Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17919 del 12/04/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 17919 Anno 2013
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: APRILE ERCOLE

SENTENZA

sul ricorso presentato dal
Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catanzaro
nel procedimento nei confronti di
Celentano Salzano Antonio, nato a Napoli il 04/04/1958

avverso la sentenza del 03/11/2011 della Corte di appello di Catanzaro;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Alfredo
Pompeo Viola, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Nadia Boni, che ha concluso chiedendo il rigetto del
ricorso.

RITENUTO IN FATTO
E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Catanzaro confermava
la pronuncia di primo grado del 15/04/2009 con la quale il Tribunale di Rossano

Data Udienza: 12/04/2013

aveva assolto Antonio Celentano Salzano, con la formula del “perché il fatto non
sussiste”, dal reato di cui all’art. 337 cod. pen., commesso in Rossano il
19/01/2007.
Rilevava la Corte di appello come la frase pronunciata dal Celentano, all’epoca
detenuto nella casa circondariale di Rossano, all’indirizzo di un sovrintendente e
di due assistenti della polizia penitenziaria – i quali, durante un controllo nella
cella dell’imputato, avevano rilevato la presenza di beni in esubero, avevano
intimato al Celentano di consegnare loro tali beni e si erano sentiti rispondere dal
prendeteveli con la forza” – non avesse integrato gli estremi del delitto
contestato, in quanto non accompagnata da alcuna atteggiamento esteriore di
violenza o di minaccia, ma qualificabile come una sorta di disobbedienza ad
eseguire personalmente quell’ordine ed a consegnare spontaneamente i beni
richiesti.
2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il Procuratore generale presso la
Corte di appello di Catanzaro il quale ha dedotto la violazione di legge, in
relazione all’art. 337 cod. pen., ed il vizio di motivazione, per mancanza,
contraddittorietà o manifesta illogicità, per avere la Corte territoriale
erroneamente escluso che la frase pronunciata dall’Imputato verso i tre
sottufficiali della polizia penitenziaria operanti avesse una carica intimidatoria ed
avesse, di fatto, impedito ai pubblici ufficiali di portare a termine l’atto del loro
ufficio.
3. Ritiene la Corte che il ricorso sia fondato.
4. Premesso che laddove venga denunciata una violazione della legge penale
sostanziale, il relativo vizio di motivazione, che pure sia stato dedotto dal
ricorrente, resta assorbito nell’esame della lamentata erronea interpretazione o
applicazione della norma, va rilevato come, nella fattispecie, i Giudici di merito
abbiano palesemente inficiato la loro valutazione in ordine alla sussunzione del
caso concreto nell’ipotesi incriminatrice astratta.
Costituisce, infatti, ius receptum nella consolidata giurisprudenza di questa
Corte il principio per il quale il reato di resistenza a pubblico ufficiale è stato
tipicizzato dal legislatore soltanto sotto il profilo teleologico, come volontà diretta
ad impedire la liberta d’azione del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico
servizio, talchè la minaccia o la violenza possono consistere in qualunque mezzo
di coazione fisica o psichica diretto idoneamente ed univocamente a raggiungere
Io scopo di impedire, turbare, ostacolare l’atto di ufficio o di servizio intrapreso

2

prevenuto “non ho nulla da consegnarvi, se avere coraggio entrate in cella e

da chi ne aveva facoltà (così, tra le tante, Sez. 6, n. 46 del 15/01/1970, Macrì,
Rv. 114631).
Alla luce di tale regula iuris risulta palese la carica intimidatrice che ebbe la
frase pronunciata dall’imputato Celentano all’indirizzo dei tre sottufficiali di
polizia giudiziaria che, nel doveroso esercizio dei compiti di istituto, gli avevano
Intimato di consegnare parte degli oggetti detenuti nella cella in esubero rispetto
al limite consentito: e ciò perché il prevenuto non si limitò a rifiutare la dazione
spontanea di quei beni, atteggiamento, questo sì, che avrebbe avuto la valenza
oggetti da parte dei pubblici ufficiali operanti con atteggiamento apertamente
minaccioso, dato che comunicò loro non solamente che, se avessero inteso
portare a termine l’iniziativa dell’ufficio, avrebbero dovuto prendere i beni “con la
forza”, così evocando la necessità dell’impiego di una forza fisica per vincere una
resistenza che egli avrebbe esercitato, ma soprattutto aggiunse la frase “se avete
il coraggio di entrare in cella” – frase in ordine alla quale significativamente
manca un qualsivoglia commento nella motivazione del provvedimento gravato certamente capace di incutere timore e di coartare la volontà dei destinatari, in
relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell’agente ed alle condizioni
ambientali in cui quelle parole vennero proferite.
5. La sentenza impugnata deve essere, dunque, annullata con rinvio al giudice
di merito che, nel nuovo giudizio, si uniformerà al principio di diritto innanzi
esposto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia, per nuovo giudizio, ad altra sezione della
Corte di appello di Catanzaro.
Così deciso il 12/04/2013

di mero atto di disobbedienza, ma si oppose di fatto all’apprensione di quegli

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