Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17923 del 12/01/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 17923 Anno 2018
Presidente: VESSICHELLI MARIA
Relatore: SCORDAMAGLIA IRENE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI TRENTO
nel procedimento a carico di:
PASQUALE CARLO nato il 02/07/1991 a TRENTO
nel procedimento a carico di quest’ultimo

avverso la sentenza del 03/06/2016 della CORTE APPELLO di TRENTO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere IRENE SCORDAMAGLIA
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUIGI ORSI
che ha concluso per

IL PG ANNULLAMENTO CON RINVIO PER IL CAPO 3 IN ACCOGLIMENTO DEL
RICORSO DEL PG, INAMMISSIBILE IL RICORSO DELL’IMPUTATO
Udito il difensore

Data Udienza: 12/01/2018

RITENUTO IN FATTO

1. In parziale riforma della sentenza del Tribunale di Rovereto, in data 23
ottobre 2014, che, all’esito del giudizio abbreviato, aveva riconosciuto Pasquale
Carlo colpevole del delitto continuato di furto aggravato e di utilizzazione
indebita di carta del tipo ‘bancomat’ intestata a Marcello Paola, la Corte di

riconoscendovi il delitto di cui all’art. 55, comma 9, d.lgs. 231/2007 nella forma
tentata, e, per l’effetto, riduceva la pena inflitta all’imputato, confermando nel
resto la sentenza appellata.
2. Ricorrono per cassazione il Procuratore generale distrettuale e l’imputato.
2.1. La parte pubblica denuncia il vizio di violazione di legge, in relazione
all’art. 55 d.lgs. 231/2007, deducendo che il giudice censurato aveva errato
nell’applicazione della norma menzionata, posto che il delitto di utilizzazione
indebita di carta di pagamento del tipo ‘bancomat’, nel caso all’esame, doveva
considerarsi consumato e non tentato, atteso che, per la prevalente
giurisprudenza di legittimità, ai fini della consumazione del delitto in parola è
sufficiente una qualsivoglia modalità di utilizzazione della carta ‘bancomat’, a
prescindere dall’effettivo conseguimento del denaro, al cui prelievo è funzionale
la detta utilizzazione. Eccepisce, altresì, il vizio di motivazione, derivante
dall’insuperabile illogicità desumibile dai passaggi argomentativi nei quali, per un
verso, s’era affermato che, per il configurarsi del delitto di cui all’ad’. 55, comma
9, d.lgs. 231/2007, occorre la mera utilizzazione del ‘bancomat’ e, per altro
verso, s’era sostenuto che l’inserimento della carta all’interno del dispositivo
automatico per il prelievo del denaro contante e la ripetuta digitazione di numeri
a caso, non disponendo il soggetto agente del PIN, sono operazioni tali da
integrare il mero tentativo del delitto medesimo.
2.2. Il difensore del ricorrente Pasquale articola due motivi.
2.2.1. Con il primo motivo denuncia il vizio di motivazione, assumendo che il
delitto di furto era stato ricondotto al Pasquale sulla base di un ragionamento del
tutto congetturale – valorizzando la mera somiglianza del soggetto ripreso dalle
telecamere di sorveglianza, nel mentre era intento nelle operazioni con il
‘bancomat’ compiute presso lo sportello bancario, con l’imputato e le sensazioni
soggettive della polizia giudiziaria cui le indagini erano state delegate -, come
tale in contrasto con i criteri di valutazione della prova indiziaria cristallizzati

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appello di Trento riqualificava il fatto di cui al capo B) della rubrica,

dall’art. 192 cod. proc. pen., e sulla base della mera ‘contiguità temporale’ con il
fatto della utilizzazione del ‘bancomat’.
2.2.2. Con il secondo motivo deduce il vizio argomentativo, con riguardo alla
riqualificazione del fatto di cui al capo B) della rubrica nei termini del delitto di
tentata utilizzazione indebita della carta ‘bancomat’ sottratta alla Marcello,
piuttosto che in quello del delitto di ricettazione, posto che la mancata
conoscenza del codice PIN associato alla carta ne rendeva impossibile
qualsivoglia utilizzazione rispetto allo scopo che con essa si voleva conseguire.

