Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17832 del 04/02/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 17832 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: MASSAFRA UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CRUPI ANTONINO N. IL 14/01/1983
avverso l’ordinanza n. 62/2012 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 04/04/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO
MASSAFRA;
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Data Udienza: 04/02/2014

Ritenuto in fatto
Ricorrono per cassazione i difensori di fiducia di Crupi Antonino avverso l’ordinanza
emessa in data 17.4.2013 dalla Corte di Appello di Reggio Calabria con la quale veniva
rigettata l’istanza di riparazione dell’ingiusta detenzione subita dal predetto per effetto
dell’ordinanza di custodia cautelare carceraria del G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria
in data 15.12.2009 per il reato di tentata rapina, in concorso con altri, ai danni di un
autotrasportatore, fino all’8.7.2010 e da tale data fino al 3.3.2011 (allorchè il Crupi
venne assolto dalla Corte di Appello di Reggio Calabria) agli arresti domiciliari.

all’emissione del provvedimento restrittivo con colpa grave emergente dagli atti allegati
al procedimento e dalla stessa sentenza di assoluzione.
Il ricorso deduce l’insussistenza della ravvisata colpa grave nell’emissione e
mantenimento del titolo restrittivo.
Il Procuratore generale in sede, all’esito della requisitoria scritta, ha concluso, nel merito,
per il rigetto del ricorso.
E’ stata depositata una memoria difensiva da pare dell’Avvocatura generale dello Stato in
favore del Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato e va respinto.
Questa Corte ha ritenuto che “in tema di riparazione per ingiusta detenzione il giudice di
merito deve valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o concorso a darvi causa con dolo
o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi
probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che
rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di norme o
regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che se adeguata e
congrua, è incensurabile in sede di legittimità. Il giudice deve fondare la deliberazione
conclusiva su fatti concreti e precisi e non su mere supposizioni, esaminando la condotta
del richiedente, sia prima e sia dopo la perdita della libertà personale,
indipendentemente dall’eventuale conoscenza che quest’ultimo abbia avuto

La Corte territoriale rigettava l’istanza ritenendo che l’istante aveva contribuito

dell’attività d’indagine, al fine di stabilire, con valutazione ex ante, non se tale
condotta integri estremi di reato, ma solo se sia stato il presupposto che ha
ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza
della sua configurazione come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto
di causa ad effetto” (Cass. pen. Sez. Un. 26.6.2002 n. 34559, Rv. 222263).
Inoltre, è stato affermato che la nozione di colpa grave di cui all’art. 314 comma 1
c.p.p. va individuata in quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in
essere, per evidente, macroscopica, negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza
di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta
ma prevedibile ragione di intervento dell’autorità giudiziaria, che si sostanzi

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nell’adozione o nel mantenimento di un provvedimento restrittivo della libertà personale
(tra le altre, Cass. pen. Sez. IV, 15.2.2007, n. 10987, Rv. 236508).
Nel caso di specie l’ordinanza impugnata si pone nel solco di tali principi onde le censure
di cui al ricorso risultano del tutto prive di fondamento.
In particolare, la Corte di appello di Reggio Calabria ha ritenuto la sussistenza dei
presupposti per non riconoscere l’indennizzo, per la ingiusta detenzione subita da Crupi
Antonino, con motivazione adeguata e dopo aver verificato che la condotta del ricorrente
era stata il presupposto che aveva ingenerato, ancorché in presenza di errore

