Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17802 del 17/01/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 17802 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) CORSINI UBALDO, N. IL 7.5.1938,
avverso la sentenza n. 4870/2010 pronunciata dalla Corte di Appello di Firenze
il 13/12/2012;
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Salvatore Dovere;
udite le conclusioni del P.G. Dott. Vito D’Ambrosio, che ha chiesto il rigetto del
ricorso;
udito il difensore dell’imputato, avv. Bruno Leporatti, che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Firenze ha
riformato la pronuncia di assoluzione emessa a seguito di rito abbreviato dal
Tribunale di Grosseto nei confronti di Corsini Ubaldo, che era stato tratto a
giudizio per rispondere, quale legale rappresentante della Corsini Biscotti srl, del
reato di lesioni personali colpose aggravate, commesse con violazione di norme
in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in danno del lavoratore
Nicola Romani. Il Collegio distrettuale, infatti, ha dichiarato l’imputato colpevole
del reato ascrittogli e lo ha condannato alla pena di mesi uno di reclusione.

Data Udienza: 17/01/2014

2. Il diverso esito dei giudizi di merito fonda su una comune ricostruzione
dell’accaduto. Secondo l’accertamento condotto nei gradi di merito, il Romano
stava eseguendo operazioni di pulizia del macchinario RNK DROPINA e in
particolare della tramoggia dello stesso, dopo aver deliberatamente escluso il
dispositivo di sicurezza del blocco della macchina, nonostante il divieto imposto
dal datore di lavoro; sicché, quando egli aveva riacceso la macchina per
continuare nella pulizia della tramoggia e aveva inserito la mano destra
all’interno del macchinario questa era rimasta imprigionata dai rulli in movimento

e del 4 dito ed un micro distacco.
Orbene, mentre il Tribunale aveva ritenuto che la causa dell’infortunio era
stata la condotta del lavoratore, la Corte di Appello ha valutato l’infortunio come
effetto di una prassi operativa che contemplava l’esecuzione delle operazioni di
pulizia della tramoggia del macchinario mantenendolo acceso. Pertanto ha
attribuito al Corsini l’omessa attuazione di misure tecniche ed organizzative
adeguate per ridurre al minimo i rischi connessi all’uso del descritto macchinario
e per impedire che tale attrezzatura potesse essere utilizzata secondo condizioni
per le quali non era adatta (art. 35 d.Ig. n. 626/94) nonché una

culpa in

vigilando, avendo consentito o tollerato l’instaurarsi di una siffatta prassi. La
Corte di Appello ha quindi inflitto al Corsini la pena di un mese di reclusione,
determinata previa concessione delle attenuanti generiche, valutate equivalenti
alle contestate aggravanti.

3. Avverso tale decisione ricorre per cassazione l’imputato a mezzo del
difensore di fiducia, avv. Bruno Leporatti.
3.1. Con un primo motivo deduce vizio motivazionale e violazione di legge in
relazione all’art. 35, co. 4 lett. b) e c) d.lgs. n. 626/94.
Rileva il ricorrente che, tenuto conto del rafforzato obbligo motivazionale
che incombe al giudice dell’impugnazione allorquando riforma la sentenza
censurata, la Corte di Appello ha omesso di motivare in ordine alle ragioni per le
quali è stata di diverso avviso in punto di colpa specifica. A riguardo della quale il
Tribunale aveva ritenuto accertato che nell’impresa vigesse il divieto di eseguire
la pulizia dei macchinari mentre essi erano accesi; che, per l’esponente,
rappresentano appunto le misure tecniche ed organizzative adeguate per ridurre
al minimo i rischi di incidente. Più in generale si contesta la logicità e la coerenza
della decisione laddove ricava dalle dichiarazioni del teste Pieri, peraltro
travisate, che al momento del sinistro il dispositivo di blocco non fosse
funzionante; l’esistenza di una prassi operativa consistente nel tenere in moto la
macchina mentre si procedeva alla sua pulizia; che il ripristino della funzionalità

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riportando ferite da schiacciamento alle dita in tutte le falangi e la frattura del 3

del dispositivo di sicurezza fosse segno del fatto che il Corsini si sentì
responsabile dell’infortunio. Analogamente, si lamenta il travisamento delle
dichiarazioni del teste Agostini, il quale aveva utilizzato l’avverbio ‘normalmente’
parlando dello spegnimento della macchina sia con l’interruttore che con la presa
di corrente prima di procedere alla pulizia, mentre la Corte di Appello lo ha inteso
come riferito alla prassi di pulire i rulli riattivando la macchina.
Si censura, poi, il giudizio di sussistenza di una culpa in vigilando del Corsini
pur in assenza della prova che egli avesse avuto notizia del preteso