‘bancomat’ al Pasquale, a questi poteva ascriversi esclusivamente il delitto di cui
all’art. 648 cod. pen. quanto al possesso della carta di provenienza furtiva, da
qualificarsi anche ai sensi del secondo comma della norma in parola, atteso il
modesto valore della cosa costituente l’oggetto materiale del reato. Prospetta,
altresì, il vizio di violazione di legge, in relazione all’art.522 cod. proc. pen. e in
relazione agli art. 56 e 55, comma 9, d.lgs. 231/2007, e al riguardo sostiene, in
riferimento al primo profilo, che il giudice censurato, riqualificato il fatto di cui al
capo B) alla stregua dell’art. 648, comma 2, cod. pen., avrebbe dovuto
trasmettere gli atti al Pubblico Ministero, trattandosi di fatto del tutto nuovo
rispetto a quello originariamente contestato; in riferimento al secondo profilo,
assume che l’autonomia del delitto tentato – rispetto a quello consumato – di
utilizzazione indebita di carta ‘bancomat’ avrebbe imposto al giudice di
accogliere, in ragione dei limiti di pena compatibili con quelli che consentono il
patteggiamento e la sospensione dell’esecuzione della pena con messa alla
prova, l’istanza di applicazione dei detti istituti. Istanza che, invece, non aveva
ricevuto alcuna considerazione da parte del decidente, che aveva eluso l’obbligo
di motivazione quantomeno a sostegno del rigetto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso del Procuratore Generale è fondato, mentre quello dell’imputato
deve essere rigettato per essere destituite di giuridico fondamento le deduzioni
in esso articolate.
1. Ragioni di ordine logico suggeriscono di affrontare preliminarmente le
questioni devolute dalla parte privata con il primo motivo di impugnazione.
1.1. Al riguardo deve affermarsi che le censure che attingono il profilo della
riconducibilità del furto del ‘bancomat’, successivamente utilizzato dal Pasquale
per cercare di prelevare denaro da uno sportello bancario automatizzato,
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Donde, non essendoci prova certa quanto alla riconducibilità del furto della carta

involgono deduzioni in fatto non scrutinabili da questa Corte. In effetti, la
sentenza impugnata ha, con un percorso argomentativo lineare e coerente,
evidenziato che l’imputato era stato immortalato dalle videocamere dello
sportello bancario nell’atto di effettuare i prelievi con la tessera sottratta alla
Marcello e che i fotogrammi estrapolati da tali riprese non solo erano stati
confrontati con quelli ritraenti un soggetto similare intento ad effettuare le
medesime operazioni in circostanze di tempo e di luogo contigue, ma erano stati
anche visionati da appartenenti alla polizia giudiziaria, che vi avevano

tale sequela di indizi aveva trovato conferma nel rinvenimento presso
l’abitazione dell’imputato di indumenti del tutto identici a quelli indossati nel
momento del compimento delle operazioni di tentato prelievo di denaro presso lo
sportello automatizzato.
1.2. Il ragionamento decisorio sviluppato, appare, peraltro, conforme agli
approdi ermeneutici di questa Corte, che ha più volte affermato che
l’individuazione fotografica di un soggetto effettuata dalla polizia giudiziaria
costituisce una prova atipica la cui affidabilità deriva dalla credibilità della
dichiarazione di chi, avendo esaminato la fotografia, si dica certo della sua
identificazione (Sez. 5, n. 9505 del 24/11/2015 – dep. 08/03/2016, Coccia, Rv.
267562).
1.3. Immune da vizi logici è la motivazione della sentenza censurata anche
laddove ha riconosciuto la responsabilità dell’imputato per il delitto di furto
ascrittogli in conseguenza della contiguità temporale tra il momento di
sottrazione del portafogli alla Marcello e quello delle operazioni bancarie con il
bancomat di questa, non potendo ragionevolmente giustificarsi in altro modo la
disponibilità da parte del ricorrente della tessera ‘bancomat’ della persona offesa.
Sicchè non vi è dubbio che le censure con cui il ricorrente contesta tale
ricostruzione siano di mero fatto in quanto finalizzate ad ottenere una diversa
valutazione del materiale probatorio esaminato dai giudici di merito.
2. Quanto ai motivi di ricorso, sviluppati dal Procuratore generale e
dall’imputato, che attingono la qualificazione giuridica del fatto di cui al capo b)
della rubrica, va detto che le sole censure articolate dal Procuratore generale
colgono nel segno.
2.1. E’ pacifico nella giurisprudenza di legittimità che «L’indebita
utilizzazione, a fini di profitto, della carta di credito da parte di chi non ne sia
titolare, integra il reato di cui all’art. 12 del dl. n. 143 del 1991, conv. in I. n.
197 del 1991 (ora previsto dall’art. 55, comma 9, d.lgs. n. 231 del 2007),
indipendentemente dal conseguimento di un profitto o dal verificarsi di un danno,

riconosciuto con certezza il Pasquale, in quanto soggetto a loro noto. Nondimeno

non essendo richiesto dalla norma che la transazione giunga a buon fine>> (Sez.
5, n. 16572 del 20/04/2006, Sabau, Rv. 234460) e che «Non si ha reato
impossibile, in riferimento alla fattispecie criminosa di cui all’art. 12 D.L. n. 143
del 1991, nel caso in cui la carta di credito donata venga “bloccata’dal titolare,
essendo sufficiente, per l’integrazione del reato, il semplice possesso della carta
donata a prescindere dall’utilizzazione, in considerazione della natura di reato di
pericolo della fattispecie criminosa disciplinata dagli articoli richiamati» (Sez. 2,
n. 37016 del 05/10/2011, Zolli, Rv. 251155).

