Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17824 del 20/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 17824 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BOTTICI MONICA N. IL 15/03/1966
nei confronti di:
MINISTERO ECONOMIA E FINANZE
avverso l’ordinanza n. 28/2011 CORTE APPELLO di L’AQUILA, del
05/04/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SALVATORE
DOVERE .
ektQ.32-0t,S1-9
lette/se ite le conclusioni del PG

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i c IsofAvv.;

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Data Udienza: 20/12/2013

RITENUTO IN FATTO
1. Bottici Monica, a mezzo del difensore, ha proposto ricorso per cassazione
avverso l’ordinanza indicata in epigrafe, con la quale è stata accolta la sua
istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione subita per giorni due in regime di
custodia in carcere e per giorni tredici agli arresti domiciliari, con liquidazione di
un indennizzo pari ad euro 3.004,47.
La Corte territoriale è pervenuta a tale ammontare facendo riferimento alla
somma di euro 235,82 per ogni giorni di privazione della libertà personale,

quale previsto dall’art. 315, co. 2 cod. proc. pen. ed il termine massimo della
custodia cautelare, ai sensi dell’art. 303, co. 4 cod. proc. pen.; ha quindi
riconosciuto per ogni giorno di custodia in carcere l’intero ammontare e per ogni
giorno agli arresti domiciliari la metà dello stesso. Infine, ha liquidato a titolo
equitativo, in relazione al danno di immagine subito dalla Bottici, la somma di
euro 1.000,00 ed ha dichiarato compensate tra le parti due terzi delle spese di
giudizio e posto a carico dell’Avvocatura dello Stato il restante terzo.

2.

La ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata per

violazione dell’art. 314 cod. proc. pen., censurando l’interpretazione data dal
giudice di merito. A suo avviso il criterio aritmetico è meramente indicativo
essendo quello massimo l’unico parametro inderogabile; la Corte di Appello ha
omesso di motivare in ordine alla adozione nel caso specifico del parametro
standard e non ha tenuto conto dello stato di incensuratezza della Bottici, che
importava la necessità di un aumento della somma definita mediante il
parametro aritmetico.
Inoltre, non stati valutati equamente i gravi danni alla personalità della Bottici
derivanti dalla pubblicazione sui principali quotidiani della regione delle notizie
concernenti la sua detenzione.
Con un secondo motivo, poi, lamenta la violazione dell’art. 91 cod. proc. civ.,
avendo la Corte di Appello compensate tra le parti due terzi delle spese di
giudizio e posto a carico dell’Avvocatura dello Stato solo il restante terzo. In ciò
la ricorrente ravvisa una violazione del principio della soccombenza, da
osservarsi anche nel procedimento di cui trattasi.

3. In data 4.12.2013 si è costituita l’Avvocatura, chiedendo il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è infondato, per i motivi di seguito precisati.
4.1. In tema di ingiusta detenzione, il controllo sulla congruità della somma
liquidata a titolo di riparazione é sottratto al giudice di legittimità, che può

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identificata tenendo presente il rapporto tra il tetto massimo dell’indennizzo

soltanto verificare se il giudice di merito abbia logicamente motivato il suo
convincimento e non sindacare la sufficienza o insufficienza dell’indennità
liquidata, a meno che, discostandosi sensibilmente dai criteri usualmente seguiti,
lo stesso giudice non abbia adottato criteri manifestamente arbitrari o immotivati
ovvero abbia liquidato in modo simbolico la somma dovuta (Sez. 4, n. 10690 del
25/02/2010 – dep. 18/03/2010, Cammarano, Rv. 246424).
Tenuto conto di ciò, va rammentato che la giurisprudenza di legittimità, in tema
di liquidazione del quantum relativo alla riparazione per ingiusta detenzione, si è

di contemperare il parametro aritmetico – costituito dal rapporto tra il tetto
massimo dell’indennizzo di cui all’articolo 315, comma 2 cod. proc. pen. (euro
516.456,90) ed il termine massimo della custodia cautelare di cui all’articolo
303, comma 4, lett. c) cod. proc. pen. espresso in giorni (sei anni ovvero 2.190
giorni), moltiplicato per il periodo anch’esso espresso in giorni, di ingiusta
restrizione subita – con il potere di valutazione equitativa attribuito al giudice per
la soluzione del caso concreto (in tal senso anche Sez. 4, n. 34857 del
17/06/2011 – dep. 27/09/2011, Giordano, Rv. 251429), che non può mai
comportare lo sfondamento del tetto massimo normativamente stabilito.
Dato di partenza della valutazione indennitaria, che va necessariamente tenuto
presente, è costituito, pertanto, dal parametro aritmetico (individuato, alla luce
dei criteri sopra indicati, nella somma di euro 235, 82 per ogni giorno di
detenzione in carcere ed in quella di euro 120,00 per ogni giorno di arresti
domiciliari, in ragione della ritenuta minore afflittività della pena).
Siffatto parametro non è vincolante in assoluto ma, raccordando il pregiudizio
che scaturisce dalla libertà personale a dati certi, costituisce il criterio base della
valutazione del giudice della riparazione, il quale, comunque, potrà derogarvi in
senso ampliativo (purchè nei limiti del tetto massimo fissato dalla legge) oppure
restrittivo, a condizione però che, nell’uno o nell’altro caso, fornisca congrua e
logica motivazione della valutazione dei relativi parametri di riferimento.