dando luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto.
Dagli atti del processo emergeva che gl’indizi a carico dell’istante per il delitto di
concorso in rapina aggravata, si fondavano sui dati relativi ai tabulati telefonici acquisiti
dalla polizia giudiziaria e dalla certa individuazione di uno degli autori del delitto, Corso
Mariano. Questi, con l’aiuto di altri due soggetti non identificati, aveva tentato di
commettere una rapina ai danni dell’autocarro condotto dalla parte lesa. Dall’esame dei
tabulati emergeva che l’istante aveva un rapporto di conoscenza diretta con Corso
Mariano, riconosciuto responsabile del delitto in questione e che vi erano stati tra i due
ed un terzo soggetto continui contatti in orario prossimo al compimento del fatto illecito.
I tre soggetti individuati erano, inoltre, nel possesso di motocicli simili a quelli con i quali
il delitto era stato compiuto, erano stati in passato dipendenti della parte lesa ed erano a
conoscenza delle modalità di consegna della merce e del momento di maggiore
disponibilità di denaro da parte della parte lesa. La stessa sentenza assolutoria aveva
posto in evidenza i contatti che vi erano stati tra l’istante ed il coimputato, riconosciuto
responsabile del delitto, in orario prossimo alla perpetrazione dell’atto illecito ed ha
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ritenuto yerosimile che detti contatti fossero collegati all’azione delittuosa dmu,u,kt„,i $ /tA-92-:
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Gpct.t.,,,ny•
41.t..rtiorte tli appello ha dunque accertato i rapporti di frequentazione dell’istante, nel
contesto nel quale sono stati perpetrati i delitti, oggetto di indagine, ha accertato le
ragioni di tali frequentazioni, ne ha definito la reale natura ed ha argomentato in punto
di sussistenza del nesso di causalità tra la stessa condotta e l’adozione dei
provvedimenti restrittivi emessi.
Si deve quindi ritenere che il ricorrente, tenendo una condotta gravemente colposa,
consistita nell’avere frequentato assiduamente un soggetto condannato per un grave
delitto, nell’essere stato continuamente in contatto con questi in prossimità temporale
con la consumazione del reato, abbia tenuto un contegno che avvalorava le accuse
mosse nei suoi confronti ed abbia contribuito a determinare le condizioni per l’adozione
ed il mantenimento del provvedimento restrittivo per il quale s’invoca il riconoscimento
del diritto alla riparazione.
Siffatta valutazione appare anche conforme all’orientamento di questa Corte,
secondo cui “in tema di riparazione per ingiusta detenzione, le frequentazioni ambigue,
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dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale,

ossia quelle che si prestano oggettivamente ad essere interpretate come indizi di
complicità, quando non sono giustificate da rapporti di parentela, e sono poste in essere
con la consapevolezza che trattasi di soggetti coinvolti in traffici illeciti, possono dare
luogo ad un comportamento gravemente colposo idoneo ad escludere la riparazione
stessa” (Cass. pen. Sez. III, 30.11.2007 n. 363, Rv. 238782).
E tali frequentazioni devono ritenersi necessariamente integrate, nei reati
contestati in concorso, dalla condotta “di chi, pur consapevole dell’attività criminale
altrui, abbia nondimeno tenuto comportamenti idonei ad essere percepiti come indicativi

E’ stato poi rimarcato il silenzio serbato dal Crupi che si è avvalso della facoltà di non
rispondere, non chiarendo i rapporti avuti con gli altri coimputati ed omettendo di
indicare eventuali elementi in grado di contrastare le accuse nei suoi confronti: anche tal
divisamento è in linea con quanto affermato da questa S.C. secondo la quale: “In tema di
riparazione per l’ingiusta detenzione, ai fini dell’accertamento della condizione ostativa
della colpa grave, il silenzio tenuto dall’indagato (o imputato) non è sindacabile a meno
che sia possibile affermare che fosse in grado di fornire una logica spiegazione al fine di
eliminare il valore indiziante di elementi acauisiti nel corso delle indagini. (La Corte ha
precisato che soltanto in questo caso, il mancato esercizio di una facoltà difensiva quanto meno “sub specie” di allegazione di fatti favorevoli – vale a far ritenere
sussistente una condotta omissiva concorrente al mantenimento della custodia
cautelare)” (Sez. IV, n. 47047 del 18.11.2008, Rv. 242759 ed altre precedenti e
successive conformi).
Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione in favore del Ministero resistente
delle spese da questo sostenute nel presente giudizio e liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché
alla rifusione delle spese sostenute per questo giudizio di Cassazione dal Ministero
dell’Economia liquidate in € 750,00.
Così deciso in Roma, addì 4.2.2014

di una sua contiguità ad essa…” (Cass. pen. Sez. IV, 24.6.2008, n. 37528 Rv. 241218).

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