento del
ricorso.

Data Udienza: 04/12/2012

RITENUTO IN FATTO

Con l’ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale di Caltanissetta, in sede di
riesame, ha confermato il provvedimento del 12 settembre 2012 con cui il
G.i.p. del Tribunale di Nicosia aveva applicato la misura cautelare della
custodia in carcere nei confronti di Antonino Riolo, ritenendo sussistenti a suo

309/1990, per avere coltivato 112 piante di

cannabis indica di diverse

dimensioni, realizzando un impianto di irrigazione prelevando acqua da un
laghetto ricompreso nel terreno di sua proprietà.

Il difensore dell’indagato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo
sotto diversi profili il vizio di motivazione e l’erronea applicazione dell’art. 273
c.p.p.:
– contesta la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, rilevando che la
presenza dell’indagato nella sua azienda agricola, distante dal luogo in cui è
stata rinvenuta la piantagione di cannabis indica, non è un elemento che può
essere utilizzato per dimostrare la sua responsabilità in ordine al reato
contestato;
– censura il riferimento a presunti atteggiamenti sospettosi da parte
dell’indagato;
– assume che non possa considerarsi un elemento gravemente indiziante
quello della visibilità della tubatura che collega il laghetto situato nel terreno
del Riolo alla piantagione, distante circa quattrocento metri, in quanto
attraverso una apposita consulenza prodotta davanti al Tribunale la difesa ha
dimostrato che la tubatura era nascosta da pietre e che l’innesto della stessa
tubatura nel laghetto corrispondeva ad un preesistente tubo sempre esistito,
sicché il prolungamento sarebbe stato opera di ignoti e che, infine, il sito della
piantagione non era visibile dall’azienda dell’indagato;
– censura l’ordinanza per avere attribuito rilevanza al rapporto di
parentela con i proprietari dell’area di sedime della piantagione.
Inoltre, deduce la violazione dell’art. 274 lett. c) c.p.p., rilevando
l’insussistenza del pericolo di recidiva nel reato.
Infine, censura l’ordinanza in relazione alla scelta della misura custodiale.

2

carico gravi indizi di colpevolezza per il reato di cui all’art. 73 d.P.R.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.
I motivi con cui, sotto diversi profili, si contesta la sussistenza dei gravi
indizi di colpevolezza deducono, nella sostanza, il vizio di motivazione, ma
senza indicare alcuna intrinseca ed effettiva contraddizione

e coerente nella valutazione degli elementi probatori acquisiti. Infatti, il
Tribunale basa la sua valutazione in ordine alla presenza dei gravi indizi
richiesta dall’art. 273 c.p.p. sulla circostanza oggettiva che nel terreno di
proprietà dell’indagato è risultata installata una tubatura della lunghezza di
circa 400 metri, che pompava acqua dal laghetto di sua proprietà fino alle 112
piante di cannabis, specificando che il rubinetto che azionava il flusso di acqua
si trovava all’interno del terreno del Riolo: il fatto che le piante di cannabis
non si trovassero sulla proprietà dell’indagato non è un argomento in grado di
rendere illogica l’intera motivazione, in quanto gli stessi giudici hanno fatto
presente che, anche a voler ritenere la responsabilità della coltivazione in
capo ai soggetti titolari del terreno ove si trovavano le piante, gli elementi
indiziari a carico del Riolo giustificano comunque un suo coinvolgimento a
titolo di concorso nel reato di coltivazione di sostanze stupefacenti.

Manifestamente infondati sono i motivi con cui si censura l’ordinanza in
ordine alle esigenze cautelari e alla scelta della misura, in quanto il Tribunale
ha dato sufficiente risposta sull’esistenza di un “serio e grave pericolo di
reiterazione” dei reati da parte dell’indagato, desumendo la sua “spiccata
pericolosità sociale” dalle modalità e dalla non occasionalità della condotta
posta in essere, che secondo i giudici giustifica ampiamente anche il ricorso
alla misura della custodia cautelare in carcere.

All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore
della cassa delle ammende.
La Cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 94 comma
ter disp. att. c.p.p.

3

I-

nell’argomentazione dell’ordinanza impugnata, che, al contrario, appare logica

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa
delle ammende.

disp. att. c.p.p.
Così deciso il 4 dicembre 2012

Il Consig ere estensore

Il

ente

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1-ter

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