Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17809 del 21/03/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 17809 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: SERRAO EUGENIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GALEAZZI GIANCARLO N. IL 10/05/1937
avverso la sentenza n. 75/2011 CORTE APPELLO di BRESCIA, del
01/02/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/03/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
Cludimeanniu~

Dott. Massimo Galli, che ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso;
Udito il difensore di parte civile Avv. Bruno Massi, che si è
associato alle conclusioni del Procuratore Generale;
Uditi i difensori Avv. Riccardo Riva Bemi e Piertacito
Ruggerini, che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso

no, per la parte civile,
Udit i difensor-Av_v_

Data Udienza: 21/03/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Il 1/02/2013 la Corte di Appello di Brescia ha confermato la sentenza
emessa il 17/09/2010 dal Tribunale di Mantova – Sezione di Castiglione delle
Stiviere nei confronti di Galeazzi Giancarlo, ritenuto colpevole del reato previsto
dall’art.589 cod. pen. e imputato di omicidio colposo per avere, per colpa
consistita in imperizia, imprudenza e negligenza e in particolare con violazione
delle leggi in materia di sicurezza e salute dei lavoratori, ossia degli artt.13 e 14
d.P.R. 7 gennaio 1956, n.164, non avendo provveduto durante i lavori di scavo

terreno e costituendo depositi di terreno presso il ciglio dello scavo, aggravando
le condizioni rispetto alla stabilità del terreno, effettuando lavori di ripristino di
un pozzo, cagionato la morte di Campagnari Gabriele che, mentre assisteva ai
suddetti lavori di escavazione, cadeva in una voragine apertasi improvvisamente
a causa del repentino cedimento del terreno circostante lo scavo in corso e
rimaneva sepolto sotto una coltre di terra che ne provocava il soffocamento da
compressione con conseguente arresto cardiocircolatorio. Fatto avvenuto il 20
aprile 2004.

2. La dinamica dell’infortunio veniva così ricostruita dai giudici di merito:
Campagnari Gabriele aveva contattato Galeazzi Giancarlo affinché eseguisse nel
suo terreno lavori idonei ad approfondire di 4 metri il pozzo già esistente nel
fondo “Casella” di Volta Mantovana; il pozzo, realizzato sul fondo del Campagnari
nel 1999 e mai utilizzato per mancanza di acqua, era stato originariamente
costruito mediante infissione nel suolo di sei cilindri-anelli di cemento di altezza
pari a m.1 e di diametro pari a m.1,50, per una profondità totale pari a circa 6
metri; tra i cilindri era stata posta una guarnizione in modo che aderissero l’uno
all’altro, formando un corpo unitario; dopo la posa del pozzo, il terreno di risulta
dell’attività di scavo era stato riposto intorno e pressato con un escavatore;
Galeazzi Giancarlo, titolare di un’impresa di escavazione, si era recato verso le
13:30 del 20 aprile 2004 presso il fondo al fine di iniziare i lavori, che il
proprietario del fondo avrebbe personalmente seguito; i due si erano incontrati
nei pressi dell’azienda agricola per poi raggiungere il luogo ove si trovava il
pozzo; Galeazzi aveva portato con sé un escavatore e un camion di notevoli
dimensioni e, intorno alle 13:45, Campagnari era ritornato a casa per prendere
una motosega e un badile in quanto, prima di iniziare i lavori, avrebbero dovuto
eliminare alcune piante vicino al pozzo; intorno alle 14.45 Campagnari era
rientrato in azienda e aveva preso il trattore con una cisterna per andare a
caricare acqua da un fosso, recandosi poi nuovamente presso il pozzo, dove era
giunto verso le 14:55-15:00; alle 15:30 – 15:45 la moglie del Campagnari aveva ‘
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ad attuare le necessarie armature di sostegno atte ad evitare franamenti del

ricevuto una telefonata in cui le si diceva che il marito era deceduto; il genero
della vittima era giunto sul posto dopo 10 minuti e aveva constatato la presenza
di una grossa voragine a ridosso degli anelli del pozzo, in fondo alla quale vi era
il suocero coperto di terra sino al collo, con la testa reclinata, privo di sensi; alle
17:00 era intervenuto, dopo i vigili del fuoco e il personale del 118 che avevano
estratto il corpo e constatato il decesso della vittima, anche il funzionario del
servizio di prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro, che aveva accertato
la posizione del cadavere all’interno di una voragine di grosse dimensioni
presente a ridosso degli anelli del pozzo, indicando che la testa e una parte della

spalla si trovavano alla base del terzo anello del pozzo, dunque ad una
profondità di circa quattro metri; intorno alla buca vi era un cumulo di terra al
cui vertice era appoggiata la benna dell’escavatore, mentre più spostati vi erano
altri due cumuli di terra ben sistemati. Nonostante il teste Burchiellaro Augusto,
dipendente di Galeazzi Giancarlo, unico soggetto presente ai fatti unitamente
all’imputato, avesse riferito di avere esclusivamente spianato con l’escavatore la
terra adiacente il pozzo abbassando il piano di circa 20-30 centimetri in modo
che il terreno intorno al pozzo si presentasse pianeggiante e ben ripulito, senza
scavare alcuna buca attorno al pozzo, e che improvvisamente il terreno era
franato sotto i piedi di Galeazzi Giancarlo e Campagnari Gabriele ed entrambi
erano precipitati in una specie di voragine creatasi spontaneamente nel suolo, i
giudici di merito ritenevano tale ricostruzione della dinamica dell’infortunio
inattendibile, affermando che Campagnari Gabriele era precipitato in una buca
della profondità di circa quattro metri, già scavata da Galeazzi Giancarlo nel
tentativo di eliminare l’aderenza tra i cilindri del pozzo e la terra circostante e
fare in modo che i cilindri potessero scendere nel terreno e rendere il pozzo più
profondo.