orientamento a tenore delle quali: «Il reato di illecito uso di carta di credito
non tutela il bene del patrimonio, ma garantisce, in modo più o meno diretto, i
valori riconducibili all’ambito dell’ordine pubblico economico e della fede pubblica
(Sez. 6, n. 29821 del 24/04/2012, Battigaglia, Rv. 253175; Sez. 2, n. 15834 del
08/04/2011, Bonassi, Rv. 250516; Sez. 5, Sentenza n. 41317 del 21/11/2006,
P.M. in proc. Lavagno e altro, Rv. 235761), si richiama, a ben vedere, ai principi
affermati nella materia de qua dal giudice delle leggi e dal giudice icvi. legittimità,
nella sua più autorevole composizione, in approfondimento dei temi relativi
all’oggettività giuridica e alla struttura del delitto di cui all’art. 12 d.l. 143 del
1991, conv. in I. n. 197 del 1991.
2.2. In particolare, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 302 del 2000,
ha evidenziato come l’art. 12 del d.l. n. 143 del 1991 delinei una figura
criminosa dalla fisionomia alquanto variegata: sia per quanto attiene all’oggetto
materiale, che si riferisce ad un’ ampia gamma di documenti, diversi tra loro per
natura, funzione e modalità d’impiego; sia per quel che concerne la condotta
penalmente rilevante, essendo contemplata, accanto all’ipotesi dell’indebita
utilizzazione dei documenti, da parte di chi non ne sia titolare, anche quella di
falsificazione di questi ultimi e di possesso di documenti di provenienza illecita o
comunque falsificati o alterati, nonché di ordini di pagamento con essi prodotti.
Da tale rilievo in ordine al profilo strutturale della fattispecie esaminata, il giudice
delle leggi ha tratto ragione per stabilire che, sebbene con riguardo ad alcuni dei
comportamenti ad essa riconducibili l’offesa al patrimonio individuale concorre a
delineare l’oggettività giuridica del reato, tuttavia la conformazione del
paradigma punitivo complessivamente considerato depone per la sicura
aggressione di interessi di marca pubblicistica: «interessi legati segnatamente
all’esigenza di prevenire, di fronte ad una sempre più ampia diffusione delle
carte di credito e dei documenti similari, il pregiudizio che l’indebita disponibilità
dei medesimi è in grado di arrecare alla sicurezza e speditezza del traffico

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Tale elaborazione ermeneutica, di cui sono espressione anche le massime di

giuridico e, di riflesso, alla “fiducia” che in essi ripone il sistema economico e
finanziario>>.
2.3. Le Sezioni Unite di questa Corte, del resto, con la sentenza n. 22902
del 28/03/2001, Tiezzi, Rv. 218871, hanno chiarito – per quanto interessa ai fini

della risoluzione della presente questione – come dall’analisi letteralettiella norma
in esame emerga che il legislatore abbia inteso assicurare la tutela degli interessi
evocati mediante la previsione di due condotte: la prima consistente nella
indebita utilizzazione, cioè nel concreto uso illegittimo delle carte di credito o

del non titolare al fine di realizzare un profitto per sè o per altri; la seconda
consistente nel possesso (inteso come detenzione materiale), nella cessione o
nell’acquisizione di tali documenti di provenienza illecita, cioè in una azione che
sotto il profilo logico e temporale è distinta dalla prima perché la precede e ne
costituisce il presupposto fattuale. Comportamenti, quelli descritti, che, con il
loro solo venire in essere, esauriscono la tipicità del fatto incriminato, dando
corpo, in ossequio al principio di determinatezza e tassatività dell’illecito penale,
a quella ‘indebita disponibilità’ dei documenti presi in considerazion&dalla norma
suscettibile di arrecare pregiudizio ai beni ‘metaindividuali’ tutelati; tanto vero
che l’eventuale conseguimento, da parte dell’agente, dell’ingiusto profitto con
correlativo danno del soggetto passivo rileva, esclusivamente, sotto il profilo
della dosimetria della pena (Rv. 218873).
Offrendo tale lettura dell’istituto in disamina, il giudice di legittimità ha
legittimato, con il crisma della propria autorevole interpretazione, gli approdi
ermeneutici cui erano pervenuti quei filoni della dottrina e della giurisprudenza,
che, in conformità alle ragioni di politica criminale che avevano ispirato gli
interventi normativi richiamati – diretti a contrastare il riciclaggio del danaro
sporco, prevedendo un controllo ‘a monte’ dei movimenti di danaro e di
limitazione dell’uso del contante, la cui disciplina andava presidiata con l’energico
strumento della repressione penale – avevano posto in luce come il legislatore,
conscio della inidoneità dei tradizionali illeciti di evento e di lesione – incentrati
sui concetti di danno e di profitto – a fronteggiare le nuove forme di criminalità
collegate allo sviluppo dei moderni strumenti di pagamento, avesse optato per
una semplificazione delle fattispecie, costruite in chiave di pericolosità e
caratterizzate dal fine di profitto e dall’assenza dei profili tipici costituiti dal
conseguimento di un vantaggio economico per l’agente e di un pregiudizio della
vittima, proprio allo scopo di consentire una apprezzabile facilità di accertamento
delle infrazioni allo statuto di disciplina del sistema finanziario, posto che

