Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17841 del 20/01/2015

Penale Sent. Sez. 2 Num. 17841 Anno 2015
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: CERVADORO MIRELLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
R.T.
avverso l’ordinanza n. 22/2014 TRIB. LIBERTA’ di PISTOIA, del
22/04/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MIRELLA
CERVADORO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Udit i difensor A

Data Udienza: 20/01/2015

Udita la requisitoria del sostituto procuratore generale, nella persona del
dr.Eduardo Scardaccione, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Udito il difensore di fiducia avv.Giuseppe Castelli che ha concluso per

Osserva

Con decreto in data 8/9 aprile 2014, il Giudice per

le indagini

preliminari presso il Tribunale di Pistoia dispose il sequestro preventivo dei
beni (danaro in contante ammontante ad € 82.100,00, diciannove orologi
marca Rolex e preziosi di vario valore) già oggetto di sequestro probatorio
nei confronti di R.T., sottoposta ad indagini per aver compiuto,
riguardo ai predetti beni, operazioni volte ad ostacolarne l’identificazione
della provenienza delittuosa, in particolare dando la disponibilità ad essere
indicata come titolare delle cassette di sicurezza nelle quali il danaro e i
preziosi era custoditi.
Avverso tale provvedimento l’indagato propose istanza di riesame, e il
Tribunale del Riesame di Pistoia con ordinanza del 22.4.2014, revocava il
sequestro limitatamente ai gioielli indicati nell’ordinanza medesima, e
confermava nel resto, ritenendo sussistente il “fumus” del reato di riciclaggio
ipotizzato non disponendo la R.T. di fonti di reddito, ed essendo stati
rinvenuti nelle medesime cassette di sicurezza documenti del K.K., e in
particolare documentazione bancaria riguardante gli assegni consegnati dal
K.K. alla gioielleria Toscano ove erano stati acquistati alcuni dei preziosi.
Ricorre per cassazione il difensore dell’indagato, deducendo: 1)
l’inosservanza o erronea applicazione della norma processuale in relazione
alla ritenuta corrispondenza tra quanto richiesto dal pubblico ministero e
quanto disposto dal giudice per le indagini preliminari, e in relazione al vizio
di motivazione del decreto medesimo. Il pubblico ministero ha avanzato una
richiesta di sequestro preventivo avente ad oggetto cose pertinenti al reato

raccoglimento del ricorso.

che possono aggravare o protrarre le conseguenze dello stesso o agevolare la
commissione di altri reati (art.321, co.1 c.p.p.), mentre il Giudice per le
indagini preliminari ha emesso un decreto ai sensi del secondo comma
dell’art.321 c.p.p., e cioè ai fini della confisca specificatamente prevista
dall’art.648 quater c.p. con riferimento ai beni che costituiscono il prodotto o
il profitto del reato di riciclaggio. Il provvedimento è poi motivato con il
semplice richiamo alle richieste del pubblico ministero e alla relazione di

polizia giudiziaria; 2) la violazione di legge ed inosservanza della norma
processuale per omessa e/o contraddittoria motivazione in relazione
all’art.321 c.p.p. circa il “fumus commissi delicti”. Il Tribunale del Riesame
ritiene esaustiva la motivazione del decreto del giudice per le indagini
preliminari, richiamando a tal fine elementi e circostanze di cui alle
informative della Guardia di Finanza (estratti conto, asserite operazioni di
versamento di danaro contante e di assegni da altre banche) per affermare
che vi è un “disallineamento tra dichiarazione dei redditi e disponibilità
finanziarie”; la motivazione è contraddittoria e addirittura mancante nella
parte in cui non dà alcuna spiegazione dei versamenti effettuati all’indagata
dall’ex coniuge, e delle risultanze dell’attività di attribuzione dei beni
rinvenuti nelle cassette di sicurezza all’uno o all’altro degli indagati. Non
spiega, poi, come mai a fronte di fatti costituenti reati di truffa per cui
risultano procedimenti a carico di K.K. Salvatore con un profitto di
importo complessivo di circa 30.000,00 euro, è stato disposto e mantenuto
sequestro preventivo si quanto rinvenuto nelle cassette per un valore di circa
250.000,00 euro; 3) la violazione di legge ed inosservanza della norma
processuale per omessa e/o contraddittoria motivazione in relazione
all’art.321 c.p.p. circa il “periculum in mora”. Nessuna motivazione circa la
necessità di un sequestro preventivo in presenza di sequestro probatorio.
Chiede pertanto l’annullamento dell’ordinanza.