3. Ricorre per cassazione Giancarlo Galeazzi, a mezzo dei difensori Avv.
Riccardo Riva Berni e Piertacito Ruggerini, censurando la sentenza impugnata
per i seguenti motivi:
a) violazione degli artt.516 e 522 cod.proc.pen., per avere la sentenza
pronunciato la condanna dell’imputato per un fatto diverso da quello contestato.
Nel capo d’imputazione si sosteneva che il Campagnari fosse caduto “in una
voragine apertasi improvvisamente a causa del cedimento del terreno circostante
lo scavo in corso” mentre la condanna sarebbe stata pronunciata per un fatto
diverso, concretato dalla condotta del Galeazzi, che avrebbe creato una buca di
quattro metri di profondità in cui il Campagnari sarebbe precipitato. La Corte
territoriale, si assume, ha rigettato il relativo motivo di appello con
argomentazione censurabile, ritenendo che il termine ‘voragine’ nel capo
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d’imputazione fosse stato utilizzato in senso atecnico e figurativo, come
situazione venutasi a creare per effetto del cedimento del fronte dello scavo,
laddove il termine “voragine” indica un concetto diverso da “frana” e la diversa
descrizione del fatto contenuta nella sentenza avrebbe reso necessaria la
modifica del capo d’imputazione;
b) violazione dell’art.192 cod.proc.pen. – mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione. Il ricorrente sostiene che la sentenza
impugnata avrebbe accantonato l’unica prova diretta del fatto, ossia la

supposte prove scientifiche e supposte massime di comune esperienza senza
previa valutazione della prova diretta e degli indizi che ne confermavano
l’attendibilità, in particolare le dichiarazioni rese dall’imputato in sede di
interrogatorio, lo stato dei luoghi descritto dai testimoni dell’accusa
successivamente all’evento, le tesi del consulente di parte, le prove scientifiche
in base alle quali il terreno sciolto occupa un volume superiore rispetto al terreno
compatto, il terreno posto nei pressi del pozzo aveva natura friabile e non aveva
le caratteristiche di compattezza che avrebbero impedito la formazione di
voragini, la ruspa utilizzata dal Burchiellaro per il livellamento del terreno intorno
al pozzo non poteva scavare fino al punto in cui è stato trovato il corpo della
vittima. La Corte territoriale, si assume, avrebbe omesso la doverosa valutazione
di ogni alternativa spiegazione rispetto all’ipotesi fatta propria dai giudici di
primo grado, ignorando la prova scientifica in base alla quale il terreno prelevato
da uno scavo aumenta di volume del 25% e valorizzando la perizia geologica
disposta dal tribunale, in cui illogicamente si sosteneva l’impossibilità del
verificarsi di una voragine perché il terreno intorno al pozzo era molto compatto
e al contempo la granulosità del materiale di riporto in scarpata verticale.
Secondo il ricorrente, inoltre, il consulente della difesa dell’imputato aveva
spiegato le ragioni per le quali la ruspa utilizzata dal Burchiellaro non avrebbe
potuto raggiungere la profondità alla quale è stato trovato il corpo della vittima,
omettendo la Corte di utilizzare una prova scientifica incontestata. Gli indizi posti
a base della sentenza impugnata, si assume, difetterebbero di precisione, gravità
e concordanza e le massime di esperienza riportate, in particolare l’affermazione
secondo la quale è impossibile che immediatamente dopo il formarsi della
voragine si sia potuta scavare, a mano o con un escavatore, la terra trovata
all’esterno del buco in cui si trovava la vittima ovvero l’affermazione secondo la
quale la granulosità del terreno era conseguenza dell’attività di scavo, sono
effetto di una mera impressione e non reali massime di esperienza. I giudici di
merito avrebbero aderito acriticamente alla tesi del consulente nominato dal
tribunale pur in presenza di un profilo illogico di macroscopica grandezza,
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testimonianza del teste Burchiellaro, utilizzando indizi, o supposti indizi,

omettendo il doveroso doppio controllo della prova scientifica, secondo il quale si
devono verificare, in primo luogo, i dati fattuali di cui si è avvalso lo specialista
per le sue operazioni e, in seguito, si deve controllare l’esatta applicazione e
utilizzazione di principi, regole, metodi e strumentazione nel caso concreto, dopo
avere ancora appurato la completezza della prova. li perito del tribunale avrebbe
utilizzato dati generali sulla struttura geologica dei terreni della zona, pur avendo
riscontrato che la struttura geologica del terreno in cui era avvenuto l’infortunio
non fosse simile a quella della zona; si sarebbe affidato a carotaggi effettuati

