Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17915 del 21/05/2014


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Penale Sent. Sez. 7 Num. 17915 Anno 2015
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: VITELLI CASELLA LUCA

ortectierA
sul ricorso proposto da:
HSU DENIS N. IL 02/03/1965
avverso la sentenza n. 6909/2012 GIP TRIBUNALE di BOLOGNA, del
08/11/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA VITELLI
CASELLA;

Data Udienza: 21/05/2014

n.17 ricorrente HSU DENIS

Motivi della decisione

L’ imputato in epigrafe propone,a mezzo del difensore, ricorso per
cassazione avverso la sentenza emessa nei suoi confronti l’ 8 novembre 2012

del delitto previsto dall’art. 73 comma 1-bis d.P.R. n. 309/1990 ( coltivazione
illecita di 24 piante di marijuana e detenzione a fini di spaccio di diversi
quantitativi della stessa sostanza stupefacente ) commesso in Bologna il 26
novembre 2010, con applicazione della pena concordata con il P.M. di anni DUE,
mesi DIECI di reclusione ed euro 12.000,00 di multa ( pena base: anni 6 di
reclusione e 26.000,00 euro di multa ), ritenuta la continuazione con i reati di
cui alla sentenza del Tribunale di Bologna n.1162 del 30 aprile 2009, concessa
le attenuanti generiche ed applicata la diminuente del rito.
Denunzia il ricorrente la violazione degli artt. 129 e 444, comma 2° codice di rito
in ordine al mancato proscioglimento dell’imputato in ragione della scriminante
della destinazione dello stupefacente al suo esclusivo uso personale nonché in
punto al mancato riconoscimento della speciale attenuante prevista dall’art. 73,
comma V° d.P.R. n. 309/1990 ed all’errata applicazione dell’istituto della
continuazione sul rilievo che reato più grave non poteva ritenersi quello
giudicato con la sentenza impugnata.
Con memoria depositata in cancelleria il 17 aprile 2014, il difensore ha invocato
l’applicazione del

dictum

della Corte costituzionale, sopravvenuto con la

sentenza n. 32 del 2014.
La censure proposte con il ricorso sono manifestamente infondate.
E’ invero opportuno ricordare che nel “patteggiamento”, una volta che il giudice
abbia ratificato l’accordo, non è più consentito alle parti prospettare, in sede di
legittimità,

questioni con riferimento – non solo alla sussistenza ed alla

qualificazione giuridica

del fatto, alla sua attribuzione soggettiva, alla

applicazione e comparazione delle circostanze – ma anche alla entità ed alle
modalità di applicazione della pena,salvo che non si versi in ipotesi di pena
illegale ( cfr.ex mu/tis: Sez. VII, 21 dicembre 2009, El Hanana): eventualità
neppure denunziata, nel caso di specie,risultando in verità la pena finale
applicata esattamente conforme a quella oggetto della pattuizione intervenuta
tra le parti.
Deve altresì rilevarsi che neppure è consentito all’imputato, dopo l’intervenuto e
ratificato accordo, proporre questioni in ordine alla mancata applicazione

dal GIP del Tribunale di Bologna ex art. 444 cod. proc. pen. quale responsabile

dell’articolo 129 cod.proc.pen. senza precisare per quali specifiche ragioni detta
disposizione avrebbe dovuto essere applicata nel momento del giudizio, a fronte
peraltro, nel caso di specie, della motivata insussistenza dei presupposti
legittimanti l’applicazione della succitata disposizione normativa ” sulla base delle
analisi sulle piante sequestrate e contenenti principio attivo di sostanza
stupefacente “. Ne consegue, come questa Corte ha più volte avuto modo di
affermare, che l’imputato non può prospettare con il ricorso per cassazione

strettamente attenuto a siffatto insegnamento nel redigere la motivazione della
sentenza impugnata.
Deve invece rilevarsi d’ufficio

