Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 179 del 18/11/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 179 Anno 2017
Presidente: DIOTALLEVI GIOVANNI
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di Lo Grande Vito, n. a Bisacquino
(PA) il 27/01/1965, rappresentato e assistito dall’avv. Antonio Di
Lorenzo, di fiducia, avverso la sentenza della Corte d’appello di
Palermo, terza sezione penale, n. 4208/2014, in data 06/11/2015;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
udita la requisitoria del Sostituto procuratore generale dott. Roberto
Aniello che ha chiesto il rigetto del ricorso;
sentita la discussione della difesa di parte civile Mandara Giovanni,
avv. Giuseppe Di Lisi, sostituito dall’avv. Antonio Urciuolo, che ha
concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso ovvero di
rigettare lo stesso, con condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali sostenute nel giudizio di legittimità che si
quantificano in complessivi euro 6.030,000 oltre spese generali, IVA e
CPA.

Data Udienza: 18/11/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 06/11/2015, la Corte d’appello di
Palermo confermava nei confronti di Vito Lo Grande la condanna
pronunciata in primo grado dal Tribunale di Termini Imerese in data
20/12/2013 alla pena di mesi sei di reclusione con la sospensione
condizionale e la condanna generica al risarcimento dei danni

cagionati alla parte civile Giovanni Mandara, per il reato di
danneggiamento aggravato.
2. Avverso detta sentenza, nell’interesse di Vito Lo Grande,
viene proposto ricorso per cassazione per i seguenti motivi:
– (primo motivo): errata applicazione della legge penale in relazione
all’art. 635 cod. pen.;

(secondo motivo): erronea applicazione della legge penale in

relazione all’art. 625 n. 7 cod. pen.;
– (terzo motivo): violazione della legge penale in relazione all’art. 62
bis cod. pen.
2.1. In relazione al primo motivo, si censura la sentenza
impugnata che ha ritenuto la ricorrenza del reato pur se era stato
accertato che nell’area non recintata l’accesso sarebbe stato possibile
a tutti, non erano stati prodotti i video integrali relativi ai giorni
precedenti il fatto dal momento che l’autovettura della persona offesa
sarebbe rimasta lì ferma, che la scalfitura sarebbe potuta risalire ad
una data anteriore rispetto a quella denunciata, che non era chiaro
cosa il ricorrente avesse tra le mani al momento del fatto a ragione
della scadente qualità delle immagini e, infine, che non era stato
considerato il fatto che il danno provocato era stato talmente esiguo
da escludere la sussistenza del reato.
2.2. In relazione al secondo motivo, si censura la sentenza
impugnata che non ha escluso l’aggravante di cui all’art. 625 n. 7
cod. pen. essendo la vettura del Mandara parcata in uno spazio
riservato ai veicoli della Polizia di Stato, dotato di videosorveglianza
con registrazione attiva nelle ventiquattro ore.
2.3. In relazione al terzo motivo, si censura la sentenza
impugnata che, nel negare il riconoscimento delle circostanze
attenuanti generiche, non aveva tenuto conto non solo
dell’incensuratezza del Lo Grande ma anche del suo corretto

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comportamento processuale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso – che, in parte, reitera le medesime doglianze già
oggetto del gravame d’appello ed in relazione alle quali il giudice di
secondo grado ha reso adeguata risposta e, in altra parte, solleva

– è manifestamente infondato e, come tale, risulta inammissibile.
2.

Va preliminarmente evidenziato come, secondo la

giurisprudenza della Suprema Corte (cfr., Sez. 6, n. 10951 del
15/03/2006, Casula, Rv. 233708), anche alla luce della nuova
formulazione dell’art. 606, comma primo lett. e) cod. proc. pen.,
dettata dalla L. 20 febbraio 2006 n. 46, il sindacato del giudice di
legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato
deve mirare a verificare che la relativa motivazione sia: a) “effettiva”,
ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante
ha posto a base della decisione adottata; b) non “manifestamente
illogica”, ovvero sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni
non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della
logica; c) non internamente “contraddittoria”, ovvero esente da
insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da
inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non
logicamente “incompatibile” con altri atti del processo, dotati di una
autonoma forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro
rappresentazione disarticoli

l’intero

ragionamento svolto dal

giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità così da
vanificare o radicalmente inficiare sotto il profilo logico la motivazione
(nell’affermare tale principio, la Corte ha precisato che il ricorrente,
che intende dedurre la sussistenza di tale incompatibilità, non può
limitarsi ad addurre l’esistenza di “atti del processo” non
esplicitamente presi in considerazione nella motivazione o non
correttamente interpretati dal giudicante, ma deve invece identificare,
con l’atto processuale cui intende far riferimento, l’elemento fattuale
o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta
incompatibile con la ricostruzione adottata dal provvedimento
impugnato, dare la prova della verità di tali elementi o dati invocati,

