Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17903 del 02/03/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 17903 Anno 2018
Presidente: BONI MONICA
Relatore: APRILE STEFANO

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
DATO MASSIMO nato il 01/11/1972 a VIZZOLO PREDABISSI

avverso l’ordinanza del 12/06/2017 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere STEFANO APRILE;

Data Udienza: 02/03/2018

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

La CORTE APPELLO di MILANO – giudice dell’esecuzione -, con ordinanza in data 12/06/2017,
rigettava l’istanza di continuazione in sede esecutiva presentata da DATO MASSIMO in relazione ai
re sentenze.
Propone ricorso per cassazione il condannato, deducendo la violazione di legge e il vizio di
motivazione con riferimento alla esclusione della continuazione.

Il ricorso è inammissibile.
Tra i requisiti del ricorso per cassazione vi è anche quello, sancito a pena di inammissibilità, della

determinati della decisione impugnata, ma anche quello di indicare gli elementi che sono alla base
delle sue lagnanze. Nel caso di specie il ricorso è inammissibile perché privo dei requisiti prescritti
dall’art. 581, comma 1, lett. c) c.p.p. in quanto, a fronte di una motivazione ampia e logicamente
corretta, non indica gli elementi che sono alla base della censura formulata, non consentendo al
giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato.

Il giudice dell’esecuzione ha evidenziato molteplici elementi di fatto in forza dei quali ha tratto la
convinzione che non vi siano elementi per ritenere che i reati giudicati possano essere uniti dal
vincolo della continuazione in sede esecutiva, evidenziando, in particolare:
– il difetto di qualunque elemento da cui possa desumersi una preventiva programmazione (e
addirittura un’astratta programmabilità) degli episodi delittuosi;
– il lasso di tempo trascorso, le differenti modalità del fatto sotto il profilo sia spaziale che
temporale, la diversità oggettiva dei reati;
– lo stato di tossicodipendenza non è di per sé elemento sufficiente a far ritenere sussistente
medesimo disegno criminoso, in presenza di elementi oggettivi che testimoniano l’impossibilità di
una preventiva determinazione dei vari episodi.
Con riferimento al dedotto stato di tossicodipendenza, l’ordinanza impugnata appare immune da
vizi poiché ha fatto corretta applicazione del costante orientamento di legittimità secondo il quale
«in tema di reato continuato, a seguito della modifica dell’art. 671, comma primo, cod. proc. pen.
ad opera della L. n. 49 del 2006, nel deliberare in ordine al riconoscimento della continuazione il
giudice deve verificare che i reati siano frutto della medesima, preventiva risoluzione criminosa,
tenendo conto se l’imputato, in concomitanza della relativa commissione, era tossicodipendente, se
il suddetto stato abbia influito sulla commissione delle condotte criminose alla luce di specifici
indicatori quali a) la distanza cronologica tra i fatti criminosi; b) le modalità della condotta; c) la
sistematicità ed abitudini programmate di vita; d) la tipologia dei reati; e ) il bene protetto; f)
l’omogeneità delle violazioni; g) le causali; h) lo stato di tempo e di luogo; i) la consumazione di più
reati in relazione allo stato di tossicodipendenza» (Sez. 2, Sentenza n. 49844 del 03/10/2012,
Gallo, Rv. 253846).
Il Collegio ritiene che il percorso logico argomentativo dell’ordinanza impugnata, che non è certo
affetta da difetto di motivazione, appaia assolutamente coerente e non contraddittorio, essendo
stata motivatamente esclusa la ricorrenza degli indicatori specifici sopra ricordati.
Va, in conclusione, ribadito l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale legittimamente può
essere negato il riconoscimento del vincolo della continuazione in considerazione del notevole lasso
di tempo intercorrente fra i vari fatti criminosi (se tale elemento non sia contrastato da positive e
contrarie risultanze probatorie) e dei frequenti periodi di detenzione subiti dal richiedente; in

specificità dei motivi : il ricorrente ha non soltanto l’onere di dedurre le censure su uno o più punti

particolare, in tema di reato continuato, se la detenzione in carcere o altra misura limitativa della
libertà personale, subita dal condannato tra i reati separatamente giudicati, non è di per sé idonea
a escludere l’identità del disegno criminoso, essa non esime il giudice dalla verifica in concreto di
quegli elementi (quali ad esempio la distanza cronologica, le modalità esecutive, le abitudini di vita,
la tipologia dei reati, l’omogeneità delle violazioni, etc.) che possono rivelare la preordinazione di
fondo che unisce le singole violazioni (Sez. 1, Sentenza n. 32475 del 19/06/2013, Taraore, Rv.
256119).
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro duemila alla cassa delle ammende.

Così deciso il 02 03/2018

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della somma, che ritiene equa, di euro duemila a favore della cassa delle ammende.

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