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delle carte di pagamento – lecita o illecita che sia la loro provenienza – da parte

nell’ambito che ad esso si riferisce non è agevole cogliere e dimostrare la
perpetrazione di frodi.
2.4. Alla luce dei parametri ermeneutici evocati, deve, dunque, concludersi
che il principio di diritto ricavabile dagli arresti richiamati, in forza del quale il
delitto di cui all’art. 55, comma 9, prima parte, d.lgs. n. 231/2007 si perfeziona
per effetto del solo concreto uso illegittimo delle carte di credito o di pagamento
o degli altri documenti equiparati, non può che trovare applicazione anche nel
caso scrutinato, posto che l’utilizzazione di una carta ‘bancomat’, di provenienza

digitazione casuale di sequenze numeriche presso uno sportello di prelievo
automatico di denaro, è tale da esaurire l’attitudine lesiva dei beni giuridici
dell’ordine pubblico economico e della fede pubblica, ritenuta sufficiente ad
integrare la fattispecie consumata di utilizzazione indebita di carta abilitante al
prelievo di denaro contante.
A ciò deve aggiungersi, peraltro, con notazione in fatto che vale a rafforzare
l’approdo teorico cui si è pervenuti, che, come evidenziato dal Procuratore
.,L
Generale ricorrente, la carbg pagamento ben avrebbe potuto essere utilizzata
senza necessità di digitazione del PIN per il pagamento del pedaggio
autostradale.
3. Manifestamente infondato è, infine, il rilievo censorio articolato dalla parte
privata ricorrente, che prospetta l’assorbimento dell’indebita utilizzazione della
carta ‘bancomat’ nel delitto di furto, quale

post factum

non punibile

dell’impossessamento della stessa, posto che, alla luce del dictum delle Sezioni
Unite Tiezzi, quanto al concorso tra le condotte di possesso e successiva
utilizzazione, al fine di profitto proprio o altrui, di carte di credito di provenienza
illecita (Rv. 218871), la giurisprudenza di questa Corte ha pacificamente
affermato che il delitto di furto della carta di credito concorre con quello di cui
all’art. 12 L. n. 143 del 1991, limitatamente alla ipotesi dell’indebito utilizzo del
medesimo documento, in quanto si tratta di condotte eterogenee sotto l’aspetto
fenomenico, verificandosi la seconda quando la prima è ormai esàurita e non
trovando, l’uso indebito, un presupposto necessario ed indefettibile
nell’impossessamento illegittimo (Sez. 5, n. 44018 del 10/10/2005, Fazio, Rv.
232810).
4. Le argomentazioni sin qui sviluppate, in ragione della loro valenza
dirimente, esimono il Collegio dall’esame delle ulteriori doglianze sollevate dal
ricorrente Pasquale.
5. S’impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata, previa
qualificazione del reato sub B) come consumato, limitatamente al trattamento
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furtiva, da parte di chi non sia in possesso del codice PIN, realizzata mediante la

sanzionatorio, con rinvio, per nuovo esame, sul detto punto alla Corte di appello
di Tento, sezione distaccata di Bolzano. Il ricorso del Pasquale va invece
rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento.
P.Q.M.

Qualificato il reato sub B) come consumato, annulla la sentenza impugnata
limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio, per nuovcr esame, su

il ricorso di Pasquale Carlo che condanna al pagamento delle spese del
procedimento.

Così deciso il 12/01/2018.

Il Consigliere estensore
Il Presidente
Irene Scordamaglia
M a Vessichelli

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Depositato in Cancelleria
Roma, lì

2..a.

2434,9.

detto punto alla Corte di appello di Anto, sezione distaccata di Bolzano. Rigetta

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