Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1786 del 04/12/2012


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 1786 Anno 2013
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CHESSA MIRKO, nato il 25/04/1981
avverso la sentenza n. 2020/2009 CORTE APPELLO di GENOVA, del
17/02/2012;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in pubblica udienza del 04/12/2012 la relazione fatta dal
Consigliere dott. Angela Tardio;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Giuseppe Volpe,
che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso;
preso atto che nessuno è presente per il ricorrente.

Data Udienza: 04/12/2012

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 21 luglio 2008 il Tribunale di Genova ha dichiarato
Chessa Mirko colpevole del reato di cui all’art. 707 cod. pen. perché, condannato
per delitti determinati da motivi di lucro, era stato trovato in possesso
ingiustificato di un paio di forbici da elettricista atte a forzare serrature, e l’ha
condannato alla pena di mesi sette di arresto
La Corte d’appello di Genova con sentenza del 17 febbraio 2012, in parziale

all’art. 4 legge n. 110 del 1975, non essendo ricomprese le forbici da elettricista
tra gli oggetti indicati nell’art. 707 cod. pen. per le loro caratteristiche che le
rendevano strumento inidoneo ad aprire o forzare serrature, e rientrando le
stesse tra gli strumenti da punta e da taglio, il cui porto senza giustificato motivo
era vietato, e ha ridotto la pena a mesi due di arresto ed euro cento di ammenda,
confermando il diniego delle circostanze attenuanti generiche.

2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del
suo difensore, l’imputato, che ne chiede l’annullamento sulla base di unico motivo,
con il quale denuncia erronea applicazione della legge penale, ex art. 606, comma
1, lett. b), cod. proc. pen., e mancanza e manifesta illogicità della motivazione, ex
art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., in relazione all’art. 4 legge n. 110 del
1975, deducendo l’erroneità della riqualificazione delle forbici sequestrate come
oggetto il cui porto senza giustificato motivo è illecito, e rilevando l’omessa
motivazione in ordine alle circostanze di tempo e di luogo che hanno reso le
stesse oggetto atto a offendere, al di là della loro naturale e diversa destinazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.

2. Questa Corte ha, da tempo, affermato che, in tema di reati concernenti le
armi, l’art. 80 r.d. 6 maggio 1940, n. 635 (regolamento per l’esecuzione del Testo
Unico delle leggi di pubblica sicurezza), che collegava la liceità del porto alle
misure delle lame nei coltelli, forbici e strumenti da punta e taglio, era
strumentale al secondo comma dell’art. 42 r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (Testo
Unico delle leggi di pubblica sicurezza), i cui primi due commi sono stati abrogati
(trascinando con sé anche la norma regolamentare) dall’art. 4 legge 18 aprile
1975, n. 110, che non pone più distinzione fondata sulla lunghezza delle lame, e
rende configurabile la contravvenzione per porto senza giustificato motivo di
strumenti da punta e da taglio atti a offendere, a prescindere dalla lunghezza
2

riforma della sentenza di primo grado, ha qualificato il fatto come reato di cui

della lama (Sez. 1, n. 450 del 19/05/1993, dep. 14/07/1993, P.M. in proc. Arditi,
Rv. 195503)
In forza di tale principio, costantemente richiamato dalla giurisprudenza
successiva di questa Corte, dopo l’entrata in vigore della legge n. 110 del 1975,
nella categoria degli strumenti da punta e da taglio atti a offendere, svincolata del
tutto dall’elencazione contenuta nell’art. 80 citato, vanno compresi, oltre a armi
“indirette” specificamente indicate, anche tutti quegli strumenti che prima erano
esclusi e il cui porto era in ogni caso consentito, prevedendo soltanto l’art. 4

alle sue caratteristiche, nelle circostanze spazio-temporali dell’azione, per l’offesa
alla persona (tra le altre, Sez. 1, n. 1386 de112/11/1997, dep. 05/02/1998,
Murabito, Rv. 209842; Sez. 5, n. 4405 del 05/12/2008, dep. 02/02/2009, P.G. in
proc. Ramaj, Rv. 242617; Sez. 5, n. 27768 del 15/04/2010, dep. 16/07/2010,
P.G. in proc. Casco, Rv. 247888; Sez. 1, n. 13618 del 22/03/2011, dep.
05/04/2011, P.M. in proc. P., Rv. 249924; Sez. 6, n. 46428 del 19/07/2011, dep.
17/11/2011, Di Gati, Rv. 250986).

