Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17819 del 26/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 17819 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: ESPOSITO LUCIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PERASOLE MARIA N. IL 17/06/1959
avverso l’ordinanza n. 143/2010 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
17/01/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO;
lette/Taite le conclusioni del PG Dott.
CUL- dtd ueo

Uditi dife or Avv.;

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Data Udienza: 26/11/2013

Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza in data 17/1/2012 la Corte di Appello di Napoli rigettava la
richiesta di riparazione proposta da Perasole Maria in relazione all’ingiusta
detenzione sofferta dal 15/10/1999 al 25/11/1999 agli arresti domiciliari, quale
indagata per il reato di cui agli artt. 110, 491 bis, 476, 493, 615 ter, 640 ter c.p. La
predetta era stata in seguito prosciolta con sentenza divenuta irrevocabile.

comportamento tenuto dall’imputata. Si era accertato, infatti, che la Perasole, in
periodi di tempo successivi e in relazione a svariate posizioni anagrafiche, iscrisse
ripetutamente dati falsi nella banca dati informatica dell’ufficio anagrafe del comune
di Napoli. L’assoluzione con la formula perché il fatto non costituisce reato, infatti,
si fondò sul rilievo che, trattandosi di ufficio disordinato e malgestito, non vi era
certezza che l’istante, nell’iscrivere dati falsi, si fosse resa conto dell’assoluta
carenza della documentazione da porre a base delle variazioni anagrafiche, con
conseguente incertezza riguardo alla prova del dolo dell’agente. Tutto ciò
significava che l’istante, in ogni caso, procedendo alle iscrizioni relative alle
variazioni informatiche senza assicurarsi dei necessari presupposti, sia pure per
errore, scarsa preparazione e attenzione, aveva tenuto una condotta colposa idonea
a confermare nel giudice della cautela il convincimento che ricorresse un quadro
indiziario riguardo alla commissione dei delitti di falso, truffa e abuso informatico,
tale da richiedere l’adozione della misura cautelare disposta.
3. Avverso la richiamata ordinanza propone ricorso per cassazione la Perasole, a
mezzo del difensore, deducendo vizio motivazionale in relazione alla sussistenza di
colpa grave idonea a dare causa all’ingiusta detenzione. Evidenzia che la pronuncia
assolutoria era fondata sulla ritenuta sussistenza di errore incolpevole, poiché il
responsabile dell’ufficio aveva riferito che la necessità di più attenti controlli era
stata accantonata in ragione dell’accumulo delle pratiche, talché al momento la sua
raccomandazione aveva riguardato esclusivamente la massima rapidità
nell’inserimento dei dati. L’ordinanza, pertanto, non teneva conto dell’impossibilità
di effettuare più penetranti verifiche. Inoltre la Corte non ha tenuto conto che il
presupposto della colpa grave risultava integrato solo allorquando la negligenza,
Nuw,
imperizia o imprudenza ixib rivestqno i caratteri dell’ordinarietà ,ma si connotino
come eclatanti o macroscopiche.
4. Il Procuratore Generale, con requisitoria scritta, rileva l’infondatezza del ricorso,
chiedendone il rigetto. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze produce propria
memoria illustrativa conducente alle medesime conclusioni.

Considerato in diritto
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2.La Corte ravvisava colpa grave, ostativa al riconoscimento dell’indennizzo, nel

4. Il ricorso va rigettato per le ragioni di seguito esposte.
Come è noto, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di merito,
per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo
o colpa grave, deve valutare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi
probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che
rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o

adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità. Al riguardo, il giudice
deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta
tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà personale, al fine
di stabilire, con valutazione ex ante – e secondo un iter logico motivazionale del
tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale
condotta integri estremi di reato ma solo se sia stata il presupposto che abbia
ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa
apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla
detenzione con rapporto di “causa ad effetto” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 34559 del
26/06/2002, dep. 15/10/2002, De Benedictis, Rv. 222263). Il giudice della
riparazione, cioè, ben può rivalutare, ai fini dell’accertamento del diritto alla
riparazione e non della penale responsabilità, i fatti accertati o non esclusi dai
giudici del merito (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 27397 del 10/06/2010,
dep. 14/07/2010, Rv. 247867). La giurisprudenza di legittimità, inoltre, ha chiarito
che il piano valutativo del tutto diverso tra le condotte da considerare per la
sussistenza delle condizioni per la liquidazione dell’equo indennizzo e gli elementi
posti a base della decisione da parte del giudice della cognizione dimostra che tutti
gli elementi probatori devono essere rivalutati, in quanto, pur se ritenuti
insufficienti ai fini della dichiarazione di responsabilità, possono essere tali da
configurare il dolo o la colpa grave, soprattutto nel momento dell’emissione della
misura cautelare personale (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 10987 del 15/02/2007,
dep. 15/03/2007, Rv. 236508). Condotte rilevanti in tal senso possono essere di
tipo extraprocessuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato
l’adozione del provvedimento restrittivo) o di tipo processuale (autoincolpazione,
silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal
giudice della cognizione.
4.1 Ciò premesso, è da rilevare che correttamente i giudici del merito hanno
rilevato la sussistenza in capo alla ricorrente della colpa grave ostativa alla
concessione dell’indennizzo, in conformità ai parametri giurisprudenziali suindicati.
Ed invero il provvedimento impugnato indica gli elementi plurimi della condotta
della ricorrente che, valutati ex ante, hanno dato origine all’apparenza di illecito
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regolamenti, fornendo del convincimento conseguito una motivazione che, se

penale, ponendosi come causa della cautela. L’ordinanza, infatti, evidenzia che la
ricorrente ha posto in essere una condotta integrante l’aspetto materiale della
falsificazione attribuitale, senza assicurarsi rigorosamente della completezza della
documentazione amministrativa necessariamente presupposta dalle variazioni
informatiche effettuate, in ciò integrandosi la condotta gravemente negligente atta
a confermare nel giudice della cautela il convincimento che ricorresse il quadro
indiziario richiedente la disposta misura. La Corte ne deduce, con ragionamento

attribuire all’agente, una volta escluso il dolo, un comportamento, connotato da
scarsa preparazione o attenzione, particolarmente rilevante ove si consideri che lo
stesso è avvenuto nell’esercizio delle funzioni pubbliche. Ne consegue che il ricorso
deve essere rigettato.
5. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali, oltre alla rifusione delle spese di questo giudizio sostenute dal
Ministero, liquidate come da dispositivo.

P. Q. M.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali nonché al pagamento delle spese sostenute per questo giudizio di
cassazione dal Ministero dell’Economia liquidate in C 750,00.

Così deciso in Roma il 26-11-2013.

congruo e logico, la sussistenza “quantomeno” della colpa grave, dovendosi

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