Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17835 del 11/02/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 4 Num. 17835 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: MARINELLI FELICETTA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CAPOGRECO DOMENICO N. IL 24/11/1974
avverso l’ordinanza n. 71/2012 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 27/06/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FELICETTA
MARINELLI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.futh;il
0,(SZSL

baLl. JA2–

c/e4-1″-tr

Data Udienza: 11/02/2014

Uditi difensor Avv.;

P/

Ritenuto in fatto

La Corte di Appello di
Reggio Calabria, con
ordinanza resa all’udienza camerale del giorno
27.06.2013 rigettava l’istanza di riparazione
presentata da Capogreco Domenico per ingiusta
detenzione in regime di custodia in carcere dal
21/10/05 al 24/07/08 e agli arresti domiciliari da
tale ultima data sino al 3/06/09 perché sospettato
dei reati di cui agli articoli 74 e 73 d.PR. 309/90
(reati per i quali era stata emessa la misura
cautelare) nonché dei reati di cui agli articoli 416
bis c.p. e 73 d.PR. 309/90 (reati per i quali non era
stata applicata la misura).
In ordine ai reati per cui era stata applicata la
misura cautelare, il Capogreco era stato assolto, da
quello di cui all’art.74 d.PR. 309/90 dal Tribunale
di Locri e condannato soltanto per il reato di cui
all’art.73. Successivamente però la Corte di appello
di Reggio Calabria lo aveva assolto anche da tale
ultimo reato con sentenza del 22/11/2011, divenuta
irrevocabile per l’istante il 7/04/2013.
Capogreco Giuseppe, a mezzo del suo difensore,
proponeva quindi ricorso per cassazione avverso
l’ordinanza della Corte di appello di Reggio Calabria
e concludeva chiedendone l’annullamento.
Il ricorrente censurava l’ordinanza impugnata per
manifesta illogicità e contraddittorietà della
motivazione ex art. 606 comma 1 lett. e)
cod.proc.pen. in relazione agli articoli 314 e 315
cod.proc.pen., in particolare nella parte in cui la
Corte di appello gli rimproverava in termini di colpa
grave condotte insuscettibili di essere riguardate
alla stregua di macroscopica negligenza e
trascuratezza. Pertanto, ad avviso del ricorrente,
non sussisterebbe la colpa grave, impeditiva del
riconoscimento del diritto all’equa riparazione.
Il ricorrente si duole della contraddittorietà della
motivazione laddove la Corte di appello avrebbe fatto
coincidere la colpa ostativa al riconoscimento
dell’indennizzo con i numerosi contatti intercorsi
tra lui e il Marafioti Giuseppe, valorizzando la
telefonata del 10.10.2004 e ricavandone un vincolo di
connivenza meritevole di comportare il rigetto
dell’istanza.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze a mezzo
dell’Avvocatura Generale dello Stato presentava
tempestiva memoria e concludeva chiedendo di voler
dichiarare inammissibile il proposto ricorso ovvero
di rigettarlo.

i,/

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato.
Osserva la Corte che il diritto a equa riparazione
per l’ingiusta detenzione, regolato dagli artt. 314
e ss. c.p.p., trova fondamento nella condizione
soggettiva della persona sottoposta a detenzione
immeritata e in tal senso ingiusta. Il quadro
sistematico di riferimento è un quadro di diritto
civile ma non è quello dell’art. 2043 c.c. che
appresta sanzioni contro chi produce per dolo o colpa
un danno ingiusto ad altri. Il principio regolatore è
piuttosto quello della riparazione legata ad eventi
che producono il sorgere, quali conseguenze di
principi di solidarietà e di giustizia distributiva,
di responsabilità da atto lecito ( la distinzione
tra responsabilità per danno ingiusto ex art. 2043
c.c. e responsabilità per atto lecito è ben chiarita
da Cass. SS.UU. civ. 11/6/2003 n. 9341). E’ ben
fermo, in materia, l’assetto delle regole
generalissime che disciplinano l’onere della prova
civile ex art. 2697 c.c. posto che il procedimento
relativo alla riparazione per l’ingiusta detenzione,
quantunque si riferisca ad un rapporto
comporti
e
di diritto pubblico
obbligatorio
il rafforzamento dei poteri officiosi del
perciò
tuttavia ispirato ai principi del
giudice,
e’
processo civile, con la conseguenza che l’istante
della
ha l’onere di provare i fatti costitutivi
domanda, la custodia cautelare subita e la
successiva assoluzione ( Corte Cass. Sez. 4 sent. n.
23630 02/04/2004 – 20/05/2004 ). Peraltro il
sorgere del diritto è condizionato alla esistenza di
una condotta del richiedente che al tempo del
processo in nulla abbia dato causa o concorso a dare
causa a quella ingiusta detenzione. L’operazione
intesa a cogliere tali condizioni deve scandagliare
solo l’eventuale efficienza causale delle condotte
dell’imputato che possano aver indotto, anche nel
concorso dell’altrui errore, secondo una valutazione
il giudice a
ragionevole e non congetturale
(Cass. SSUU
stabilire la misura della detenzione
13/12/95 n. 43, Sez IV 10/3/2000 n. 1705) .
Il giudice, pertanto, deve fondare la sua decisione
su fatti concreti e precisi e non su mere
supposizioni, esaminando la condotta del richiedente,
sia prima e sia dopo la perdita della libertà
personale, indipendentemente dall’eventuale
conoscenza che quest’ultimo abbia avuto dell’attività
di indagine, al fine di stabilire, con valutazione ex

