Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17903 del 04/12/2012


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 17903 Anno 2013
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: FIDELBO GIORGIO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:
1) Maria Rosa Procopio, nata a Catanzaro il 15.7.1957;
2)

Natalina Scaramuzzino, nata a Torino il 9.9.1964;

avverso la sentenza del 28 marzo 2012 emessa dalla Corte d’appello di
Torino;
visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi;
udita la relazione del consigliere dott. Giorgio Fidelbo;
udito il Sostituto Procuratore generale, dott. Piero Gaeta, che ha concluso per
il rigetto del ricorso;
udito l’avvocato Flavia Urcioli, sostituto processuale dell’avvocato Paolo
Chicco, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 04/12/2012

RITENUTO IN FATTO

1. Con la decisione indicata in epigrafe la Corte d’appello di Torino ha
confermato la sentenza del 23 febbraio 2009 con cui il Tribunale in sede
aveva ritenuto Maria Rosa Procopio e Natalina Scaramuzzino responsabili, in
concorso tra loro, del reato di cui all’art. 378 c.p., condannandole alle pene

Secondo i giudici di appello le imputate, con dichiarazioni rese ai
Carabinieri che indagavano sul furto di un assegno che risultava incassato
dalla società Auto 93 s.a.s., di cui la Scaramuzzino era amministratrice e la
Procopio dipendente, hanno favorito Massimo Boero, cioè l’autore del furto,
tentando di indirizzare su un soggetto deceduto, Marco Calogero, le indagini
relative all’assegno in questione. In particolare, la Procopio avrebbe reso false
dichiarazioni alla polizia giudiziaria, dopo averle concordate con la
Scaramuzzino.

2. Entrambe le imputate hanno proposto ricorso per cassazione, mediante
il comune difensore di fiducia.

2.1. Nel ricorso presentato nell’interesse della Procopio, il difensore ha
dedotto, come primo motivo, la violazione dell’art. 500 comma 2 c.p.p., in
quanto le dichiarazioni lette per le contestazioni rivolte alla teste Elena
Catozzi, responsabile dell’agenzia Unicredit di Moncalieri presso cui era
correntista la società Auto 93, sono state utilizzate per la decisione.
Inoltre, denuncia la violazione dell’art. 195 c.p.p., in quanto sia la
testimonianza de relato di Elena Catozzi, che quella resa dal maresciallo
Pittalis non risultano riscontrate.
Con un ulteriore motivo viene dedotta l’erronea applicazione dell’art. 378
c.p., rilevando la mancanza di prove circa la responsabilità dell’imputata: in
particolare, si assume che i giudici hanno del tutto trascurato le dichiarazioni
rese dalla stessa Procopio, preferendo fondare la decisione sulle dichiarazioni
della Catozzi, peraltro prive di riscontri; analoghe critiche vengono mosse alle
dichiarazioni rese dal maresciallo Pittalis; lo stesso vale per il registro delle
fatture, di cui si esclude ogni rilievo indiziario.

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ritenute di giustizia.

Con l’ultimo motivo, si evidenzia, da un lato, come il presunto
favoreggiamento non abbia determinato nessun ostacolo effettivo alle
indagini, dall’altro, si lamenta della mancata applicazione delle attenuanti
generiche, negate senza alcuna motivazione al riguardo.

2.2. Nel ricorso presentato nell’interesse della Scaramuzzino, il difensore

degli elementi di prova a carico dell’imputata, non risultando dagli atti alcuna
condotta diretta ad istigare o comunque a concorrere nel reato di
favoreggiamento. Rileva che l’imputata era solo la formale intestataria della
società, che nulla sapeva della vicenda dell’assegno e che non conosceva
Massimo Boero e, inoltre, che si recò presso la filiale della banca, dopo essere
stata contatta dai Carabinieri, solo per accompagnare la Procopio, cioè la
persona che aveva ricevuto l’assegno.
Con un secondo motivo censura la sentenza in relazione alla misura della
pena, ritenuta eccessiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso della Procopio è infondato.
3.1. I motivi di natura processuale dedotti nel ricorso presentato da Maria
Rosa Procopio sono manifestamente infondati.
3.1.1. Innanzitutto, non risulta che le dichiarazioni predibattimentali rese
dalla teste Elena Catozzi siano state utilizzate per la decisione, come
erroneamente sostenuto nel ricorso: la sentenza ha fatto sempre riferimento
all’esame reso dalla testimone nel giudizio di primo grado e se anche sono
state effettuate alcune contestazioni nel corso dell’assunzione della prova non
risulta alcun utilizzo delle dichiarazioni ante judicium.
Ne consegue che non si pone neppure un problema di violazione dell’art.
500 comma 2 c.p.p.: tale disposizione vuole impedire che dichiarazioni
assunte fuori dal dibattimento, luogo in cui la prova si deve formare, possano
essere utilizzate per la decisione, tuttavia se le dichiarazioni predibattimentali
utilizzate per le contestazioni al testimone, sono successivamente confermate,
seppure in termini laconici, esse devono considerarsi come dichiarazioni rese
direttamente in sede dibattimentale e, quindi, pienamente utilizzabili per la
decisione.

