Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1789 del 04/06/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 1789 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: GRILLO RENATO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
JELLEMA JOHANNES N. IL 11/03/1938
avverso la sentenza n. 2546/2010 CORTE APPELLO di BARI, del
11/05/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/06/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. RENATO GRILLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per er,

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 04/06/2013

RITENUTO IN FATTO

1.1 Con sentenza dell’Il maggio 2012 la Corte di Appello di Bari, in parziale riforma della
sentenza del Tribunale di detta città del 26 marzo 2010 con la quale JELLEMA Johannes
(imputato del reato di cui all’art. 2 della L. 638/83 – omesso versamento delle ritenute
previdenziali dovute ai dipendenti – fatto commesso nel merse di novembre 2004) era stato
dichiarato colpevole del detto reato e condannato alla pena di giustizia, concedeva il beneficio

1.2 Ricorre avverso la detta sentenza l’imputato personalmente lamentando, con unico
motivo, violazione di legge per motivazione contraddittoria e manifestamente illogica, avendo
la Corte territoriale confermato il giudizio di colpevolezza, pur non essendo esso imputato il
legale rappresentante della società presso la quale lavoravano i dipendenti nei cui confronti
non erano state versate le ritenute: afferma, infatti, che esso imputato era il legale
rappresentante della società Fabb. App. Illum, in Via De Blasio n. 1 Bari, mentre i lavoratori
erano alle dipendenze di una diversa società (la BCE SUD) della quale esso JELLEMA non era
mai stato rappresentante legale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso, oltre ad essere manifestamente infondato, alla luce dell’ampia ed esauriente
motivazione della Corte territoriale che si fonde cm quella parimenti esaustiva e congrua del
Tribunale proprio sul punto controverso riguardante la veste giuridica dello JELLEMA
nell’ambito della società BCE SUD, è comunque generico, in quanto con il ricorso viene
riproposto uno specifico motivo di doglianza (l’asserita estraneità dello JELLEMA al reato per
non essere mai stato rappresentante legale della BCE SUD alle dipendenze della quale
prestavano l’attività lavorativa le maestranze per le quali non erano state versate le ritenute
previdenziali), già adeguatamente affrontato dal giudice distrettuale che ha spiegato in modo
dettagliato le ragioni per le quali lo JELLEMA, rappresentante legale della società BCE SUD,
doveva considerarsi la stessa persona cui era stata inviata la diffida da parte dell’INPS
all’indirizzo (Via De Blasio n. 1 Bari – Fabb. App. Illum.) in quanto in quel luogo operava
esattamente la BCE SUD della quale, appunto lo JELLEMA era il rappresentante legale.
2. In quanto motivo costituente riproposizione integrale di quanto dedotto con l’atto di
appello già preso in esame dalla Corte, esso risulta sovrapponibile rispetto agli argomenti
passati in rassegna dal giudice di merito e disattesi con motivazione articolata che si sottrae a
qualsivoglia vizio di natura logica. Infatti, come più volte precisato dalla giurisprudenza di
questa Corte con orientamento uniforme, “È inammissibile il ricorso per Cassazione fondato su
motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del
gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo,
invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma
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della non menzione della condanna nel certificato penale, confermando nel resto.

anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e
quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del
giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591
c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità” (in termini Cass. Sez. 4, sent. del 29.3.2000 n.
5191; Cass. Sez. 1^ n. del 30.9.2004 n. 39598; Cass. Sez. 2^ 15.5.2008 n. 19951; Cass.
Sez. 6^ 23.6.2011 n. 27068).
2.1 Vero è che, medio tempore, è maturata la prescrizione, successivamente alla sentenza

espressi dalla giurisprudenza di questa Corte laddove si afferma che la prescrizione verificatasi
dopo la sentenza oggetto di ricorso, non può essere dichiarata stante la non regolare
instaurazione di un rapporto processuale quale diretta conseguenza della inammissibilità del
ricorso, preclude la declaratoria di estinzione del reato (Cass SS. UU 22.11.2000 n. 32; Cass.
Sez. 2^ 20.11.2003 n. 47383; Cass. Sez. 4^ 20.1.2004 n. 18641).
2.2 In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile. Segue la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali nonché al versamento della somma – ritenuta congrua di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, trovandosi in colpa il ricorrente nella
determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 4 giugno 2013

DEPOSITATA IN CANCELLERIA

del Tribunale: ma la manifesta infondatezza del ricorso, in coerenza con i principi più volte

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