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censure di merito certamente non consentite nel giudizio di legittimità

nonché dell’esistenza effettiva dell’atto processuale in questione,
indicare le ragioni per cui quest’ultimo inficia o compromette in modo
decisivo la tenuta logica e l’interna coerenza della motivazione).
2.1. Non è dunque sufficiente che gli atti del processo invocati
dal ricorrente siano semplicemente “contrastanti” con particolari
accertamenti e valutazioni del giudicante e con la sua ricostruzione

astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di
quella fatta propria dal giudicante.
Ogni giudizio, infatti, implica l’analisi di un complesso di
elementi di segno non univoco e l’individuazione, nel loro ambito, di
quei dati che – per essere obiettivamente più significativi, coerenti tra
loro e convergenti verso un’unica spiegazione – sono in grado di
superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il
convincimento del giudice e di consentirne la rappresentazione, in
termini chiari e comprensibili, ad un pubblico composto da lettori
razionali del provvedimento. E’, invece, necessario che gli atti del
processo richiamati dal ricorrente per sostenere l’esistenza di un vizio
della motivazione siano autonomamente dotati di una forza
esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in
grado di disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante e
determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o
da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la
motivazione. Il giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere
un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva,
non manifestamente illogica e internamente coerente, a seguito delle
deduzioni del ricorrente concernenti “atti del processo”.
2.2. Tale controllo, per sua natura, è destinato a tradursi in una
valutazione, di carattere necessariamente unitario e globale, sulla
reale “esistenza” della motivazione e sulla permanenza della
“resistenza” logica del ragionamento del giudice.
Al giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di
controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi
di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di
nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti,
preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perché ritenuti
maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa.

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complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità né che siano

Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo
giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione
assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la
motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le
partì non prestino autonomamente acquiescenza) rispettino sempre
uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e
spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione.

Può quindi affermarsi che, anche a seguito delle modifiche dell’art.
606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e) ad opera della L. n. 46 del
2006, art. 8, “mentre non è consentito dedurre il travisamento del
fatto, stante la preclusione per il giudice di legittimità si sovrapporre
la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta
nei precedenti gradi di merito, è invece, consentito dedurre il vizio di
travisamento della prova, che ricorre nel caso in cui il giudice di
merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non
esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello
reale, considerato che in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli
elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione,
ma di verificare se detti elementi sussistano” (Sez. 5, n. 39048 del
25/09/2007, Casavola e altri, Rv. 238215).
2.3. Pertanto, il sindacato di legittimità non ha per oggetto la
revisione del giudizio di merito, bensì la verifica della struttura logica
del provvedimento e non può quindi estendersi all’esame ed alla
valutazione degli elementi di fatto acquisiti al processo, riservati alla
competenza del giudice di merito, rispetto alla quale la Suprema
Corte non ha alcun potere di sostituzione al fine della ricerca di una
diversa ricostruzione dei fatti in vista di una decisione alternativa.
Nè la Suprema Corte può trarre valutazioni autonome dalle
prove o dalle fonti di prova, neppure se riprodotte nel provvedimento
impugnato. Invero, solo l’argomentazione critica che si fonda sugli
elementi di prova e sulle fonti indiziarie contenuta nel provvedimento
impugnato può essere sottoposto al controllo del giudice di
legittimità, al quale spetta di verificarne la rispondenza alle regole
della logica, oltre che del diritto, e all’esigenza della completezza
espositiva (Sez. 6, n. 40609 del 01/10/2008, Ciavarella, Rv. 241214).
2.4. La medesima giurisprudenza di legittimità considera,
inoltre, inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che

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si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in
appello e motivatamente disattesi dal giudice di merito, dovendosi gli
stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto non
assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza
oggetto di ricorso (v., tra le tante, Sez. 5, n. 25559 del 15/06/2012,
Pierantoni; Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, p.m. in proc. Candita,
Rv. 244181; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, Giagnorio, Rv.