3

ha dedotto l’erronea applicazione dell’art. 378 c.p., sostenendo la mancanza

Ed è quanto accaduto nel caso in esame, in cui alla teste Catozzi sono
state contestate alcune precedenti affermazioni rese nel corso delle indagini
relative a fatti che non ricordava perfettamente e che poi, proprio a seguito
della contestazione, è stata in grado di riferire e di ricostruire durante l’esame
svolto in dibattimento: del resto i giudici d’appello danno atto che la teste ha
confermato quanto già dichiarato nell’immediatezza dei fatti.

Corte d’appello ha già correttamente escluso la dedotta violazione di legge.
La testimonianza della Catozzi è stata ritenuta pienamente utilizzabile
anche nella parte in cui riferisce fatti appresi dalle imputate, in quanto la
disciplina in materia di testimonianza indiretta non trova applicazione nei casi
in cui la fonte sia lo stesso imputato, perché quest’ultimo non può essere
chiamato a rendere dichiarazioni che possono pregiudicare la sua posizione,
con la conseguenza che è irrilevante accertare se lo stesso abbia inteso
sottrarsi o si sia di fatto sottratto all’esame dibattimentale (Sez. V, 25 marzo
2004, n. 26628, Sappracone; Sez. VI, 11 maggio 2005, n. 33750, Longani;
Sez. VI, 3 dicembre 2009, n. 49517, Gandolfo; Sez. V, 25 maggio 2011, n.
32834, Mazzarella).
Resta ovviamente ferma la necessità di accertare con rigore la veridicità
delle dichiarazioni che siano state rese in via indiretta, cosa che nella specie è
stata fatta, dal momento che la testimonianza della Catozzi è stata oggetto di
riscontro, costituito dalla deposizione di Barbara Grand.
Discorso analogo deve essere fatto in relazione alle dichiarazioni del
maresciallo Pittalis. Questi ha riferito che nel corso del sopralluogo presso la
carrozzeria della Auto 93, effettuato assieme al capitano Fanelli, sentì la
Procopio che parlava a telefono con Massimo Boero e tale dichiarazione è
stata correttamente ritenuta utilizzabile dai giudici di secondo grado, che
hanno messo in rilievo come il divieto di testimonianza indiretta previsto per
gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non si applica nell’ipotesi in cui il
verbalizzante riferisca sulle attività di indagine svolte dalla polizia giudiziaria
nello stesso contesto investigativo (Sez. II, 21 settembre 2010, n. 36286,
Miele). Del resto nessuna delle parti ha chiesto che venisse sentito anche il
capitano Fanelli, a conferma di quanto riferito dal Pittalis, sicché la ricorrente
non può oggi lamentare l’assenza di un riscontro non richiesto.

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3.1.2. Per quanto riguarda l’art. 195 c.p.p., si rileva che sul punto la