testimonianza Marsiletti, che descriveva il bislacco metodo di costruzione del
pozzo alcuni anni prima e, ciononostante, i giudici di merito avrebbero ignorato
le valutazioni del consulente di parte, che avevano il pregio di valutare le
caratteristiche geologiche del luogo in cui era avvenuto il fatto;
c) violazione degli artt.530, comma 2,533 cod.proc.pen. – mancanza,
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, essendo venuta meno
la Corte territoriale al principio secondo il quale si può pervenire alla condanna
solo se il fatto risulti provato oltre ogni ragionevole dubbio, non essendo stato
fugato ogni ragionevole dubbio nel momento in cui non si è dato il giusto peso
alla manifesta illogicità di voler valutare con principi geologici generali una
situazione geologica particolare del tutto differente e si sono confutate le
valutazioni della consulenza di parte con motivazione apparente, con particolare
riguardo al fatto che l’imputato non avesse i mezzi tecnici per scavare alla
profondità alla quale è stato trovato il corpo della vittima, al fatto che non vi
fosse alcuna prova che la benna mordente posta a 150 metri dal luogo
dell’infortunio fosse stata utilizzata nè che tale benna potesse scavare alla
profondità alla quale è stato trovato il corpo del Campagnari, al fatto che non
esiste commercialmente benna mordente dotata di trivella che possa effettuare
uno scavo del tipo rinvenuto a ridosso del pozzo, ignorandosi la differenza tra
escavatore e benna mordente e il fatto che la benna fosse stata portata per
effettuare un lavoro all’interno del pozzo, mai iniziato;
d) violazione dell’art.69 cod. pen. – mancanza, contraddittorietà e manifesta
illogicità della motivazione, prescrizione del reato. Secondo il ricorrente, la Corte
territoriale avrebbe errato nell’effettuare il giudizio di bilanciamento tra
circostanze attenuanti generiche e contestata aggravante riferendosi alla
soluzione più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena in concreto, mentre la
funzione del giudizio di cui all’art.69 cod.pen. è quella di bilanciare questioni
accessorie ed eventuali rispetto al fatto di reato. L’imputato, si assume, non ha
mai tenuto il comportamento reticente o ambiguo attribuitogli nella sentenza
impugnata, e tanto avrebbe giustificato un giudizio di prevalenza delle attenuanti
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molti anni dopo i fatti senza utilizzare la testimonianza Burchiellaro né la

generiche, con conseguente affermazione di estinzione del reato per
prescrizione;
e) violazione dell’art.133 cod. pen. – contraddittorietà e manifesta illogicità
della motivazione. La sentenza impugnata, si assume, avrebbe con manifesta
illogicità valutato, per la presenza di precedenti contravvenzioni in tema di
gestione e smaltimento rifiuti, una personalità poco incline al rispetto della
sicurezza sui luoghi di lavoro.

1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
1.1. E’ dedotta la violazione degli artt.516 e 522 cod.proc.pen., che
impongono al pubblico ministero di modificare l’imputazione e procedere alla
relativa contestazione, a pena di nullità della sentenza, ove nel corso
dell’istruzione dibattimentale il fatto risulti diverso da come è descritto nel
decreto che dispone il giudizio.
1.2. Secondo il ricorrente, tale norma sarebbe stata violata in quanto nel
capo d’imputazione si è contestato che la vittima “cadeva in una voragine
apertasi improvvisamente a causa del cedimento del terreno circostante lo scavo
in corso”, mentre la condanna è avvenuta perché il Galeazzi avrebbe creato una
buca di quattro metri di profondità, in cui il Campagnari sarebbe precipitato.
1.3. Con riguardo ai poteri del giudice, le norme che si assumono violate
sono da porre in relazione al principio enunciato dall’art.521 cod.proc.pen., in
base al quale, ove il pubblico ministero non abbia provveduto a modificare
l’imputazione, il giudice non può pronunciare sentenza per un fatto diverso da
quello ivi descritto ma deve disporre con ordinanza la trasmissione degli atti al
pubblico ministero.
1.4. Questa Corte, a Sezioni Unite (Sez.U, n.36551 del 15/07/2010, Carrelli,
Rv.248051), ha affermato che, per aversi mutamento del fatto, occorre una
trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta
nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si
configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale
pregiudizio dei diritti di difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la
violazione del principio di correlazione tra imputazione contestata e sentenza non
può esaurirsi nel mero confronto puramente letterale fra contestazione e
sentenza perché, vedendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del
tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, si sia venuto .
a trovare nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto
dell’imputazione.
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CONSIDERATO IN DIRITTO

1.5. Ad ulteriore specificazione è stato affermato che, a fondamento del
principio di correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza, sta l’esigenza
di assicurare all’imputato la piena possibilità di difendersi in rapporto a tutte le
circostanze rilevanti del fatto che è oggetto dell’imputazione. Ne discende che il
principio in parola non è violato ogni qualvolta siffatta possibilità non risulti
sminuita. Pertanto, nei limiti di questa garanzia, quando nessun elemento che
compone l’accusa sia sfuggito alla difesa dell’imputato, non si può parlare di
mutamento del fatto e il giudice è libero di dare al fatto la qualificazione giuridica

quindi, siffatta violazione non ricorre quando nella contestazione, considerata
nella sua interezza, siano contenuti gli stessi elementi del fatto costitutivo del
reato ritenuto in sentenza (Sez.5, n.2074 del 25/11/2008, dep.20/01/2009,
Fioravanti, Rv.242351; Sez.4, n.10103 del 15/01/2007, Granata, Rv.236099;
Sez.6, n.34051 del 20/02/2003, Ciobanu Rv.226796; Sez.5, n.7581 del
5/05/1999, Graci, Rv.213776; Sez.6, n.9213 del 26/09/1996, Martina,
Rv.206208; Sez.6, n.7955 del 21/04/1995, P.M. in proc. Innocenti, Rv.202572;
Sez.1, n.2421 del 26/01/1995, Di Raimondo, Rv. 200474; Sez.2, n.5907
dell’11/04/1994, De Vecchi, Rv.197831). Sussiste, invece, violazione del
principio di correlazione della sentenza all’accusa formulata quando il fatto
ritenuto in sentenza si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di
eterogeneità o di incompatibilità sostanziale, nel senso che si sia realizzata una
vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali
dell’addebito nei confronti dell’imputato, posto, così, di fronte – senza avere
avuto alcuna possibilità di difesa – ad un fatto del tutto nuovo (Sez.3, n.9916 del
12/11/2009, dep.11/03/2010, Scarfò, Rv.246226; Sez.3, n.818 del 6/12/2005,
dep.12/01/2006, Pavanel, Rv.233257; Sez.6, n.21094 del 25/02/2004, Faraci,
Rv.229021; Sez.3, n.3471 del 9/02/2000, Pelosi, Rv.216454; Sez.4, n.9523 del
18/09/1997, Grillo, Rv.208784; Sez.6, n.10362 del 30/09/1997, Poggi,
Rv.208872).
1.6. Il fatto, di cui agli artt. 521 e 522 cod.proc.pen., va poi definito come
l’accadimento di ordine naturale dalle cui connotazioni e circostanze soggettive
ed oggettive, geografiche e temporali, poste in correlazione tra loro, vengono
tratti gli elementi caratterizzanti la sua qualificazione giuridica. Per fatto diverso
deve, perciò, intendersi un dato empirico, fenomenico, un accadimento, un
episodio della vita umana, cioè la fattispecie concreta e non la fattispecie
astratta, lo schema legale nel quale collocare quell’episodio della vita umana
(Sez.1, n.28877 del 4/06/2013, Colletti, Rv.256785; Sez.U, n.16 del
19/06/1996, dep.22/10/1996, Di Francesco, Rv.205619). La violazione del
suddetto principio postula, quindi, una modificazione nei suoi elementi
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che ritenga più appropriata alle norme di diritto sostanziale. In altri termini,

