Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17825 del 20/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 17825 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BARONE FRANCESCO N. IL 18/08/1974
avverso l’ordinanza n. 90/2011 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 06/07/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SALVATORE
DOVERE;
lette/septrte le conclusioni del PG Dott.
/lutto, eLe

<0,2, 15,A~ iLthi 1_4d.i i c L -3ser c...syxru:sQ QkNkrz Data Udienza: 20/12/2013 RITENUTO IN FATTO 1. Barone Francesco, a mezzo del difensore, ha proposto ricorso per cassazione avverso l'ordinanza indicata in epigrafe, con la quale è stata rigettata la sua istanza di riparazione per l'ingiusta detenzione subita dal 18.7.2007 al 16.3.2010, in relazione al delitto di cui all'art. 416bis , co. 1, 2, 3 e 4 cod. pen. per i quali è intervenuta, dopo condanna in primo grado, sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto, emessa dalla Corte di Appello di Reggio Calabria il 16.3.2010, divenuta irrevocabile. alla riparazione di cui all'art. 314, 1° comma, cod. proc. pen., in quanto il comportamento dell'odierno ricorrente aveva dato corso all'ordinanza di custodia cautelare, individuando gli estremi della colpa grave, preclusiva al riconoscimento dell'indennizzo richiesto. E ciò in quanto il Barone, secondo l'accertamento operato nei gradi di merito, aveva "prestato certamente una importante e decisiva attività di supporto per coprire la fuga del congiunto", così tenendo un comportamento che con la sentenza assolutoria era stato ritenuto concretante il favoreggiamento personale in favore del suocero latitante Teodoro Crea, ritenuto capo di associazione per delinquere di stampo mafioso (con conseguente applicazione della causa di non punibilità prevista dall'art. 384 cod. pen., previa diversa qualificazione giuridica del delitto originariamente contestato). Ha rilevato ancora la Corte di Appello che tale diversa qualificazione giuridica non incideva sulla custodia cautelare, posto che ne avrebbe consentito in ogni caso l'applicazione ab origine. 2. Il ricorrente ha chiesto l'annullamento dell'ordinanza impugnata per violazione dell'art. 314 cod. proc. pen., rilevando come la Corte di Appello non sia stata avvertita del fatto che la domanda di riparazione era stata avanzata ai sensi dell'art. 314, co. 2 cod. proc. pen., essendo risultato accertato con la sentenza di assoluzione l'illegittimità ab origine del provvedimento custodiale, il quale non avrebbe mai potuto essere adottato per la ricorrenza di ipotesi di reato - il favoreggiamento personale - non punibile ai sensi dell'art. 384 cod. pen.; ipotesi affermata dalla pronuncia assolutoria sulla base della medesima piattaforma probatoria assunta dal G.i.p. che ebbe ad emettere l'ordinanza cautelare. 3. Con atto depositato il 30.11.2013 si è costituito in giudizio il Ministero dell'Economia e delle Finanze a mezzo dell'Avvocatura dello Stato, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso, rilevando in particolare che nel presente giudizio non è intervenuta alcuna decisione irrevocabile dalla quale risulti accertato che il La Corte territoriale ha ravvisato l'insussistenza dei presupposti del diritto provvedimento che ha disposto la misura è stato emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli articoli 273 e 280 cod. proc. pen. CONSIDERATO IN DIRITTO 4. Il ricorso è manifestamente infondato. 4.1. Il ricorrente ha posto a base dell'impugnazione la violazione dell'art. 314, co. 2 cod. proc. pen., per non aver la Corte di Appello riconosciuto l'indennizzo pur essendo fondata la richiesta, stante la illegittimità ab origine della misura articoli 273 e 280 cod. proc. pen. Tanto lascia emergere la novità del motivo di ricorso, atteso che la domanda introduttiva del procedimento riparatorio risultava argomentata con riferimento all'assenza di un comportamento del Barone che, in quanto gravemente colposo o doloso, avesse avuto efficienza sìnergìca nell'adozione e nel mantenimento del provvedimento cautelare. Questa Corte ha precisato che nel procedimento per l'attribuzione di una somma di danaro a titolo di equa riparazione per l'ingiusta detenzione, vanno osservate, ove non diversamente disposto, le norme processualcivilistiche, trattandosi di procedura civile attinente interessi economici inserita, per ragioni di "sedes materiae" e di opportunità, nel codice dì procedura penale. Pertanto, una volta fissati, tramite il ricorso, gli elementi individuanti l'azione esperita, non è consentito, né alla parte nè al giudice d'ufficio, modificare la "causa petendi", senza che il controinteressato sia stato posto in grado di interloquire al riguardo. Da tale principio si è tratta la conclusione che quando l'attore abbia posto a fondamento della domanda la fattispecie legale di cui al primo comma dell'articolo 314 del codice dì rito penale (detenzione ingiusta per sopravvenuta liberazione dell'accusa con formula di merito), il giudice non può, a fronte delle eccezioni e rilievi mossi dal convenuto, accogliere la domanda sulla base di altra "causa petendi" (ipotesi legale di cui al secondo comma della ridetta disposizione di legge) (Sez. 4, n. 1414 del 27/11/1992 - dep. 18/02/1993, Ministro Tesoro in proc. Franceschini, Rv. 193226). Sì è anche aggiunto che quando l'attore abbia posto a fondamento della richiesta la fattispecie legale di cui al comma primo dell'art. 314 cod. proc. pen., il giudice non può accogliere la domanda sulla base di altra "causa petendi", quale l'ipotesi di illegittima detenzione, di cui al comma secondo della predetta disposizione di legge (Sez. 4, n. 1514 del 17/12/1992 - dep. 18/03/1993, Malentacchi, Rv. 194083). Ne deriva, che con il ricorso per cassazione non può essere dedotta una violazione di legge che non investa la originaria causa petendi; e che, anzi, restrittiva per l'assenza delle relative condizioni di applicabilità previste dagli introduca surrettiziamente nel giudizio di legittimità quella che, nella sostanza, è una nuova domanda. 4.2. Peraltro, il ricorso risulta manifestamente infondato anche nella prospettiva tracciata dall'esponente. Infatti, va tenuto presente che l'applicazione della causa di non punibilità prevista dall'art. 384 cod. pen. è stata conseguente alla diversa qualificazione giuridica attribuita al reato dal giudice che ha pronunciato l'assoluzione. Orbene, come statuito dalle Sezioni Unite, le ipotesi di illegittimità elencate nell'art. 273, co. 3 cod. proc. pen. rilevano soltanto se, all'epoca punibilità, di estinzione del reato o di estinzione della pena che si ritenga irrogabile (Sez. U, n. 20 del 12/10/1993 - dep. 08/11/1993, Durante, Rv. 195353; Sez. Un. C.C. 12 ottobre 1993, Stablum ed altro, non massimata). Pertanto, come correttamente ritenuto dalla Corte di Appello, nel caso di specie non può reputarsi illegittima ab origine la misura cautelare adottata, posto che la stessa era derivante dalla contestazione di partecipazione ad associazione qualificata, alla quale non si estende la previsione di cui all'art. 384 cod. pen. 5. Segue, a norma dell'articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di euro 1000,00 (mille/00) a titolo di sanzione pecuniaria; nonchè alla rifusione delle spese in favore del Ministero resistente, che si liquidano in complessivi euro 750,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 (mille/00) a favore della cassa delle Ammende, nonché alla rifusione delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate in complessivi euro 750,00 in favore del Ministero dell'Economia che le ha sostenute. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20/12/2013. dell'applicazione o della conferma della misura, sussistevano cause di non

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