Motivi della decisione

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1. Il primo motivo riguarda, in primo luogo, la presunta indebita

mutatio del “titolo” della misura cautelare reale, giacché, deduce la ricorrente,
esulava dai poteri del giudice per le indagini preliminari quello di modificare
il titolo, appunto, del sequestro, sostituendo al richiesto provvedimento
sequestro preventivo “tipico”, preveduto dal primo comma del medesimo
articolo (e finalizzato ad impedire che la libera disponibilità della cosa

ovvero agevolare la commissione di altri reati), quello di cautela funzionale
alla confisca, previsto dall’art. 321, comma 2, c.p.p. Ciò essenzialmente
perchè, attesa la «diversità strutturale» tra le due figure di sequestro
preventivo, e, quindi, l’ autonomia tra i rispettivi ambiti di operatività e,
conseguentemente, dei provvedimenti che rispettivamente le applicano,
sarebbe inibito al giudice per le indagini preliminari disporre un sequestro
«diverso» da quello richiesto dal pubblico ministero.
A riguardo, rileva il Collegio che nessuna discrasia è stata rilevata dai
giudici del riesame tra la richiesta del pubblico ministero e il decreto emesso
dal Giudice, quanto alla tipologia del sequestro disposto, avendo il Gip
accolto la richiesta di adozione di un provvedimento cautelare ex art.321 co.1
c.p.p. ed avendo solo incidentalmente osservato che il provvedimento
cautelare avrebbe potuto assumere anche le forme del sequestro ai fini della
successiva confisca.
A ciò aggiungasi, comunque, che la giurisprudenza di questa Corte ha
affermato il principio, condiviso da questo Collegio che le diverse finalità dche
giustificano l’adozione del sequestro preventivo a norma dell’art. 321 del
codice di rito, sono in correlazione fra loro proprio sul piano squisitamente
funzionale, giacchè si iscrivono nel quadro di una misura di coercizione reale
destinata senz’altro a soddisfare esigenze di prevenzione, ma in una
prospettiva di intima connessione strumentale allo svolgimento del
procedimento penale ed all’accertamento del reato per cui si procede, nel
senso che scopo della misura – a prescindere dallo specifico “fine” che essa
mira a perseguire nel caso di specie — è quello di evitare che il trascorrere
del tempo possa pregiudicare irrimediabilmente l’effettività della

pertinente al reato possa agevolare o aggravare le conseguenze di esso

giurisdizione espressa con la sentenza di condanna (Cass., Sez. un., 29
gennaio 2003, De Luca). Inibire che la cosa pertinente al reato, ove mantenuta
nella libera disponibilità di un determinato soggetto giuridico, aggravi le
conseguenze dell’illecito o funga da elemento agevolativo per altri reati,
equivale ad arrestare quella correlazione biunivoca tra soggetto e res che la
misura cautelare intende sterilizzare con finalità di prevenzione; finalità che,

periculum in mora può profilare in rapporto alle esigenze funzionali alla
confisca, considerato che, per queste ultime la ratio essendi ugualmente si
profila in termini di “pericolosità” della relazione di disponibilità tra soggetto
e cosa, al punto da consentirne o imporne l’ablazione al termine del processo
(v.Cass.Sez.II, Sent. n. 12910/2007 Rv. 236458, nella quale – citati a
testimonianza di una precisa opzione per una configurazione unitaria del
sequestro preventivo gli stessi lavori preparatori del nuovo codice di rito – si
rileva che una volta che la domanda di cautela abbia investito il giudice su di
un tema fattuale analiticamente descritto e il pubblico ministero abbia
correlativamente richiesto il sequestro preventivo per soddisfare “tutte” le
esigenze e finalità richiamate dall’art. 321 c.p.p., il “perimetro” della
devoluzione giurisdizionale è tracciato dalla integralità del petitum).
Quanto poi all’ulteriore profilo della mancanza di motivazione del
decreto impugnato, il Tribunale ha rilevato che, in realtà, il Giudice per le
indagini preliminari, nel decreto, non si era limitato a riportarsi