essenziali – del fatto, inteso appunto come episodio della vita umana,
originariamente contestato. Si ha, perciò, mancata correlazione tra fatto
contestato e sentenza quando vi sia stata un’immutazione tale da determinare
uno stravolgimento dell’imputazione originaria (Sez. U., n. 36551 del
15/07/2010, Carelli, Rv.248051).
1.7. In applicazione di tale principio interpretativo, è stata esclusa la
violazione della norma in esame nel caso in cui sia stata contestata la condotta
di cessione della sostanza stupefacente e l’imputato è stato condannato per la

9/11/2012, dep. 8/02/2013, Domizi, RV. 254888), ovvero nel caso in cui sia
stato inizialmente contestato un delitto in forma consumata e nella sentenza
l’imputato è stato condannato per il tentativo (Sez.6, n.29533 del 2/07/2013,
Tomasso, Rv.256150), ovvero nel caso in cui l’imputazione riguardi un’ipotesi di
concorso di persone nel reato e la sentenza di condanna è stata emessa nei
confronti di un solo imputato (Sez.5, n.7581 del 5/05/1999, Graci, Rv.213776),
ovvero nel caso in cui l’imputazione riguardi l’ipotesi di diffamazione e sia stata
emessa condanna per il reato, di natura colposa, di omesso controllo sul
contenuto di un periodico (Sez.5, n.46203 del 9/11/2004, Mauro, Rv.231169)
ovvero, ancora, nel caso in cui alla contestazione del reato di lesioni personali
volontarie sia seguita la condanna per quello di lesioni colpose (Sez.4, n.41663
del 25/10/2005, Cannizzo, Rv.232423), mentre è stata ritenuta sussistente la
violazione della norma nel caso in cui il fatto ritenuto nella sentenza si trovi in
rapporto di incompatibilità ed eterogeneità rispetto a quello contestato con un
vero e proprio stravolgimento dei termini dell’accusa (Sez.1, n.28877 del
4/06/2013, Colletti, Rv.256785, in un’ipotesi in cui era stato ritenuto in sentenza
accertato un incontro tra l’imputato ed un pregiudicato, da cui inferire l’abitualità
della condotta, che non risultava menzionato nel capo d’imputazione), ovvero sia
stata contestata l’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze
stupefacenti e la sentenza di condanna è stata emessa per il reato continuato di
spaccio di stupefacenti (Sez.5, n.14991 del 12/01/2012, P.G. in proc.
Strisciuglio, Rv.252324; Sez.6, n.775 del 21/1/2006, dep.16/01/2007, Attolino,
Rv.235804), oppure vi sia diversità circa la data di consumazione e le
circostanze di luogo dell’azione criminosa contestata e di quella ritenuta in
sentenza (Sez.6, n.21094 del 25/02/2004, Faraci, Rv.229021).
1.8. Tanto premesso, ed il caso in esame neppure involge il tema affrontato
dalla CEDU in relazione all’art.6 della Convenzione (Corte EDU 11/12/2007,
Drassich c. Italia), concernente l’ipotesi della diversa qualificazione giuridica del
fatto effettuata dal giudice di appello, è evidente come, nel caso di specie, gli
elementi essenziali del reato contestato, ossia la condotta ascritta all’imputato
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condotta di offerta in vendita di sostanza stupefacente (Sez.6, n.6346 del

(consistente nel non aver predisposto le necessarie armature di sostegno atte ad
evitare franamenti del terreno, aggravando le condizioni di stabilità del terreno
mediante depositi di terra presso il ciglio dello scavo) ed il nesso di causalità tra
detta condotta ed il decesso della vittima (a seguito di soffocamento, essendo il
Campagnari rimasto sepolto sotto una coltre di terra dopo essere caduto nella
voragine causata dal repentino cedimento del terreno circostante lo scavo)
hanno trovato piena e diretta corrispondenza nelle sentenze di merito. Conferma
del compiuto rispetto del diritto di difesa in merito al fatto contestato, come

svolta apposita istruttoria al fine di stabilire se la ‘voragine’ alla quale si faceva
riferimento nel capo d’imputazione potesse ritenersi originata dall’attività di
scavo posta in essere dall’imputato, come contestato, ovvero da un fenomeno
naturale (cosiddetto sink ho/e) di crollo verticale del terreno di superficie dovuto
alla presenza di cavità vuote nel sottosuolo, come sostenuto dalla difesa.
1.9. Ad ulteriore conferma di quanto sopra, giova riportare il testo degli
allora vigenti artt.13 e 14 d.P.R. n.164/56, espressamente contestati nel capo
d’imputazione: art.13, comma 1 “Nello scavo di pozzi e di trincee profondi piu’
di m. 1,50, quando la consistenza del terreno non dia sufficiente garanzia
di stabilita’, anche in relazione alla pendenza delle pareti, si deve provvedere,
man mano che procede lo scavo, alla applicazione delle necessarie armature di
sostegno”; art.14 “E’ vietato costituire depositi di materiali presso il ciglio degli
scavi. Qualora tali depositi siano necessari per le condizioni del lavoro, si deve
provvedere alle necessarie puntellature”.