3. Nella specie, la Corte ha evidenziato le peculiari caratteristiche delle forbici
da elettricista, che ha descritto, rispetto a quelle comuni, ha sottolineato che le
stesse, che presentano una punta non arrotondata, rientrano tra gli strumenti da
punta e da taglio atti a offendere, e ha rappresentato che l’imputato è stato
controllato al di fuori della sua abitazione, nella zona del porto antico di Genova,
con le medesime, della cui detenzione non ha offerto alcuna giustificazione.
3.1. Le deduzioni della sentenza impugnata, che ha escluso che le indicate
forbici possono essere ricomprese tra gli oggetti indicati nell’art. 707 cod. peri.,
come ritenuto dal primo Giudice conformemente alla elevata imputazione,
collocandole tra gli strumenti da punta e da taglio dotati di potenzialità offensiva,
di cui all’art. 4 legge n. 110 del 1975, sono corrette in diritto per la loro
conformità ai predetti principi, che il Collegio condivide e riafferma.
Esse, nella indicazione delle caratteristiche dell’utensile (impugnatura di
sicurezza ergonomica, lama piccola, tozza, di un certo spessore) e della sua
attitudine a offendere (lama non arrotondata), della mancanza di giustificazioni
del suo possesso e delle ragioni di un suo uso lecito, e del luogo del controllo
(zona del porto antico di Genova), sono anche congrue ai dati fattuali ed
esaustive, saldandosi coerentemente con la ricostruzione in fatto operata dal
primo Giudice, che già aveva evidenziato, richiamando gli esiti delle prove
assunte, l’ora del controllo (ore 21,30), il cambio della direzione da parte
dell’imputato che procedeva a piedi alla vista dei militari e la mancanza di
allegazioni probatorie da parte dello stesso dell’imputato circa l’uso lecito delle
fobici nelle emerse circostanze di tempo e di luogo.
3

l’accertamento in concreto della potenziale utilizzabilità dell’oggetto in rapporto

3.2. In tale contesto argomentativo, giuridicamente corretto e logicamente
articolato, sono del tutto infondate le prospettazioni del ricorrente, che, senza
correlarsi con le ragioni argomentate della decisione impugnata e con la lettura
svolta degli elementi fattuali e delle circostanze in culle forbici sono state portate,
e astenendosi dal fornire alcuna giustificazione del loro possesso nei luoghi e
nell’ora del controllo, oppongono, in vista di un diverso risultato in diritto, una
richiesta di generica rilettura della vicenda e di riesame delle acquisizioni

4. L’inammissibilità del ricorso preclude, in questa sede, di rilevare il decorso
del termine di prescrizione, intervenuto – in relazione alla contravvenzione
contestata, soggetta al termine quinquennale, in presenza di atti interruttivi e in
mancanza di cause di sospensioni – in data (11 giugno 2012) successiva alla
sentenza di appello.
4.1. Secondo i condivisi principi affermati da questa Corte, se i motivi di
ricorso, presentando profili d’inammissibilità per la manifesta infondatezza delle
doglianze, non abbiano consentito la corretta instaurazione del rapporto
processuale d’impugnazione in sede di legittimità, non è possibile, infatti, rilevare
e dichiarare la prescrizione maturata successivamente alla sentenza impugnata
con il ricorso (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, dep. 21/12/2000, De Luca, Rv.
217266; e, tra le successive conformi, Sez. 6, n. 5758 del 27/11/2002,
dep. 06/02/2003, Laforè e altri, Rv. 223301; Sez. 4, n. 18641 del 20/01/2004,
dep. 22/04/2004, Tricorni, Rv. 228349; Sez. 1, n. 24688 del 04/06/2008,
dep. 18/06/2008, Rayyan, Rv. 240594).

5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e – valutato il contenuto dei
motivi di ricorso e in difetto della ipotesi di esclusione di colpa nella proposizione
della impugnazione – al versamento, in favore della Cassa delle ammende della
somma, che si determina, nella misura congrua ed equa, di euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2012
Il Consigliere estensore

AIA

Il Presidente

probatorie, non consentiti in sede di legittimità.

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