3.2. Infondati sono gli altri motivi, che contestano la ritenuta
responsabilità dell’imputata.
Nel ricorso la Procopio censura la sentenza per avere posto alla base
dell’affermazione di responsabilità prove non univoche: le critiche riguardano
la testimonianza della Catozzi, che invece la sentenza ritiene pienamente
credibile, oltre che riscontrata da altri elementi di prova; la testimonianza del

ritenuto rilevante dalla Corte d’appello, in quanto in esso non risultano
pagamenti effettuati da compagnie assicuratrici per la riparazione
dell’autovettura di Boero e la fattura a debito di Calogero risulta emessa dopo
che erano state emesse le fatture del 17 e 21 giugno 2005.
Si tratta di elementi che la sentenza ritiene rilevanti per dimostrare che la
Procopio abbia mentito nel dichiarare ai Carabinieri di aver ricevuto l’assegno
di provenienza furtiva da Marco Calogero e non da Massimo Boero, in questo
modo aiutando quest’ultimo a eludere le investigazioni nei suoi confronti;
peraltro, i giudici hanno sottolineato che la Procopio, prima dì andare dai
Carabinieri, si recò con la Scaramuzzino presso l’agenzia della Unicredit dove
apprese che l’assegno era provento di furto, elemento questo che è stato
valorizzato per ritenere la sussistenza dell’elemento soggettivo.
3.3. Infondato è anche il motivo con cui la ricorrente sostiene
l’insussistenza del reato contestato dal momento che la sua condotta non
avrebbe in alcun modo ostacolato le indagini.
Si osserva al riguardo che il favoreggiamento personale è reato di
pericolo di pura condotta, la quale, tuttavia, per costituire aiuto alla elusione
delle investigazioni, deve essere potenzialmente idonea al conseguimento di
un tale risultato e deve, inoltre, essere consapevolmente diretta ad inserirsi
nell’ambito operativo di dette indagini, ma non è richiesto che queste ultime
siano effettivamente fuorviate. E’ invece necessario che la condotta posta in
essere sia potenzialmente idonea ad eludere ovvero a intralciare le
investigazioni: i giudici di merito hanno compiuto un tale accertamento,
ritenendo che l’espediente di attribuire al defunto Calogero la provenienza
dell’assegno rubato, servendosi della fotocopia dei suoi documenti, abbia
certamente costituito un concreto ostacolo allo sviluppo delle indagini.
3.4. Infine, deve ritenersi infondato anche il motivo con cui si lamenta la
mancata applicazione delle attenuanti generiche: la sentenza ha escluso tali

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Pittalis, che i giudici definiscono dotata di certezza; il registro delle fatture,

attenuanti in considerazione dei precedenti penali dell’imputata, delle
modalità della condotta e del suo pessimo comportamento processuale,
offrendo così una coerente e logica motivazione al riguardo, che non merita
alcuna censura.

4. Infondato è anche il ricorso della Scaramuzzino, che si limita a negare

4.1. Invero, la sentenza nel sostenere il concorso dell’imputata con la
Procopio evidenzia come la Scaramuzzino, dopo essere stata interpellata
telefonicamente dal maresciallo Pittalis per avere notizie sulla provenienza
dell’assegno in questione, si sia recata in banca, assieme alla coimputata,
dicendo all’impiegata di avere ricevuto l’assegno dal Boero e che sempre la
Scaramuzzino invitò la Procopio a recarsi dai Carabinieri, dove rese la falsa
dichiarazione finalizzata a favorire Boero. Nella ricostruzione dei fatti la
sentenza attribuisce alla Scaramuzzino l’espediente di attribuire a Calogero la
provenienza dell’assegno rubato servendosi dei documenti esistenti presso la
carrozzeria e la individua come il soggetto che ha dato le direttive alla
Procopio, sua dipendente.
Si tratta di una motivazione che si fonda su una lettura coerente e logica
degli elementi di prova acquisiti agli atti, che i motivi proposti non riescono a
mettere in crisi, limitandosi, come si è detto, ad una semplice negazione di
responsabilità.
4.2. Del tutto infondato è anche il motivo riguardante il trattamento
sanzionatorio: i giudici di merito hanno differenziato le posizioni delle due
imputate e nella determinazione della pena hanno tenuto conto
dell’incensuratezza della Scaramuzzino, tanto è vero sono state riconosciute le
attenuanti generiche, nonché i benefici della sospensione condizionale della
pena e della non menzione della condanna, giustificando l’entità della
sanzione in rapporto alle modalità delle condotte poste in essere e al pessimo
comportamento processuale.

5.

In conclusione, i ricorsi devono essere respinti e le ricorrenti

condannate al pagamento delle spese processuali.

P. Q. M.

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ogni coinvolgimento nella vicenda.

Rigetta i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 4 dicembre 2012

Il Consiglire estensore

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