197

ante, non se tale condotta integri estremi di reato,
ma solo se sia stato il presupposto che ha
ingenerato, ancorchè in presenza di errore
dell’autorità procedente, la falsa apparenza della
sua configurazione come illecito penale, dando luogo
alla detenzione con rapporto di causa ad effetto
(cfr. Cass. Sezioni Unite, Sent. n.34559/2002; Cass.,
Sez.4, Sent. n.17552 del 2009)
Tanto premesso si osserva che la Corte di Appello di
Reggio Calabria, con motivazione adeguata, ha
enucleato,con congrua verifica degli accertati
elementi di riferimento, la condotta del richiedente
ostativa all’accoglimento dell’istanza di equa
riparazione.
E infatti pienamente legittimo e congruamente e
diffusamente argomentato il ragionamento seguito
dalla Corte di merito in ordine alla sussistenza di
una connivenza, essendo stati ben motivati sia la
circostanza che il Capogreco non potesse non
conoscere quale fosse l’attività delinquenziale della
persona con la quale aveva numerosi contatti, sia il
fatto che egli avesse la confidenza necessaria per
fare un lungo viaggio in macchina, ammesso dallo
stesso ricorrente, contestuale alla partenza del
Marafioti per la Spagna, ove egli era atteso da
Chavez Rojas Yaneth.
La Corte territoriale aveva pertanto ritenuto che gli
elementi fattuali emersi dal processo consentivano di
tenere per certo che il Capogreco avesse accompagnato
a Roma il Marafioti al fine di consentirgli
l’ulteriore viaggio verso la Spagna e che nel corso
di detto viaggio egli avesse ben compreso i dialoghi
tra il predetto Marafioti e la Chavez.
Pertanto i giudici della Corte territoriale avevano
ritenuto scarsamente credibile l’ipotesi difensiva
tesa a dimostrare che i due avessero viaggiato alla
volta di Roma per l’acquisto di materiale informatico
e che la telefonata con la Chavez non fosse stata
ascoltata dal ricorrente perché intervenuta in una
pausa durante il tragitto.
Il giudizio sulla sussistenza della connivenza è
stato argomentato ponendo a confronto una varietà di
soluzioni logiche, tutte perfettamente concludenti a
dimostrazione dell’assunto e in linea con la
giurisprudenza di questa Corte (cfr, Cass., Sez.4,
Sent. n.2659 del 3.12.2008, Vottari) secondo cui la
connivenza nel reato può integrare gli estremi della
colpa grave, ostativa al riconoscimento del diritto
all’indennizzo, esclusivamente qualora costituisca
indice del venir meno degli elementari doveri di
solidarietà sociale, ovvero quando non si sia risolta
in un mero comportamento passivo riguardo alla

consumazione del reato, ma si sia sostanziata nel
tollerare che tale reato sia consumato.
Questo essendo il quadro accusatorio, il motivo
proposto dall’odierno ricorrente non può essere
accolto.
Il provvedimento
impugnato,
che
definisce
il
procedimento
per
la
riparazione
dell’ingiusta
detenzione, supera quindi il vaglio di questa Corte
che è limitato alla correttezza del procedimento
logico giuridico con cui il Giudice è pervenuto ad
accertare o negare i presupposti per l’ottenimento
del beneficio indicato. Resta invece nelle esclusive
attribuzioni del giudice di merito, che è tenuto a
motivare
adeguatamente
e
logicamente
il
suo
convincimento, la valutazione sull’esistenza e la
gravità della colpa e sull’esistenza del dolo.
riconosciuto
Il
legislatore
non
ha
infatti
incondizionatamente il diritto all’equa riparazione,
ma l’ha esplicitamente escluso allorquando il
come appunto nella
comportamento dell’indagato,
fattispecie de qua, abbia indotto in errore il
giudice circa l’esistenza dei gravi indizi di
colpevolezza a suo carico.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato e il
ricorrente deve essere condannato al pagamento delle
spese processuali e alla rifusione delle spese di
questo giudizio in favore del Ministero resistente
che si liquidano in complessivi euro 750,00.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali, nonchè alla
rifusione delle spese sostenute dal Ministero
dell’Economia per questo giudizio di Cassazione,
spese liquidate in euro 750,00.
Così deciso in Roma 1’11.02.2014

Il Presidente
Gaetanino Zecca

Pi

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

IV Sezione Penale

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA