Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17822 del 20/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 17822 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BERGANTINO CURZIO N. IL 16/06/1974
avverso l’ordinanza n. 57/2011 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del
24/01/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SALVATORE
DOVERE;
lette/s ite le conclusioni del PG D

4.ef v
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eJtL el.),,n)

Udit

Data Udienza: 20/12/2013

RITENUTO IN FATTO
1. Bergantino Curzio, a mezzo del difensore, ha proposto ricorso per cassazione
avverso l’ordinanza indicata in epigrafe, con la quale è stata rigettata la sua
istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione subita come custodia in carcere
dal 17.5.2003 al 27.6.2003, agli arresti domiciliari dal 27.6.2003 al 6.9.2003 e
quindi nuovamente come custodia in carcere da tal ultima data al 22.6.2004 ai
sensi dell’art. 276, co. 1 ter cod. proc. pen., in relazione al delitto di cui all’art.
73 T.U. Stup., per il quale è intervenuta, dopo condanna in primo e secondo

giudice di rinvio il 14.6.2011, divenuta irrevocabile.
Al Bergantino era stato contestato di aver ricevuto, a fini di spaccio, un
imprecisato quantitativo di stupefacente, indicato come ‘cane’, proveniente da
Vitale Giuseppe e Balzani Matteo e custodita per conto di questi da Lucente Maria
Teresa. Gli elementi a carico del Bregantino era stati tratti da un nucleo di
telefonate intercorse tra i diversi soggetti coinvolti nella vicenda: dapprima tra il
Vitale ed il Balzani si era discusso della necessità di spostare il ‘cane’, a causa
dell’arresto di un supposto complice (Aiello Fabrizio); poi il Vitale aveva avvertito
il Bergantino che stava arrivando e che aveva appena finito di preparare la cosa;
quindi il Balzani ed il Bergantino avevano discusso di un contrattempo
intervenuto, infine tra il Vitale ed il Bregantino si era parlato del credito di
quarantamila euro vantato dal Vitale nei confronti di terza persona, della cosa
buttata e dei mesi occorrenti per ‘fare’ 40.000 euro.
La sentenza assolutoria riteneva che il dialogo tra il Vitale ed il Bergantino non
potesse riferirsi al ‘cane’ inteso come tre chilogrammi di droga, perché avvenuto
prima che insorgesse la necessità di spostare lo stupefacente e che in ogni caso
il tenore delle conversazioni non dava certezza dell’essere le medesime riferite a
sostanza stupefacente.

2. La Corte territoriale ha ravvisato l’insussistenza dei presupposti del diritto alla
riparazione di cui all’art. 314, 1° comma, cod. proc. pen., in quanto il
comportamento dell’odierno ricorrente aveva dato corso all’ordinanza di custodia
cautelare, individuando gli estremi della colpa grave, preclusiva al
riconoscimento dell’indennizzo richiesto. E ciò in quanto il Bergantino, in una
serie di conversazioni telefoniche, aveva aderito “al linguaggio criptico ed
evasivo adottato nelle conversazioni…„ senza chiedere alcun chiarimento come
se tutto gli fosse ben noto”; ed era stata propria la connotazione criptica delle
comunicazioni a dare corso al provvedimento cautelare e poi anche a quelli di
condanna. Ha anche rilevato la Corte distrettuale che il Bergantino avrebbe
potuto fornire all’a.g. procedente chiarimenti in ordine al significato delle

grado, sentenza di assoluzione emessa dalla Corte di Appello di Bologna quale

espressioni utilizzate nelle conversazioni, mentre egli aveva affermato di non
conoscerne l’esatto significato, di non ricordare di averle pronunciate oppure di
rappresentare esse “i soliti discorsi che si fanno in carcere”. Inoltre, ha rilevato
ancora la Corte distrettuale, la custodia subita dopo il ripristino della misura ex
art. 276, co. 1 ter cod. proc. pen. aveva trovato origine in un comportamento
doloso del Bergantino; pertanto escludente il diritto all’indennizzo richiesto.

