Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17921 del 12/04/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 17921 Anno 2013
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: APRILE ERCOLE

SENTENZA

sui ricorsi presentati da
1. Esposito Francesco, nato a Napoli 04/01/1951
2. Giordano Vincenza, nata a Napoli il 21/04/1978

avverso la sentenza del 17/05/2011 della Corte di appello di Napoli;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Alfredo
Pompeo Viola, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO
E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Napoli confermava la
pronuncia di primo grado del 04/02/2008 con la quale il Tribunale di Noia aveva
condannato Francesco Esposito e Vincenza Giordano alla pena di giustizia in
relazione al reato di cui agli artt. 110 e 337 cod. pen., commesso a Pomigliano
d’Arco il 05/01/2008.

Data Udienza: 12/04/2013

Rilevava la Corte di appello come le emergenze processuali avessero
dimostrato la colpevolezza dei prevenuti in ordine al reato loro contestato, atteso
che era stato provato che, quel giorno, i carabinieri avevano effettuato un
appostamento sul pianerottolo dell’edificio dove si trovava l’abitazione dei due
imputati e che il carabiniere Compagnane – notato un giovane, con dei soldi in
mano, fermo davanti all’uscio della casa dell’Esposito e della Giordano, che, alla
vista del militare, si era dato alla fuga – si era precipitato verso l’ingresso
dell’immobile, riuscendo ad osservare la presenza su di un tavolo di erba
chiusura della porta di legno, infilando le braccia ,attraverso il cancello di ferro
che era rimasto chiuso, che aveva dovuto ritrarre per evitare di essere colpito dal
battente chiuso con violenza dalla donna in esecuzione dell’ordine impartitogli
dal compagno.
2. Avverso tale sentenza hanno presentato ricorso gli imputati, con atto
sottoscritto dal loro difensore avv. Giuseppe Guida, i quali hanno dedotto la
violazione di legge, in relazione all’art. 337 cod. pen., per avere la Corte
territoriale erroneamente ritenuto che la condotta posta in essere dai prevenuti
avesse integrato gli estremi del reato di resistenza a pubblico ufficiale, tenuto
conto che gli stessi non avevano affatto impedito il compimento di un atto
dell’ufficio, essendosi limitati a chiudere la porta in legno della loro abitazione e
che l’ingresso del militare sarebbe stato comunque impedito dalla presenza di un
cancello in ferro, chiuso a chiave, che gli interessati avevano in seguito aperto.
3. Ritiene la Corte che il motivo proposto sia manifestamente infondato.
Costituisce ius receptum nelle giurisprudenza di questa Corte il principio
secondo il quale, per la configurabilità del delitto di resistenza, previsto dall’art.
337 cod. pen., per violenza deve intendersi qualsiasi condotta che ponga in
pericolo l’integrità fisica del pubblico ufficiale, anche esercitata indirettamente o
con corpi non destinati, per loro natura, all’offesa (Sez. 6, n. 7858 del
11/03/1981, Treccani, Rv. 150090).
Di tale regula iuris la Corte di appello di Napoli ha fatto buon governo
correttamente evidenziando come l’iniziativa doverosa dell’agente di polizia
giudiziaria, che aveva osservato una sospetta operazione di spaccio di sostanza
stupefacente, era intervenuta per bloccare la chiusura dell’uscio in legno della
casa dei due odierni ricorrenti, allo scopo di poter rilevare con più precisione la
natura dei beni presenti sul tavolo dell’abitazione, fosse stata frustrata dalla
condotta violenta dell’Esposito e della Giordano che, chiudendo con veemenza la
porta di legno e così costringendo il carabiniere intervenuto a ritirare le braccia
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essiccata, di alcune bustine e di vari arnesi, ed aveva cercato di impedire la

per evitare di subire una lesione, erano riusciti ad impedire o, comunque, a
condizionare ed a turbare l’attività del pubblico ufficiale, nel contempo ponendo
in pericolo la sua incolumità fisica: e ciò senza che rilevi

che l’ingresso

nell’abitazione del militare sarebbe stato, in ogni caso, impedito dalla presenza di
un cancelletto in metallo chiuso a chiave, in quanto, come si è visto, l’operazione
dei pubblico ufficiale non era, in quel momento, quella di entrare nell’immobile,
bensì quella di proseguire l’osservazione di quanto presente all’interno della casa
(oggetti dei quali significativamente i carabinieri non avevano trovato traccia
l’abitazione e consentito l’ingresso).
4. Alla inammissibilità dei ricorsi consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento in favore dell’erario delle spese del
presente procedimento e ciascuno a quello in favore della cassa delle ammende
di una somma, che si stima equo fissare nell’importo che segue.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno a quello della somma di euro 1.000,00 in favore della
cassa delle ammende.
Così deciso il 12/04/2013

quando, dopo circa dieci minuti, dagli interessati era stata aperta loro

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