Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17928 del 12/04/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 17928 Anno 2013
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: APRILE ERCOLE

SENTENZA

sul ricorso presentato da
Marasco Marcello, nato a Presicce (LE) Il 18/05/1950

avverso la sentenza del 28/09/2012 della Corte di appello di Lecce;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Alfredo
Pompeo Viola, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Lecce confermava la
pronuncia di primo grado del 08/04/2010 con la quale il Giudice dell’udienza
preliminare del Tribunale di Brindisi aveva condannato Marcello Marasco alla
pena di giustizia in relazione al reato di cui agli artt. 56 e 393 cod. pen., per
avere – dopo aver svolto funzioni di rappresentanza presso la Vittoria
assicurazioni, ufficio sinistri di Lecce, in favore di Daniela Donato in relazione ad
una richiesta di risarcimento danni, e dopo aver ricevuto da tale compagnia di

Data Udienza: 12/04/2013

assicurazioni un assegno a titolo di risarcimenti, emesso in favore della Donato,
dell’importo di 2.260 euro, comprensive di 370 euro per spese legali – compiuto
atti idonei e diretti in modo non equivoco a costringere la Donato a versargli la
maggiore somma di 897 euro, rifiutando, il 27/09/2005, di consegnarle il titolo,
dicendole che “non sapeva con chi aveva a che fare”, minacciandola di mandarle
una “specifica” con la richiesta di 1.000 euro (richiesta effettivamente
indirizzatale il 29/09/2005 con raccomandata con la quale era stato sollecitato il
pagamento di “onorari, diritti e spese” per 1.194 euro), ed ancora, instaurando il
con una sentenza di rigetto di ogni pretesa attorea e con l’ordine di restituzione
dell’assegno alla parte convenuta; senza riuscire nell’intento per ragioni
indipendenti dalla sua volontà, essendosi la vittima determinata a sporgere una
denuncia-querela il 03/09/2005.
Rilevava la Corte salentina come le emergenze processuali avessero dimostrato
la fondatezza dell’ipotesi accusatoria e come gli elementi acquisiti avessero
consentito di reputare integrato il reato di tentato esercizio arbitrario delle
proprie ragioni, con minaccia alle persone, anziché quello originariamente
contestato di tentata estorsione aggravata.
2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso l’imputato, con atto sottoscritto
dal suo difensore avv. Ettore Marcarelli, Il quale ha dedotto i seguenti tre motivi.
2.1. Violazione di legge, in relazione all’art. 393 cod. pen., per avere la Corte
di appello erroneamente ritenuto configurabile il delitto Innanzi indicato, sia pure
allo stadio del tentativo, atteso che la condotta posta in essere dal Marasco non
aveva integrato alcuna minaccia nei riguardi della Donato, intesa come
prospettazione di un male ingiusto, essendosi egli limitato a trattenere l’assegno
inviato dalla compagnia di assicurazione, non essendo le parti “vincolate” dalla
indicazione che la stessa società di assicurazione aveva fatto quantificando in
sole 370 euro la parte spettante al professionista.
2.2. Violazione di legge, per non avere la Corte di appello ritenuto che la
condotta tenuta dall’imputato fosse stata scriminata dalla volontà di auto
integrazione dei propri diritti.
2.3. Violazione di legge, per avere la Corte distrettuale negato all’imputato il
riconoscimento del beneficio della non menzione della condanna nel certificato
del casellario giudiziario, facendo riferimento ad una precedente condanna
asseritamente ostativa, avente, però, ad oggetto il reato di oltraggio oramai
depenalizzato.
CONSIDERATO IN DIRITTO

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27/10/2005 contro la Donato una causa dinanzi al giudice di pace, poi conclusasi