ex art. 609, comma 2° codice di rito

la

sopravvenuta illegalità del trattamento sanzionatorio applicato, come peraltro
eccepito dal ricorrente con la succitata memoria.
Giova rammentare che la Corte costituzionale,con sentenza n. 32 del 2014
(pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 11 del 5 marzo 2014 e quindi con effetti ex
art. 136 Cost., a far tempo dal giorno successivo ) ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale degli artt. 4-bis e 4-vicies del decreto legge 30 dicembre 2005 n.
272, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1 della legge 21 febbraio
2006 n. 46 con cui venne introdotta (per usare le stesse parole del Giudice delle
leggi ) ” una innovazione sistematica alla disciplina dei reati in materia di
stupefacenti sia sotto il profilo delle incriminazioni che sotto quello
sanzionatorio”, significativamente imperniato nella parificazione quoad poenam
dei delitti riguardanti le c.d. “droghe leggere” con quelli aventi ad oggetto le c.d.
“droghe pesanti”. Per l’effetto, acclarata l’illegittimità della valenza
modificativa/abrogativa della novella, si è automaticamente determinata la ”
reviviscenza ” delle disposizioni originarie dettate – sub art. 73 – dal d.P.R. 9
ottobre 1990 n. 309 – Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli
stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi
stati di tossicodipendenza,con specifico riferimento alle specifiche fattispecie
incriminatrici ed al relativo trattamento sanzionatorio. Come peraltro sottolineato
dalla stessa Corte costituzionale,si pone, in relazione ai processi pendenti nei
quali non sia intervenuta sentenza definitiva, la necessità, a mente del chiaro
disposto dell’art. 2, comma 4° cod.pen., dell’applicazione della disposizione più
favorevole al reo, attesochè ( com’è pacifico ) le disposizioni penali in vigore alla
data surrichiannata del commesso reato risultano diverse da quelle posteriori ed
attualmente applicabili, in particolare per quanto attiene alla previsione della
misura delle sanzioni penali. E’ pacifico che l’individuazione della disposizione più
favorevole al reo in tema di trattamento sanzionatorio applicabile nel caso
concreto va compiuta tra la normativa vigente all’epoca del fatto e quella

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censure che coinvolgono il patto dal medesimo accettato. Il Giudice a quo si è

divenuta attualmente applicabile,per effetto dell’intervento “ripristinatorio ” di
quella originariamente introdotta – e mai legittimamente abrogata o modificata
dalla novella di cui alla legge n. 46 del 2006 -; ciò per effetto della pronunzia di
incostituzionalità che, ovviamente, non può venire in giuoco ex se , a norma
dell’art.2 comma 4 0 cod. pen. quale tertium comparationis, non trattandosi di
“nuova disposizione di legge “. Ne discende che attualmente il delitto commesso

quella della multa, da 5.164 a 10.329 euro: disposizione sicuramente più
favorevole al reo rispetto a quella vigente all’epoca del fatto che, prescindendo
dalla tipologia delle sostanze stupefacenti, comminava, per detto delitto, la pena
della reclusione da sei a venti anni e quella della multa da euro 26.000 a euro
260.000.
Non resta quindi che far luogo all’annullamento senza rinvio della sentenza
impugnata (che ha recepito un accordo sulla pena formulato dalle parti sulla
base della normativa anteriormente vigente, la cui forbice edittale delle pene di
entrambi i generi risultava assai diversa in pejus rispetto a quella attualmente in
vigore) al fine di consentire al giudice a quo l’eventuale applicazione dell’jus
superveniens in punto pena previa rivisitazione integrale del procedimento di
determinazione della pena finale,anche agli effetti della ritenuta continuazione.
Gli atti vanno quindi rimessi a detto giudice per il nuovo giudizio.

PQM

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio e dispone trasmettersi gli atti al
Tribunale di Bologna.
Così deciso in Ronna,lì 21 maggio 2014.

dall’imputato in riferimento alle droghe c.d. leggere, risulta punito,ex art. 73,
comma 4 0 del citato d.P.R., con la pena della reclusione da due a sei anni e con

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