2. Il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso, che possono essere
esaminati congiuntamente, sono infondati.
2.1. La regola di giudizio “dell’oltre ogni ragionevole dubbio”, introdotta
formalmente dall’art. 5 I. 6 febbraio 2006, n. 46, mediante la sostituzione del
comma 1 dell’art. 533 cod.proc.pen., è direttamente connessa al vizio di
motivazione della sentenza. Tale principio impone al giudice di procedere ad un
completo esame degli elementi di prova rilevanti e di argomentare
adeguatamente circa le opzioni valutative della prova, giustificando, con percorsi
razionali idonei, che non residuino dubbi in ordine alla responsabilità
dell’imputato. L’inosservanza della regola dell’al di là di ogni ragionevole dubbio,
lasciando spazio all’incertezza ed implicando una sentenza non pienamente e
razionalmente motivata in punto di colpevolezza, si traduce inevitabilmente in un
vizio di motivazione. La modifica legislativa introdotta con la novella anzidetta
non risulta, tuttavia, aver avuto un reale contenuto innovativo, non avendo
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ritenuto in sentenza, si trae dal fatto che, su impulso della difesa stessa, è stata

introdotto un diverso e più restrittivo criterio di valutazione della prova,
essendosi invece limitata a codificare un principio già desumibile dal sistema, in
forza del quale il giudice può pronunciare sentenza di condanna solo quando non
ha ragionevoli dubbi sulla responsabilità dell’imputato. La novella, dunque, non
avrebbe inciso sulla funzione di controllo del giudice di legittimità, che
rimarrebbe limitata alla struttura del discorso giustificativo del provvedimento,
con l’impossibilità di procedere alla rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della sentenza e dunque di adottare autonomamente nuovi e diversi

questa Corte ( Sez. 5, n.10411 del 28/01/2013, Viola, Rv. 254579) precisando
che tale regola di giudizio impone al giudice di giungere alla condanna solo se è
possibile escludere ipotesi alternative dotate di razionalità e plausibilità (cfr. sul
punto Sez. 1, n.41110 del 24/10/2011, )avad, Rv. 251507), ma negando che il
principio in esame abbia mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione
sulla motivazione della sentenza, volto ad un controllo sulla persistenza o meno
di una motivazione effettiva per mezzo di una valutazione necessariamente
unitaria e globale dei singoli atti e dei motivi di ricorso su di essi imperniati, non
potendo in ogni caso la sua valutazione sconfinare nell’ambito del giudizio di
merito. Nei medesimi termini, circa la portata del principio, si è affermato (Sez.
2, n.7035 del 9/11/2012, dep. 13/02/2013, De Bartolomei, Rv. 254025) che “la
previsione normativa della regola di giudizio dell’ “al di là di ogni ragionevole
dubbio”, che trova fondamento nel principio costituzionale della presunzione di
innocenza, non ha introdotto un diverso e più restrittivo criterio di valutazione
della prova, ma ha codificato il principio giurisprudenziale secondo cui la
pronuncia di condanna deve fondarsi sulla certezza processuale della
responsabilità dell’imputato” (conf. nn. 7036, 7037, 7038, 7039, 7040/2013).
Mette conto, inoltre, sottolineare come la codificazione di tale principio abbia
assunto, nella giurisprudenza della Corte, particolare rilievo nel giudizio di
legittimità circa la motivazione della sentenza di appello che abbia riformato la
sentenza di assoluzione in primo grado (Sez. 6,n.1266 del 10/10/2012, dep.
10/01/2013, Andrini, Rv. 254024; Sez. 2, n.11883 del 8/11/2012, dep.
14/03/2013, Berlingeri, Rv. 254725; Sez.6, n.8705 del 24/01/2013, Farre, Rv.
254113), anche in relazione ai principi affermati in materia dalla CEDU (Corte
EDU 5/07/2011, Dan c. Moldavia, parr. 32 e 33), risultando tanto meno
pertinente l’asserita violazione del principio qualora, come nel caso in esame, le
motivazioni delle sentenze di condanna di primo e secondo grado, integrandosi
tra loro, siano rispettose dei canoni di completezza, logicità e coerenza.

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parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti. In tal senso si è espressa

2.2. Con riguardo ai limiti del sindacato di legittimità, delineati dall’art. 606,
comma 1, lettera e), cod.proc.pen., come vigente a seguito delle modifiche
introdotte dalla I. 20 febbraio 2006, n.46, questa Corte ritiene che la predetta
novella non abbia comportato la possibilità, per il giudice della legittimità, di
effettuare un’indagine sul discorso giustificativo della decisione finalizzata a
sovrapporre una propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito,
dovendo il giudice della legittimità limitarsi a verificare l’adeguatezza delle
considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sottolineare il suo

