Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17913 del 21/05/2014


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Penale Sent. Sez. 7 Num. 17913 Anno 2015
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: VITELLI CASELLA LUCA

Th-

sul ricorso proposto da:
HANNACHI JOSBI N. IL 24/02/1990
avverso la sentenza n. 1908/2012 TRIBUNALE di PADOVA, del
19/07/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA VITELLI
CASELLA;

Data Udienza: 21/05/2014

n.12 ricorrente HANNACHI JOSBI

Motivi della decisione

L’ imputato in epigrafe propone personalmente ricorso per cassazione avverso
la sentenza emessa nei suoi confronti il 19 luglio 2012 dal Tribunale di
Padova, in composizione monocratica, ex art. 444 cod. proc. pen. in quanto

d.P.R. n. 309/1990 ( cessione reiterata a Grigolon Andrea di quantitativi vari di
sostanza stupefacente tipo eroina ) I commesse in Padova nel mese di giugno
2012 e fino al 18 luglio 2012 1 nonché del delitto di cui all’art. 337 cod. pen.
(capo B), commesso in Padova il 18 luglio 2012, con applicazione della pena
concordata con il P.M., di mesi UNDICI di reclusione ed euro 3.000,00 di multa (
pena base: 1 anno di reclusione e 2.000,00 euro di multa per il più grave delitto
sub A,di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/1990 concessa la speciale attenuante
prevista dall’art. 73, comma V° d.P.R. n. 309/1990, ritenuta la continuazione con
gli altri delitti ed applicata la diminuente per il rito)
Denunzia il ricorrente vizi motivazionali in ordine al mancato proscioglimento ex
art. 129 cod. proc.pen.
La censura è manifestamente infondata. Questa Corte ha ripetutamente
affermato il principio secondo il quale la motivazione della sentenza di
patteggiannento non può non essere conformata alla particolare natura giuridica
della stessa: lo sviluppo delle linee argonnentative è necessariamente correlato
all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di
provare i fatti dedotti nell’imputazione. Né l’imputato può avere interesse a
lamentare una siffatta motivazione censurandola come insufficiente e
sollecitandone una più analitica, dal momento che la statuizione del giudice
coincide esattamente con la volontà pattizia del giudicabile. D’altra parte, attesa
la natura pattizia del rito, chi chiede la pena pattuita rinuncia ad avvalersi della
facoltà di contestare l’accusa. Ne consegue, come questa Corte ha più volte
avuto modo di affermare, che l’imputato non può prospettare con il ricorso per
cassazione censure che coinvolgono il patto dal medesimo accettato. Il Giudice a
quo si è strettamente attenuto a tale insegnamento nel redigere la motivazione
della sentenza impugnata argomentando peraltro l’insussistenza dei presupposti
per l’applicazione dell’art.129 codice di rito sul rilievo dell’avvenuto arresto in
flagranza dell’imputato; delle dichiarazioni confessorie; degli esiti del narcotest e
di quanto riferito dal Grigolon.
Deve invece rilevarsi d’ufficio ex art. 609, comma 2° codice di rito

la

sopravvenuta illegalità del trattamento sanzionatorio, in ragione della entrata in

i

responsabile di due distinte violazioni (capi A e C)dell’art. 73 comma 1-bis

vigore di nuove disposizioni di legge modificative dell’art. 73, comma V° d.P.R.
n. 309/1990.
Giova rammentare che all’epoca del commesso reato sub A ( ritenuto più grave
agli effetti della continuazione) : 18 luglio 2012 e di quello – identico – sub
C:mesi di giugno e luglio 2012, l’art. 73, comma V° del d.P.R. n.309/1990
prevedeva un’ attenuante ad effetto speciale,con pena della reclusione compresa
gh
tra UNO e
anni congiunta a pena della multa compresa tra 3.000 e

er

L’art.2 del decreto legge 23 dicembre 2013 n.146 convertito, con modificazioni,
dall’art. 1 comma