1. Ritiene la Corte che il ricorso sia fondato nei limiti e con le precisazioni che
seguono.
2. Manifestamente infondato è il primo motivo del ricorso, con il quale
l’imputato ha riproposto l’identica doglianza già formulata con l’atto di appello e
disattesa dalla Corte territoriale con una motivazione congrua e completa, con la
quale l’odierno ricorrente ha sostanzialmente omesso di confrontarsi.
minaccia rivolta dal Marasco alla persona offesa Daniela Donato fosse derivata,
da un lato, dal fatto che il primo si era occupato di rappresentare gli interessi
della seconda dinanzi alla suddetta compagnia assicurazione, presentandosi
alla cliente come avvocato, laddove egli era solo un laureato in giurisprudenza,
iscritto all’albo dei praticanti avvocati, sicché giammai avrebbe potuto pretendere
dalla donna il pagamento degli onorari e dei diritti nella misura spettante
esclusivamente a chi esercita legittimamente la professione forense; da altro
lato, dal fatto che Il Marasco, a fronte del rifiuto della Donato di corrispondere un
importo maggiore rispetto a quello liquidato dalla società assicuratrice a titolo di
“onorari difensivi”, anziché restituire l’assegno alla donna ed agire in giudizio
contro la stessa per ottenere quanto egli riteneva fosse nel suo diritto, aveva
indebitamente trattenuto l’assegno, rivolgendo alla Donato la minaccia “di
fargliela pagare”, di non restiturglielo se non gli fosse stato dato quanto preteso
e che, anzi, avrebbe formato una “specifica per competenze professionali” per un
importo ancora maggiore: condotta minacciosa certamente contra ius ed idonea
a coartare la libertà di autodeterminazione della vittima, la quale aveva
successivamente impedito la consumazione del reato decidendo di denunciare il
Marasco alle forze di polizia (v. pagg. 4-7 sent. impugn.).
3. Il secondo motivo del ricorso è inammissibile in quanto – anche a voler
trascurare il riferimento ad un indirizzo giurisprudenziale, concernente la
funzione scriminante dell’autointegrazione del possesso da parte di chi abbia
subito uno spoglio clandestino o violento, assolutamente non pertinente alla
fattispecie – avente ad oggetto un’asserita violazione di legge non dedotta con
l’atto di appello.
L’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. prevede, infatti, espressamente come
causa speciale di inammissibilità la deduzione con il ricorso per cassazione di
questioni non prospettate nei motivi di appello: situazione, questa, con la quale
si è inteso evitare il rischio di un annullamento, in sede di cassazione, del

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I Giudici di merito avevano, infatti, evidenziato come la ingiustizia della

provvedimento impugnato, in relazione ad un punto intenzionalmente sottratto
alla cognizione del giudice di appello.
4. Il terzo motivo del ricorso è, invece, fondato.
Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio
secondo il quale, allorché un fatto già costituente reato risulti depenalizzato, la
condanna riportata per quel reato, giusto il disposto dell’art. 2 comma 2 cod.
pen., non può ritenersi preclusiva rispetto alla concessione, se del caso anche per
dell’art. 175 cod. pen. (così, tra le tante, Sez. 4, n. 10564 del 13/01/2006,
Mastropietro, Rv. 233713).
Di tale regula iuris la Corte di appello di Lecce non ha fatto corretta
applicazione, negando all’imputato il beneficio in parola esclusivamente per il
fatto di avere lo stesso un precedente per oltraggio a pubblico ufficiale (reato,
però, abrogato dall’art. 18 della legge n. 205 del 1999), lasciando così intendere
la mancanza di altre condizioni ostative al riconoscimento del beneficio
medesimo.
La sentenza impugnata deve essere, dunque, annullata senza rinvio ai sensi
dell’art. 620 comma 1 lett. I), potendo questa Corte dare i conseguenti
provvedimenti necessari.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla mancata
concessione del beneficio di cui all’art. 175 cod. pen., disponendo la non
menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.
Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso il 12/04/2013

la seconda volta, del beneficio della non menzione della condanna ai sensi

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