“per

relationem” alle motivazioni della richiesta del pubblico ministero, ma aveva
chiaramente dimostrato il proprio personale “iter” cognitivo e valutativo sia
in relazione alla sussistenza dei gravi indizi di riciclaggio, sia in ordine alle
esigenze cautelari che giustificavano l’adozione del sequestro. E che le
discrasie evidenziate dalla difesa riguardo alle “schede di analisi siv”non
avevano in alcun modo violato i diritti di difesa, in quanto aventi ad oggetto
argomenti già contenuti, seppur in forma più sintetica nell’informativa del
14.8.2013. Contro tali valutazioni sono dal motivo in esame genericamente
formulate le medesime doglianze già disattese dal Tribunale, in un

dunque, a ben guardare, non appaiono per nulla diverse da quelle che il

impensabile tentativo di ottenere da questa Corte di legittimità un revisione
di merito delle valutazioni stesse.
Il sindacato di legittimità esercitato da questa Corte Suprema, con
riferimento alle ordinanze emesse dal Tribunale del riesame ai sensi degli
artt. 322 bis e 324 c.p.p. in materia di misure cautelari reali è limitato, ai sensi
dell’art. 325 c.p.p., comma 1, al solo vizio di violazione di legge; ne consegue
che non possono essere dedotti con il predetto mezzo di impugnazione vizi

della motivazione, atteso che nel predetto concetto di “violazione di legge”,
come indicato nell’art. 111 Cost. e art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c), non
rientrano anche la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione, che sono invece separatamente previsti come motivo di ricorso
dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), non applicabile al ricorso ex art. 325
c.p.p. ( v.Cass. S.U., 28.1.2004 n. 5876; S.U., sent. n. 25932 /2008 Rv. 239692).
Il giudizio della Corte in tale materia ha, quindi, un orizzonte
circoscritto, dovendo essere limitato, per espresso disposto normativo, alla
assoluta mancanza di motivazione ovvero alla presenza di motivazione
meramente apparente del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza e di
completezza, sì da non essere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice
di merito, ovvero che le linee argomentative del provvedimento siano così
scoordinate da rendere impossibile la percezione delle ragioni che hanno
giustificato il provvedimento (cfr. Cass. Sez. II., sent.n. 5225 del 16/11/2006
Rv. 235861).
Ne consegue la manifesta infondatezza di entrambe le censure di cui al
primo motivo.
2. Anche il secondo e terzo motivo sono manifestamenti infondati.
Nel giudizio incidentale di impugnazione avverso il provvedimento
che dispone il sequestro preventivo, il controllo del giudice del riesame non
può investire la concreta fondatezza dell’accusa, ma deve limitarsi all’astratta
possibilità di assumere il fatto attribuito ad un soggetto in una determinata
ipotesi di reato. Per l’adozione della misura cautelare reale è infatti
sufficiente la presenza di un “fumus boni iuris” e cioè l’ipotizzabilità in astratto
della commissione di un reato, in rapporto alla congruità degli elementi
5

rappresentati, che non possono essere censurati in punto di fatto, ma che
vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono di
sussumere l’ipotesi formulata in quella tipica, senza alcuna possibilità di
apprezzamento quanto alla fondatezza dell’accusa ed alla probabilità di una
pronuncia sfavorevole per l’imputato.
Nel caso di specie, osserva il Collegio, che le censure mosse dai motivi

sotto l’apparente deduzione di vizi attinenti alla violazione di legge,
prospettano invece una inammissibile richiesta di rivalutazione del merito, e
non possono quindi formare oggetto di ricorso per cassazione, non essendo
possibile surrettiziamente introdurre in sede di legittimità un controllo che
investa, sia pure in via incidentale, il merito dell’imputazione, laddove
invece nel provvedimento impugnato è stata data per contro adeguata
dimostrazione del “fumus” del delitto di riciclaggio, in considerazione degli
estratti conto esaminati, dei rilevanti versamenti di danaro (caratterizzati
peraltro in diversi casi da un contestuale accesso alle cassette di sicurezza)
effettuati dall’indagata, ai numerosi preziosi contenuti nelle cassette di
sicurezza e acquistati dal Salvati come risulta dalla documentazione
bancaria, dai documenti rinvenuti e appartenenti al K.K. (tra i quali uno
che si riferisce ad un natante di rilevante valore e altri contenenti procure a
vendere di motoveicoli e autoveicoli fatti dal K.K. alla R.T.), e del

“periculum in mora”, stante l’evidente pericolo di aggravamento e/o di
reiterazione nei reati, e la necessità di evitare la dispersione dei beni in
sequestro.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve
essere condannata, al pagamento delle spese del procedimento, nonché ravvisandosi profili di colpa (v.Corte Cost. sent.n.186/ 2000) nella
determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della
Cassa delle ammende della somma di mille euro, così equitativamente fissata
in ragione dei motivi dedotti.

in esame sotto il profilo del fumus commissi delicti e del periculum in mora,

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Così e iberato, in camera di consiglio il 20.1.2015
gliere estensore
Cervad o

Il Presidente
Ddmenico Gallo

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