4.2. Non erra quindi la ricorrente quando afferma che il giudice ben può
discostarsi dal parametro aritmetico; e tuttavia la successiva critica – per la
quale la Corte di Appello si sarebbe illegittimamente affermata impossibilitata a
discostarsene – è infondata, perché nell’ordinanza si utilizza quello aritmetico
come ‘parametro di base’, che dopo aver consentito l’identificazione di un primo
quantum, non ha precluso l’apprezzamento di ulteriori circostanze, con
ampliamento dell’entità dell’indennizzo; si fa riferimento, come emerge già dalla
superiore parte narrativa, alle conseguenze patite dalla Bottici per effetto della

stabilmente orientata (v. Sezioni unite, 9 maggio 2001, Caridi) per la necessità

diffusione avuta dalla notizia del suo arresto. La Corte di Appello ha al riguardo
calcolato un’ulteriore somma, pari ad euro 1.000.
La ricorrente lamenta che ciò sarebbe insufficiente, perché la Corte di Appello
avrebbe dovuto tener conto dello stato di incensuratezza della Bottici, stato che
“provoca un’afflizione maggiore di quella di chi, per i propri precedenti, sia in
qualche modo assuefatto a trovarsi in analoghe situazioni”.
In linea di principio, lo stato di incensuratezza costituisce uno degli innumerevoli
fattori che possono essere apprezzati dal giudice di merito in funzione della

prevalente giurisprudenza di legittimità è nel senso che nella quantificazione
dell’entità della somma da attribuirsi a titolo di equa riparazione per l’ingiusta
detenzione, il Giudice deve essenzialmente attenersi al parametro risultante dal
rapporto tra il tempo di durata della privazione della libertà e la somma massima
attribuibile; sussidiariamente, al fine di adeguare l’indennizzo al caso concreto ed
in via equitativa, egli può prendere in considerazione altre circostanze di fatto
individuate tra quelle positivamente valutate dall’ordinamento giuridico, sia di
carattere obbiettivo (detenzione in carcere o a domicilio, autorizzazione al lavoro
o meno etc.) sia di carattere soggettivo (incensuratezza, danni irreparabili
all’immagine etc.), purché non connesse alle condizioni socio-economiche di un
soggetto (Sez. 4, n. 529 del 21/04/1994 – dep. 08/06/1994, Ministro del Tesoro
in proc. Lin Xian Le, Rv. 198306).
Tuttavia, nessuna di tali circostanze di fatto può essere valutata come fattore di
patimento sulla scorta di una apodittica e pregiudiziale asserzione, dovendosi pur
sempre – da parte dell’istante – offrire elementi perché possa ritenersi che, nel
caso concreto, una o più di tali circostanze ha prodotto un concreto effetto.
Nel caso di specie, la richiesta della ricorrente si è fermata all’enunciazione della
addizionale incidenza del proprio stato di incensuratezza.

4.3. In merito al secondo motivo, risponde al vero che la disciplina delle spese
del procedimento in parola segue quella prevista dagli artt. 91 e ss. cod. proc.
civ.
Ciò importa l’assunzione della nozione di soccombenza reciproca (che consente
la compensazione parziale o totale tra le parti delle spese processuali, ex art. 92,
secondo comma, cod. proc. civ.); ebbene tale nozione sottende – anche in
relazione al principio di causalità: a) una pluralità di domande contrapposte,
accolte o rigettate e che si siano trovate in cumulo nel medesimo processo fra le
stesse parti ovvero b) anche l’accoglimento parziale dell’unica domanda
proposta, allorchè essa sia stata articolata in più capi e ne siano stati accolti uno
o alcuni e rigettati gli altri ovvero c) quando la parzialità dell’accoglimento sia

determinazione del quantum dell’indennizzo. Infatti, il principio formulato dalla

meramente quantitativa e riguardi una domanda articolata in un unico capo
(Sez. 3, Ordinanza n. 22381 del 21/10/2009, Rv. 610563). Non è incorsa in
violazione di legge, quindi, la Corte di Appello nel ritenere ricorrente l’ipotesi di
soccombenza reciproca, posto che – e tanto non è posto in dubbio dalla Bottici la decisione ha riconosciuto una somma di gran lunga inferiore a quella richiesta
con la domanda introduttiva.
Inoltre, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, non contrasta con il
disposto dell’art. 91 cod. proc. civ. la decisione del giudice di compensare in

facoltà. Ne consegue che il sindacato di legittimità è da intendersi limitato alla
sola violazione del principio per cui le spese non possono essere poste
interamente a carico della parte vittoriosa, mentre non può riguardare la
decisione di compensarle, trattandosi di valutazione di merito (Sez. 3, n. 19986
del 05/04/2007 – dep. 23/05/2007, Caponnetto, Rv. 236704).
Nella specie, va ancora rammentato che la Corte di Appello ha dichiarato
compensate tra le parti due terzi delle spese di giudizio e posto a carico
dell’Avvocatura dello Stato solo il restante terzo. Si versa, quindi, in ipotesi
sottratta a censure elevabili in sede di legittimità.

5. Segue al rigetto, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e alla rifusione delle
spese in favore del Ministero resistente, che si liquidano in complessivi euro
750,00.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero
dell’Economia per questo giudizio di cassazione, liquidate in euro 750,00.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20/12/2013.

tutto od in parte le spese processuali, non precludendo la norma processuale tale

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