processuali può, ora, essere dedotta quale motivo di ricorso qualora comporti il
cosiddetto travisamento della prova, purché siano indicate in maniera specifica
ed inequivoca le prove che si pretende essere state travisate, nelle forme di
volta in volta adeguate alla natura degli atti in considerazione, in modo da
rendere possibile la loro lettura senza alcuna necessità di ricerca da parte della
Corte, e non ne sia effettuata una monca individuazione od un esame
parcellizzato.
2.3. Il vizio di travisamento della prova (consistente nell’utilizzazione di
un’informazione inesistente o nell’omissione della valutazione di una prova,
accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato od omesso, abbia il
carattere della decisività nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a
critica) deve, inoltre, inficiare e compromettere, in modo decisivo, la tenuta
logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale
“incompatibilità” all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento
impugnato.
2.4. La condotta contestata all’imputato, qui ricorrente, si sostanzia in una
condotta omissiva, la cui rilevanza penale è collegata alla cosiddetta posizione di
garanzia attribuita al datore di lavoro in relazione ai presidi antinfortunistici da
approntare nell’area di cantiere, tanto a tutela dei lavoratori quanto a tutela di
terzi estranei che frequentino l’area di cantiere, ed in una condotta commissiva,
concretatasi nella violazione del divieto di cui all’art.14 d.P.R. n.164/56; di
talché, sulla base dell’accertata sussistenza dell’obbligo di agire e della violazione
di norme cautelari, specificamente indicati nel capo d’imputazione, si è collegato
l’evento dannoso alla condotta del titolare della posizione di garanzia, quanto alla
condotta omissiva, ed al medesimo titolare dell’impresa edile quale responsabile
del cantiere, quanto alla condotta attiva. Con specifico riferimento, poi, alla
descrizione del comportamento omissivo, quest’ultimo non deve essere inteso in
senso assoluto, nel senso cioè di ritenersi sussistente solo nel caso di assoluta
mancanza di azione da parte del soggetto, ma è comprensivo anche dei casi in

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convincimento. La mancata rispondenza di queste ultime alle acquisizioni

cui il soggetto ponga in essere un comportamento diverso da quello dovuto
(Sez.4, n.3380 del 15/11/2005, Fedele).
2.5. La sentenza impugnata, nel ripercorrere le acquisizioni istruttorie del
dibattimento di primo grado, ha correttamente riportato la testimonianza di
Burchiellaro Augusto, dipendente di Galeazzi Giancarlo, il quale aveva riferito di
aver realizzato lavori di spianamento della terra adiacente il pozzo in modo che il
terreno si presentasse pianeggiante e ben ripulito, senza scavare alcuna buca
attorno al pozzo, riferendo che i cumuli di terreno presenti sul posto erano stati

parte nell’estremo tentativo di salvare il Campagnari. I giudici di merito hanno,
tuttavia, ritenuto che tale versione dei fatti fosse inattendibile, pervenendo a tale
conclusione sulla scorta di una serie di acquisizioni istruttorie analiticamente
indicate.
2.6. Vale, in proposito, ricordare il principio più volte espresso da questa
Corte in base al quale solo nell’ipotesi di omesso esame, da parte del giudice, di
risultanze probatorie acquisite e decisive, il provvedimento non si sottrae al
sindacato della Corte di Cassazione per lo specifico profilo del vizio di mancanza
della motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod.proc.pen., a
condizione che sia stata prospettata al giudice, mediante memorie, atti,
dichiarazioni verbalizzate, l’avvenuta acquisizione dibattimentale di altre e
diverse prove. In detta evenienza al giudice di legittimità spetta verificare, senza
possibilità di accesso agli atti, ma attraverso il raffronto tra la richiesta di
valutazione della prova e il provvedimento impugnato che abbia omesso di dare
ad essa risposta, se la prova assunta, in tesi risolutiva, sia effettivamente tale e
se quindi la denunciata omissione sia idonea a inficiare la decisione di merito
(Sez. 2, n. 43923 del 28/10/2009, PM in proc. Pinto, Rv. 245606; Sez. U, n.
45276 del 30/10/2003, P.G., Andreotti e altro, Rv. 226093).
2.7. Ma questo Collegio rileva, in primo luogo, che alcune delle risultanze
istruttorie indicate nel ricorso sono state, espressamente o implicitamente,
esaminate e disattese dalla Corte, che ha rinviato anche alle argomentazioni
svolte dal giudice di primo grado, sottraendosi tale aspetto del provvedimento
impugnato alla censura di omessa motivazione: 1) con riferimento alla
convergenza dell’interrogatorio dell’imputato con le dichiarazioni del teste
Burchiellaro, l’elenco dei dati istruttori idonei ad inficiare l’attendibilità del teste
(pagg.5-6 sentenza di primo grado e pag.18 sentenza di appello) può
considerarsi, implicitamente, esteso alle dichiarazioni dell’imputato; 2) la
compatibilità dello stato dei luoghi con le dichiarazioni del teste è stata
chiaramente esclusa (pag.19) sulla base dei rilievi fotografici in atti e sulla base
dell’argomento logico per cui, ove si fosse verificato il fenomeno tellurico
12

realizzati con l’escavatore, in parte al momento dei lavori di spianamento e in

descritto dal teste, non si sarebbe spiegato come mai la struttura del pozzo,
composta da sei cilindri semplicemente appoggiati l’uno sull’altro, fosse rimasta
perfettamente in asse e senza cenni di sprofondamento; 3) la Corte ha, poi,
ritenuto di disattendere l’ipotesi ricostruttiva della dinamica del consulente della
difesa (pag.20), sottolineando come il giudice di primo grado l’avesse
adeguatamente valutata, al punto da disporre una perizia geologica.
2.8. Quanto alla cosiddetta prova scientifica, fondata secondo il ricorrente su
dati istruttori e massime di esperienza contraddetti da altre prove scientifiche