compiere operazioni di pulizia dei macchinari con gli stessi in movimento o che
avesse omesso di compiere verifiche in ordine al corretto funzionamento o al
corretto utilizzo del macchinario stesso.
3.2. Con un secondo motivo si lamenta che la Corte di Appello ha omesso di
applicare alla sanzione irrogata la diminuzione di cui all’art. 442, co. 2 cod. proc.
pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è fondato limitatamente al motivo concernente il trattamento
sanzionatorio.
4.1. Il primo motivo non può trovare accoglimento. Esso mette a fuoco il
punto nodale della vicenda che occupa, ovvero la ritenuta (dalla Corte di Appello)
esistenza di una prassi operativa che consisteva nell’iniziare la pulizia dei rulli a
macchina spenta ma per poi riattivarla onde procedere al completamento delle
operazioni. Tale prassi è stata delineata dalla Corte distrettuale sulla base delle
dichiarazioni dell’Agostini, e segnatamente in quella parte che espone il seguente
testo: “… per andare avanti nella pulizia dei rulli, riattivo la macchina e pulisco
l’altra parte dei rulli…”.
Orbene, rispetto al preteso travisamento delle parole dell’Agostini, la lettura
della deposizione e della sentenza impugnata lascia emergere che non di errore
sul significante si è trattato (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 18542 del 21/01/2011,
Carone, Rv. 250168) bensì di una interpretazione, non manifestamente illogica,
di una dichiarazione obbiettivamente aperta ad almeno due letture. Sicchè,
essendo giudice della prova quello del merito – salva la manifesta illogicità della
decisione – tale interpretazione non è censurabile da questa Corte (“Il vizio di
travisamento della prova dichiarativa, per essere deducibile in sede di legittimità,
deve avere un oggetto definito e non opinabile, tale da evidenziare la palese e
non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della singola dichiarazione
assunta e quello che il giudice ne abbia inopinatamente tratto ed è pertanto da
escludere che integri il suddetto vizio un presunto errore nella valutazione del

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inadempimento dei propri dipendenti rispetto alla regola cautelare di non

significato probatorio della dichiarazione medesima”: Sez. 5, Sentenza n. 9338
del 12/12/2012, Maggio, Rv. 255087).
Ne consegue che l’affermazione resa dalla Corte di Appello, circa l’esistenza
della menzionata prassi operativa non può essere respinta; e pertanto, preso
atto di tale dato, risulta corretta l’affermazione della tenuta in esercizio della
macchina senza l’adozione delle misure tecniche ed organizzative adeguate alla
riduzione al minimo dei rischi connessi al suo utilizzo (art. 35 d.lgs. n. 626/94,
ora art. 71 d.lgs. 81/08).

eseguire la pulizia dei macchinari mentre essi erano accesi rappresenta la misura
tecnica ed organizzativa adeguata per ridurre al minimo i rischi di incidente, è
del tutto infondato. A monte della posizione del divieto vi è l’attività di
formazione e di informazione del lavoratore e l’adozione delle misure specifiche
possibili nel caso concreto; a valle vi è l’adozione di un modello organizzativo che
permetta di controllare l’osservanza di quel divieto da parte del destinatario, il
quale deve essere tutelato anche rispetto a personali comportanti colposi.
Nulla di tutto ciò è stato neppure allegato dall’esponente, che anzi afferma
che l’organizzazione della Corsini Biscotti era improntata alla tutela della
sicurezza del lavoro “da curare d’iniziativa ad opera del personale addetto senza
necessità di ottenere l’assenso da parte della dirigenza della compagine…”.
Ancorchè l’affermazione alluda all’intervento ripristinatore del Pieri, che si vuol
prospettare come frutto di una iniziativa del medesimo, essa segnala una ben
singolare concezione della gestione dei rischi nell’impresa in parola.
Spostando poi l’attenzione sulla congruità della motivazione nella parte in
cui afferma sussistente una culpa in vigilando del Corsini, si rileva che la Corte
di Appello ancora il proprio giudizio in definitiva sul comportamento post
delictum del Corsini: “1’11.11.2006 l’azienda sostituì l’interruttore di blocco della
griglia di protezione, ripristinando il blocco automatico dei rulli in caso di
apertura della tramoggia per inserirvi la mano per la pulizia … e così ripristinando
in modo adeguato la funzionalità del dispositivo di sicurezza, segno
inequivocabile che il Corsini dopo l’evento lesivo, si sentì responsabile, correndo
subito ai ripari…”.
Si tratta di una motivazione che valorizza al massimo grado il ripristino della
funzionalità del dispositivo ma che non per questo risulta manifestamente illogica
o in collisione con quanto dichiarato dal teste Pieri. Non manifestamente illogica,
perché nell’ambito di un’organizzazione di impresa deve presumersi sino a prova
contraria che quanto viene realizzato dai livelli sottordinati della gerarchia
aziendale trova origine in disposizioni impartite dal vertice. Non configgenti con
le dichiarazioni del Pieri, perché questi ebbe a riferire di aver provveduto alla

Né va dimenticato che l’assunto dell’esponente, secondo il quale il divieto di

sostituzione dell’interruttore di blocco della griglia di protezione del macchinario,
ma non di aver proceduto a tanto in via autonoma. Anche in questo caso la
dichiarazione lascia aperte più interpretazioni (per effetto dell’espressione: “… ho
subito pensato che l’interruttore … non avesse funzionato regolarmente e
pertanto ho provveduto…”); ed il senso attribuito dalla Corte di Appello non

appare manifestamente illogico.
In conclusione, il motivo in esame è infondato.

abbreviato. Pertanto la Corte di Appello, nell’infliggergli la pena ritenuta equa,
avrebbe dovuto apportare sulla pena identificata all’esito dell’operazione di
commisurazione la diminuzione del terzo prevista dall’art. 442, co. 2 cod. proc.
pen. Ciò non è stato, avendo il giudice territoriale irrogato la pena di un mese di
reclusione, all’esito del giudizio di bilanciamento delle circostanze concorrenti,
valutate equivalenti.
L’omissione nella quale è incorso il Collegio distrettuale importa
l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla pena irrogata. Pena
che tuttavia può essere rideterminata da questa Corte ai sensi dell’art. 620 lett.
I) cod. proc. pen. in giorni venti di reclusione, trattandosi di riduzione di pena
certa nell’an e non modulabile nel quantum.
P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata limitatamente alla pena irrogata, pena che
ridetermina in giorni venti di reclusione. Rigetta nel resto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17/1/2014.

4.2. Il Corsini è stato giudicato in primo grado con le forme del rito

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