10 della legge 21 febbraio 2014 n. 10 ha sostituto

integralmente, con effetto dal 24 dicembre 2013, il testo dell’art. 73 comma V°
d.P.R. n. 309/1990,ridisegnando peraltro una fattispecie autonoma di reato.
Tanto manifestamente emergeva dalla nuova formulazione letterale della norma
che recava l’inequivoca clausola di riserva o di sussidiarietà: “Salvo che il fatto
costituisca più grave reato…”

di guisa da delineare una condotta materiale

dotata di specifica ed autonoma rilevanza, relativamente agli estremi oggettivi
del reato integrati dalla condotta di “chiunque commette uno dei fatti previsti
dal presente articolo ” qualificabili in termini di “lieve entità” per mezzi, modalità
o circostanze dell’azione, qualità, quantità delle sostanze. Il delitto risultava
punito con lej pene della reclusione da UNO a CINQUE anni e della multa
da euro 3.000 a 26.000,fernna restando l’esclusione di ogni differenziazione in
rapporto alla natura “pesante” o ” leggera” delle sostanze stupefacenti.
In seguito, per effetto del decreto legge 20 marzo 2014 n.36 ( in vigore dal 21
marzo 2014) convertito nella legge 16 maggio 2014 n. 74 – art. 1, l’art.73
comma V° d.P.R. n. 309/1990 ha subito ulteriori modifiche in relazione al
trattamento sanzionatorio. Riconfermata la qualificazione del fatto come reato
autonomo e ferma l’irrilevanza della diversa tipologia della sostanza
stupefacente, il reato risulta anche attualmente punito con la pena della
reclusione compresa tra SEI mesi e QUATTRO anni e con quella della multa da
euro 1.032 ad euro 10.329.
Ciò detto il

novum

jus superveniens

normativo,quale

rispetto all’assetto

normativo in vigore all’epoca dei commessi reati per cui è processo,deve essere
valutato nell’ambito di un organico giudizio comparativo volto ad individuare la
disposizione più favorevole al reo ex art. 2 comma 4 0 cod. pen. Ritiene il
Collegio di individuare, in tale ottica, la disposizione più favorevole all’imputato
nel novum normativo introdotto dall’art. 1 del decreto legge 20 marzo 2014
n.36 ( in vigore dal 21 marzo 2014) convertito nella legge 16 maggio 2014 n.
74 – art. 1, con cui non solo si sono sensibilmente ridotte le pene di genere
detentivo e pecuniario previste dall’art.73 comma V° d.P.R. n. 309/1990,sia nel

2

26.000 euro; ciò a prescindere dalla tipologia della sostanza stupefacente.

minimo che nel massimo edittali rispetto alla formulazione in vigore all’epoca del
fatto, ma soprattutto si è confermata la qualificazione delle condotte” di lieve
entità ” in termini di fattispecie autonoma di reato, come già stabilito dall’art.2
del decreto legge 23 dicembre 2013 n.146 convertito, con modificazioni,
dall’art. 1 comma 10 della legge 21 febbraio 2014 n. 10.
Non resta quindi che far luogo all’annullamento senza rinvio della sentenza
impugnata (che ha recepito un accordo sulla pena in base della normativa

reato più grave agli effetti della continuazione, la cui forbice edittale delle pene
di entrambi i generi si rivela assai meno favorevole rispetto a quella attualmente
in vigore) al fine di consentire al giudice a quo l’eventuale applicazione dell’jus
superveniens in punto pena previa rivisitazione integrale del procedimento di
determinazione della pena finale, seguito agli effetti della ritenuta
continuazione.
Gli atti vanno quindi rimessi a detto giudice per il nuovo giudizio.

PQM

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio e dispone trasmettersi gli atti al
Tribunale di Padova.
Così deciso in Roma,lì 21 maggio 2014.

anteriormente vigente,con specifico riferimento, in particolare, a quella riferita al

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