aveva censurato l’affermazione del Tribunale secondo la quale l’infortunio non
potesse essersi verificato secondo la tesi difensiva del fenomeno del sink hole in
quanto smentita dal dato di fatto per cui, per riempire la buca esistente, era
stata sufficiente la terra accumulata nei pressi della stessa. La difesa sosteneva,
dunque, che tale argomento fosse stato sconfessato dall’esame del consulente
tecnico dott.Oneda, secondo il quale il volume del materiale accumulato era
molto inferiore al volume della buca. In replica, la Corte ha riportato il dato per
cui il quantitativo della terra ammucchiata in prossimità della voragine in cima
alla quale si trovava la benna dell’escavatore, asseritamente utilizzato per i
soccorsi, fosse stato ritenuto dai tecnici della ASL incompatibile rispetto a quello
che avrebbe potuto essere prelevato mediante un escavatore che avesse
lavorato, tenendo conto del lasso di tempo accertato di circa 30 minuti e con
prudenza, per ritrovare il corpo della vittima. Quale ulteriore elemento
probatorio, i giudici hanno ribadito che l’accertata corrispondenza tra il
quantitativo di terra estratta per creare la buca e quella utilizzata per il
successivo riempimento dopo il fatto, a fronte delle argomentazioni del
consulente di parte, fosse la prova che la terra accumulata era quella oggetto
della precedente attività estrattiva, mentre se si fosse spontaneamente creata
una voragine per un fenomeno naturale di sprofondamento del terreno, per
ricoprire la buca sarebbe stato necessario l’apporto di ulteriore terra, nel caso in
esame non resosi necessario.
2.9. Il Collegio ritiene tale argomentare congruo, in quanto basato su
un’affermazione in sé logicamente corretta, non contrastante con la prova
scientifica secondo la quale il volume del materiale di scavo non corrisponde al
volume dello scavo in quanto, secondo tale medesimo dato, al momento di un
nuovo riempimento della medesima buca il materiale ricompattato riacquista il
volume originario.
2.10. Nell’atto di appello, la difesa aveva, poi, censurato la sentenza di
primo grado per avere ritenuto che la vittima fosse precipitata in uno scavo
molto profondo, già precedentemente realizzato con mezzi messi a disposizione
13

incontestate nel processo, vale osservare che la difesa, nell’atto di appello,

da Galeazzi Giancarlo, nonostante il consulente tecnico dott. Oneda avesse
spiegato che l’imputato non aveva i mezzi tecnici per scavare alla profondità alla
quale era stato trovato il corpo della vittima. In replica, la Corte ha con logica
motivazione affermato che la benna mordente, rinvenuta sul posto a breve
distanza dal luogo dello scavo, fosse del tutto idonea ad operare uno scavo come
quello del tipo in concreto eseguito, implicitamente disattendendo, a fronte della
ritenuta evidenza indiziaria, quanto asserito dal consulente di parte.

la corrispondenza tra l’esito delle indagini condotte dai tecnici della ASL e la
perizia disposta dal Tribunale che, dalle caratteristiche geo-morfologiche del
terreno intorno al pozzo, ha desunto l’impossibilità che si fossero create cavità
vuote nel sottosuolo in ragione della stratigrafia del terreno, fatto di 20 metri di
ghiaia molto densa, poi di 30 metri di argilla, poi ancora ghiaia e così via, al
contempo riscontrando sui luoghi la notevole franosità del materiale di riporto in
scarpata verticale, ritenendo i giudici di merito che se l’imputato avesse
provveduto, durante i lavori di scavo, a predisporre le necessarie armature di
sostegno atte ad evitare frane, l’evento dannoso non si sarebbe verificato.
3.1. La Corte territoriale è, d’altro canto, pervenuta alla conferma della
sentenza di primo grado sulla base di molteplici indizi ed argomentazioni logiche
e scientifiche, ritenendo decisivo il dato fattuale che lo stato dei luoghi
evidenziasse come, al momento dell’infortunio, fossero già in corso i lavori di
scavo intorno al pozzo, con la creazione di una profonda buca circolare lungo
tutto il suo perimetro per circa quattro-cinque metri di profondità, una sorta di
trincea circolare caratterizzata da alte pareti verticali di terreno, che su un lato
risultava franata. A tale dato, ritenuto dirimente, secondo la Corte fornivano
adeguato riscontro, richiamandosi anche le argomentazioni svolte dal giudice di
primo grado, il volume complessivo dei cumuli di terra rinvenuti nelle immediate
vicinanze dello scavo, il limitato periodo di tempo che l’imputato e il suo
dipendente avevano avuto per effettuare gli scavi al fine di salvare la vittima, la
presenza del manto erboso intatto nel piano di campagna tutto intorno al pozzo,
la circostanza che la struttura del pozzo, composta da ben sei cilindri
semplicemente appoggiati l’uno sull’altro, fosse rimasta perfettamente in asse, la
presenza di due mezzi idonei allo scavo, uno dei quali adatto allo scavo in
verticale, la corrispondenza della realizzazione di una buca profonda intorno al
pozzo, con asportazione del terreno circostante, al lavoro commissionato al
Galeazzi per ripristinarne la funzionalità.
3.2. Quanto alla dedotta illogicità delle affermazioni del perito in merito alla
consistenza del terreno, sulle cui conclusioni si è fondata la pronuncia di
14

3. Occorre, per altro verso, evidenziare che nella sentenza si è sottolineata

condanna, la Corte ha fornito ampia, congrua e logica motivazione, spiegando
che le caratteristiche di compattezza riguardavano la stratigrafia del sottosuolo
mentre le caratteristiche di friabilità riguardavano il terreno in scarpata verticale
dopo lo scavo (pag.23).
3.3. Risulta, altresì, destituita di fondamento la censura concernente
l’utilizzazione da parte dei giudici di merito di rilievi fotografici effettuati quando
lo stato dei luoghi era stato profondamente modificato, avendo la Corte
territoriale espressamente indicato la pluralità di elementi istruttori (pagg.18-19)

nell’immediatezza del fatto.
3.4. Inammissibile è la censura svolta con riguardo all’omesso controllo da
parte del giudice della prova scientifica, fondata sull’inattendibilità delle
conclusioni alle quali è pervenuto il perito sulla base di una valutazione delle
caratteristiche geologiche di un terreno diverso da quello in cui si è verificato
l’infortunio, in difetto di autosufficienza, sul punto, del ricorso.

