Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1783 del 04/06/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 1783 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: GRILLO RENATO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DI PALO MAURO N. IL 05/06/1959
avverso la sentenza n. 369/2010 TRIBUNALE di FORLI’, del
06/06/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/06/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. RENATO GRILLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. q.
che ha concluso per .(2
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DEPOSITATA IN CANCELLERIA

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Udito, per la parte civile, l’Avv
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Data Udienza: 04/06/2013

RITENUTO IN FATTO
1.1 Con sentenza del 6 giugno 2011 il Tribunale di Forlì dichiarava DI PALO Mauro
(imputato dei reati di cui agli artt. 5 del D.P.R. 1956/164 e 35 comma 4° del medesimo D.P.R.
– reati accertati in data 24 marzo 2007) colpevole dei detti reati, condannandolo alla pena di C
2.500,00 di ammenda.
1.2 Ricorre avverso la detta sentenza l’imputato a mezzo del proprio difensore di fiducia
deducendo, con un primo motivo, la nullità della ordinanza dibattimentale emessa in data 11

processuale (art. 552 lett. c) cod. proc. pen.) derivante dalla mancata corrispondenza tra il
fatto descritto nel capo di imputazione e la norma asseritamente violata che, in quanto sfornita
di sanzione, aveva impedito all’imputato l’accesso all’oblazione ex art. 162 bis cod. pen. Con
un secondo motivo la difesa lamenta violazione di legge per omessa motivazione in relazione
alla prova difensiva ammessa ex art. 507 cod. proc. pen. ma le cui risultanze non erano state
prese in considerazione dal giudice. Con un terzo motivo viene denunciata l’erronea
applicazione della legge penale (art. 133 cod. pen.) per omessa indicazione da parte del
Tribunale in ordine ai criteri seguiti per la determinazione della pena inflitta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso, in quanto manifestamente infondato e generico per quanto si osserverà in
prosieguo, va dichiarato inammissibile.
2.1 E’ del tutto inconsistente il primo motivo con il quale il ricorrente lamenta una nullità
per indeterminatezza del capo di imputazione, in considerazione del fatto che le condotte
antigiuridiche risultano compiutamente e correttamente formulate nei due capi di imputazione,
senza che rilevi la mancata indicazione della norma di tipo sanzionatorio. Invero, per costante
giurisprudenza di questa Corte – cui il Collegio ritiene di dover aderire incondizionatamente ciò che rileva ai fini della contestazione dell’accusa, è la compiuta descrizione del fatto e non
anche l’indicazione degli articoli di legge che si assumono violati, in quanto una eventuale
compressione del diritto di difesa, in tanto può configurarsi in quanto manchi una esposizione

aprile 2011 e della pedissequa sentenza per erronea applicazione della legge penale

dettagliata e puntuale del fatto addebitato (v. in termini tra le tante, Sez. 3^ 19.2.2013 n.
22434, Nappello, Rv. 255772; Sez. 4″ 17.10.2006 n. 39533, Romano, Rv. 235373; Sez. 5″
9.11.2005 n. 44707, Bombagi, Rv. 233069). Peraltro il riferimento alla norma violata avrebbe
comunque consentito agevolmente alla difesa, in assenza della indicazione della norma
sanzionatoria, di ricorrere comunque all’oblazione essendo sufficiente rifarsi al testo dell’art. 77
lett. b) del D.P.R. 164/1956 che prevede la sanzione tipica collegata alla norma violata già
indicata nel capo di imputazione: si legge, infatti, nella norma suddetta che per l’inosservanza
delle norme in materia infortunistica a carico dei datori di lavoro costituite – per quanto qui di
interesse – dall’art. 35 del citato D.P.R. è prevista la sanzione alternativa dell’arresto da due a
quattro mesi o dell’ammenda da uno a cinque milioni di lire.
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2. Quanto al secondo motivo se, in linea astratta, può ritenersi condivisibile la deduzione
difensiva del mancato accenno da parte del Tribunale al teste DELLA GATTA (teste escusso,
come esattamente ricordato dal ricorrente, ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen.), il motivo
dedotto si profila, comunque, generico in quanto la parte non ha indicato le circostanze
ritenute utili ai fini della difesa: né da parte del ricorrente è stato allegato il verbale contenente
l’esame del teste. Senza dire che a questo Collegio sarebbe stata in ogni caso preclusa la
possibilità di esaminare il contenuto del verbale in quanto attività implicante un esame del

3. Con riferimento al terzo motivo (violazione dell’art. 133 cod. pen.), si tratta di censura
manifestamente infondata, in quanto, come ha già avuto modo di affermare questa Corte
Suprema, il giudice di merito, nella determinazione della entità della pena da irrogare esercita
una tipica facoltà discrezionale che lo esonera dall’obbligo di analitica enunciazione di tutti gli
elementi presi in considerazione, ben potendo far ricorso ad espressioni come “pena congrua”
o “pena equa” ovvero alla gravità del reato o alla capacità a delinquere dell’imputato che
risultano sufficienti a far ritenere che il giudice abbia tenuto presente, sia pure globalmente, i
criteri indicati dall’art. 133 cod. pen. (Sez. 2^ 26.6.2009 n. 36245, denaro, Rv. 245596; Sez.
1^ 11.4.1995 n. 6034, La Marca, Rv. 201433).
4. Vero è che, medio tempore, è maturata la prescrizione, successivamente alla sentenza
del Tribunale: ma la manifesta infondatezza del ricorso, in coerenza con i principi più volte
espressi dalla giurisprudenza di questa Corte laddove si afferma che la prescrizione verificatasi
dopo la sentenza oggetto di ricorso, non può essere dichiarata stante la non regolare
instaurazione di un rapporto processuale quale diretta conseguenza della inammissibilità del
ricorso, preclude la declaratoria di estinzione del reato (Cass SS. UU. 22.11.2000 n. 32; Cass.
Sez. 2^ 20.11.2003 n. 47383; Cass. Sez. 4^ 20.1.2004 n. 18641).
5. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile. Segue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali nonché al versamento della somma – ritenuta congrua – di
C 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, trovandosi in colpa il ricorrente nella
determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 4 giugno 2013

fatto non consentito in sede di legittimità.

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