231708). In altri termini, è del tutto evidente che a fronte di una
sentenza di appello che ha fornito una risposta ai motivi di gravame,
la pedissequa riproduzione di essi come motivi di ricorso per
cassazione non può essere considerata come critica argomentata
rispetto a quanto affermato dalla Corte d’appello: in questa ipotesi,
pertanto, i motivi sono necessariamente privi dei requisiti di cui
all’art. 581 cod. proc. pen., comma 1, lett. c), che impone la
esposizione delle ragioni di fatto e di diritto a sostegno di ogni
richiesta (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone, Rv. 243838).
Sulla base di questi principi va esaminato l’odierno ricorso.
3. Manifestamente infondato è il primo motivo di ricorso.
Anche a voler prescindere dalla circostanza — decisiva — che si è
in presenza di censura che articola prospettazioni di merito che non
possono essere valutate in sede di legittimità, rileva il Collegio come i
giudici di merito, con motivazioni — in doppia conforme — del tutto
congrue e prive di vizi logico-giuridici, abbiano riconosciuto la
ricorrenza del fatto di reato e la sua attribuibilità all’odierno ricorrente
alla luce del contenuto della denuncia, delle immagini estrapolate del
servizio di videosorveglianza nonché delle dichiarazioni rese dai testi:
è rimasto così dimostrato come il danneggiamento fosse stato portato
a termine dal Lo Grande servendosi di un oggetto appuntito con il
quale provvedeva a scalfire la fiancata del lato guida dell’autovettura
di proprietà della parte civile Mandara Giovanni, vettura che, al
momento del fatto, si trovava parcheggiata nello spazio riservato al
posteggio delle autovetture della Polizia di Stato.
4. Manifestamente infondato è il secondo motivo di ricorso.
Il controllo della res esposta al pubblico con un sistema di
videosorveglianza attenua ma non elide l’esposizione alla pubblica
fede, ovvero il presupposto fattuale per il riconoscimento
dell’aggravante.

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È stato, infatti, affermato che la ragione dell’aggravamento
previsto dalla suddetta norma è data dalla volontà di apprestare una
più energica tutela penale alle cose mobili che sono lasciate dal
possessore, in modo permanente o per un certo tempo, senza diretta
e continua custodia, per “necessità” o per “consuetudine” e che,
perciò, possono essere più facilmente sottratte (vedi, Sez. 4, n. 5113
del 07/11/2007, dep. 2008, Demma e altri, Rv. 238742).

Invero, la videosorveglianza rappresenta una forma di controllo
che, pur consentendo la conoscenza postuma delle immagini
registrate dalla telecamera, non costituisce di per sé una difesa
idonea a impedire la consumazione dell’illecito attraverso un
immediato intervento ostativo, mentre invece soltanto una
sorveglianza specificamente efficace nell’impedire la sottrazione del
bene consente di escludere l’aggravante di cui all’art. 625, comma
primo, n. 7, cod. proc. pen.
Pertanto, l’inaffidabilità di tale sistema di protezione – che non
garantisce la inviolabilità delle cose collocate in luoghi accessibili al
pubblico – legittima la protezione aggravata che costituisce la ratio
della circostanza prevista dall’art. 625 n. 7 cod. pen. (cfr., Sez. 2, n.
2724 del 26/11/2015, dep. 2016, Scalambrieri, Rv. 265808; Sez. 5,
n. 45172 del 15/05/2015, Cacopardo ed altri, Rv. 265681; Sez. 5, n.
35473 del 20/05/2010, Canonica, Rv. 248168; Sez. 5, n. 6692 del
08/11/2007, dep. 2008, Manno, Rv. 239095): da qui la legittimità
delle valutazioni operate dalla Corte d’appello in piena conformità con
il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità.
5. Manifestamente infondato è il terzo motivo di ricorso.
Invero, la mancata concessione delle circostanze attenuanti
generiche è giustificata da motivazione (“in assenza di elementi che
possano lumeggiare, in senso più favorevole, la personalità
dell’imputato, difettando, peraltro, qualsiasi manifestazione di volontà
di ravvedimento o di resipiscenza …”) esente da manifesta illogicità
che la rende insindacabile in cassazione (Sez. 6, n. 42688 del
24/09/2008, Caridi e altri, Rv. 242419), anche considerato il principio
affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice
di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti
generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o
sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente

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che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque
rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale
valutazione (cfr., Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv.
249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244).
6. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod.
proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese

ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti
dal ricorso, si determina equitativamente in euro 1.500,00. Condanna
il ricorrente al pagamento delle spese processuali sostenute nel
presente grado dalla parte civile Mandara Giovanni che liquida in euro
3.000,00 oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15%, CPA e
IVA

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di
millecinquecento euro alla Cassa delle ammende nonché alla rifusione
delle spese processuali del grado in favore della parte civile costituita
Mandara Giovanni che liquida in euro 3.000,00 oltre rimborso spese
forfettarie nella misura del 15%, CPA e IVA.
Così deciso il 18/11/2016.

Il Consigliere estensore
Andrea Pellegrino

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II Presidente
Gio

Di talle
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processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle

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