4. Nella giurisprudenza di legittimità è stato più volte enunciato il principio
secondo cui la ricostruzione di un sinistro nelle sue dinamiche e nella sua
eziologia, la valutazione delle condotte dei singoli, l’accertamento delle relative
responsabilità, la determinazione dell’efficienza causale di ciascuna colpa
concorrente sono rimesse al giudice di merito ed integrano una serie di
apprezzamenti di fatto che sono sottratti al sindacato di legittimità, se sorretti da
adeguata motivazione. Nella concreta fattispecie, la decisione impugnata si
sottrae, per quanto indicato, alle censure concernenti il vizio di motivazione, in
quanto inidonee a disarticolare la congruità logica della motivazione stessa, e, in
particolare, sia alla censura mossa dal ricorrente all’affermazione secondo la
quale la corrispondenza tra il quantitativo di terra estratta per creare la buca e
quella utilizzata per il suo riempimento fosse la prova che la terra accumulata
era quella oggetto della precedente attività estrattiva, avendo la Corte con logica
argomentativa spiegato che ‘è intuitivo, infatti, che se si fosse verificato un sink

ho/e, sarebbe stata necessaria molta più terra di quella presente sul posto per
poter procedere al riempimento della buca’; sia alla censura mossa dal ricorrente
con riferimento all’inidoneità dei mezzi tecnici a disposizione dell’imputato per
effettuale lo scavo alla profondità alla quale è stato rinvenuto il corpo della
vittima, avendo la Corte adeguatamente argomentato il valore indiziario della
presenza di un mezzo idoneo ad operare lo scavo in verticale nelle immediate
vicinanze dello scavo stesso.

5. Il quinto ed il sesto motivo di ricorso sono inammissibili.
15

in base ai quali detti rilievi indicassero fedelmente lo stato dei luoghi

5.1. Il dedotto vizio di motivazione si pone in patente contrasto con il testo
del provvedimento impugnato, in cui (pag.24) si è dato conto delle ragioni per le
quali la Corte territoriale ha ritenuto di escludere il giudizio di prevalenza delle
circostanze attenuanti generiche sulla contestata aggravante ed ha ritenuto
congrua la pena in concreto irrogata dal Tribunale. E’, in proposito, ricorrente
nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione di principio per cui l’obbligo di
motivazione è tanto più stringente quanto maggiore sia il divario tra la pena in
concreto irrogata ed il minimo edittale, e nel caso in esame la sanzione di fatto

minima edittale prevista dall’art.589 cod. pen. (la pena minima edittale alla
quale occorre fare riferimento in relazione al tempus commissi delicti è quella
della reclusione da uno a cinque anni stabilita dall’art.589, comma 2, cod.pen. in
vigore all’epoca del fatto, applicabile ai sensi dell’art.2 cod.pen. in quanto più
favorevole. Tale disciplina è stata, infatti, modificata a seguito dell’entrata in
vigore della 1.21 febbraio 2006, n. 102, il cui art. 2 ha stabilito per il delitto di cui
all’art. 589, comma 2, cod.pen. la pena della reclusione da due a cinque anni e,
successivamente, a seguito dell’entrata in vigore del d.l. 23 maggio 2008, n. 92,
convertito con modificazioni dalla I. 24 luglio 2008, n. 125, il cui art. 1, comma
1, lett.c), n.1 ha stabilito per il medesimo delitto la pena della reclusione da due
a sette anni), dovendosi conseguentemente ritenere che i giudici del merito, con
la enunciazione dell’analisi dei criteri indicati nell’art. 133 cod. pen., abbiano qui
assolto adeguatamente all’obbligo della motivazione (Sez. 2, n.12749
del 19/03/2008, Gasparri, Rv. 239754; Sez. 4, n. 56 del 16/11/1988, dep.
5/1/1989, Spina, Rv. 180075).
5.2. A ciò deve aggiungersi che la valutazione degli elementi sui quali si
fonda la concessione delle attenuanti generiche, ovvero il giudizio di
comparazione delle circostanze, nonché in generale la dosimetria della pena,
rientrano nei poteri discrezionali del giudice di merito, il cui esercizio, se
effettuato nel rispetto dei parametri valutativi di cui all’art.133 cod.pen., è
censurabile in Cassazione solo quando sia frutto di mero arbitrio o di
ragionamento illogico. Ciò che qui deve senz’altro escludersi, avendo il giudice
fornito adeguata e logica motivazione sia con riferimento all’insussistenza dei
presupposti per il giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche
sulla contestata aggravante, sia con riferimento alla congruità della pena irrogata
in relazione alle modalità del fatto ed alla valenza del comportament
endoprocessuale dell’imputato.

16

irrogata, pari ad anni 1 e mesi 4 di reclusione, è di poco superiore alla misura

6. Alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso deve essere rigettato ed
il ricorrente condannato, a norma dell’art.616 cod.proc.pen., al pagamento delle
spese processuali e delle spese sostenute per questo giudizio di cassazione dalla
parte civile, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile per
questo giudizio di cassazione liquidate in E.3.500,00 oltre accessori come per

Così deciso il 21/03/2014

legge.

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