2. Il ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata per violazione

captata mediante intercettazione ambientale avrebbe avuto un contenuto del
tutto lecito, che viene indicato richiamando lo stupore del Bregantino per il fatto
che il Valente, operatore ecologico, avesse la disponibilità di quarantamila euro;
che anche la conversazione con il Balzani aveva riguardato materia ben diversa
da quella ritenuta dai primi giudici; che la sentenza assolutoria non afferma che
le conversazioni avevano avuto contenuto criptico; rimarcando, infine, che non
può dirsi che il ripristino della custodia in carcere abbia avuto origine da una
condotta dolosa del Bergantino, posto che questi non è stato condannato per il
reato di evasione.
CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è manifestamente infondato.
3.1. Il primo dei rilievi mossi dal ricorrente si concreta nella indicazione di una
ricostruzione della natura delle conversazioni alle quali ha fatto riferimento la
Corte di Appello di Bologna, ad essa alternativa. Mentre questa, richiamandosi
alla valutazione espressa nell’ordinanza cautelare, ha affermato che il linguaggio
utilizzato dai colloquianti era criptico, il ricorrente ne descrive il contenuto
nell’evidente intento di dimostrare che il significato delle espressioni utilizzate
era palese. Non v’è chi non veda che in tal modo si pretende da questa Corte di
formulare un accertamento di merito che non le è possibile svolgere.
Di contro, la verifica della non manifesta illogicità del giudizio espresso dal
Collegio distrettuale – compito precipuo di questa Corte – risulta positiva, atteso
che può fondatamente giudicarsi criptico il ricorso a termini che, per la
incongruenza rispetto al contesto lessicale e logico, appaiano sostitutivi di altri; e
che può fondatamente attribuirsi una connotazione negativa all’uso di un simile
linguaggio quando la mancata esplicitazione del reale oggetto della
comunicazione non trovi giustificazione in una diversa causa lecita.
Nel caso di specie, locuzioni come

‘spostare il cane’, ‘prendere la cosa’,

‘preparare la cosa’, ‘buttare la cosa’, ‘la deve sputare fuori lui’, rapportate al
contesto entro il quale sono state utilizzate, appaiono plausibilmente riconducibili
alla delineata nozione di linguaggio criptico.

3

P

dell’art. 314 cod. proc. pen., assumendo che la conversazione con il Valente

Peraltro, la Corte di Appello non ha mancato di rimarcare anche il peso assunto
nella vicenda in esame dal comportamento del Bregantino, il quale non fornì
all’autorità procedente un’alternativa chiave di lettura, pur essendogli ben
possibile, vista l’adesione manifestata alla modalità comunicativa degli
interlocutori, ai quali non aveva mai chiesto di chiarire quanto andavano
dicendogli.
Al riguardo è opportuno rammentare che la costante giurisprudenza di questa
Corte è nel senso della possibile rilevanza delle modalità di esercizio delle facoltà

dell’accertamento della sussistenza della condizione ostativa della colpa grave
dell’interessato – fermo restando l’insindacabile diritto al silenzio o alla reticenza
o alla menzogna da parte della persona sottoposta alle indagini e dell’imputato nell’ipotesi in cui solo questi ultimi siano in grado di fornire una logica
spiegazione, al fine di eliminare il valore indiziante di elementi acquisiti nel corso
delle indagini, non il silenzio o la reticenza, in quanto tali, rilevano ma il mancato
esercizio di una facoltà difensiva, quanto meno sul piano dell’allegazione di fatti
favorevoli, che se non può essere da solo posto a fondamento dell’esistenza della
colpa grave, vale però a far ritenere l’esistenza di un comportamento omissivo
causalmente efficiente nel permanere della misura cautelare, del quale può
tenersi conto nella valutazione globale della condotta, in presenza di altri
elementi di colpa. Sez. 4, Sentenza n. 7296 del 17/11/2011, Berdicchia, Rv.
251928).
Correttamente, quindi, la Corte di Appello ha posto in rilievo la portata assunta
dal comportamento processuale serbato dal Bregantino, ai fini del
riconoscimento dell’indennizzo riparatorio.
3.2. Quanto al secondo motivo di ricorso, va rilevato che la mancata condanna
del Bregantino per il reato di evasione è dato inidoneo a privare di senso e di
congruenza il giudizio della Corte di Appello, per la quale il ripristino della
custodia in carcere ai sensi dell’art. 276, co. 1 ter cod. proc. pen. era stato
dovuto all’allontanamento volontario del Bergantino dal luogo ove era stato
posto agli arresti domiciliari. La motivazione non è manifestamente illogica e che
quell’allontanamento – e non il reato di evasione in quanto tale – sia stato
escluso, sarebbe stato onere del ricorrente dimostrare. Infatti, quel che rileva in
questa sede è che il comportamento volontario del Bergantino abbia dato causa
al reinstaurarsi della custodia in carcere e non se quel comportamento abbia
avuto o meno il crisma della illiceità penale.

4. Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore

4

J-e

difensive, sia pure a ben precise condizioni. Infatti si afferma che, ai fini

della cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di
euro 1000,00 (mille/00) a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento e della somma di euro 1000,00 (mille/00) in favore della
cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20/12/2013.

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