Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 178 del 18/11/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 178 Anno 2017
Presidente: DIOTALLEVI GIOVANNI
Relatore: DI PISA FABIO

SENTENZA

sul ricorso proposti da
Zangaro Giovanni, nato a Rossano il 05/11/1966

avverso la sentenza del 07/05/2015 della Corte di Appello di Milano

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Fabio Di Pisa;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Roberto Aniello, che
ha concluso chiedendo dichiararsi la inammissibilità del ricorso;
udito il difensore, avv. Giovanni Castagnaro, che ha concluso chiedendo l’ accoglimento del
ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 07/05/2015, confermando quella del
Tribunale di Vigevano in data 12/03/2013, ha ritenuto Giovanni Zangaro responsabile del reato
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Data Udienza: 18/11/2016

di ricettazione di vari beni provento dei reati di furto e truffa.

2. Giovanni Zangaro ricorre per cassazione, tramite il difensore, sulla base di tre motivi.
Primo motivo: violazione di legge quanto al diniego di attenuanti generiche ed al meccanismo
della determinazione della pena, da stabilire in misura pari al minimo edittale. Lamenta il
ricorrente che la sentenza doveva ritenersi viziata nella parte in cui aveva escluso la
concessione delle attenuanti generiche in ragione della mancata collaborazione dell’ imputato,

Secondo motivo: nullità dell’ intero procedimento di primo grado nonché di quello di appello in
ragione della omessa regolare notifica del decreto di citazione a giudizio dinanzi al Tribunale.
Terzo motivo: motivazione omessa o, comunque illogica e contraddittoria art. 606 lett. b), c) d)
ed e) cod. proc. pen. in relazione alli art. 648 cod. pen.
Assume che la corte di appello, nell’ aderire acriticamente alla sentenza di primo grado senza
tenere conto dei rilievi di cui all’ atto di appello, aveva riconosciuto la penale responsabilità
dell’ imputato laddove i complessivi elementi di prova raccolti, privi in sè di rilievo alcuno, non
consentivano in alcun modo di ritenere dimostrata la condotta contestata “oltre ogni
ragionevole dubbio”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.11 ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.

2. Per motivi di ordine logico occorre esaminare, preliminarmente, il secondo motivo in forza
del quale il ricorrente ha eccepito la nullità dell’ intero procedimento di primo grado nonché di
quello di appello in ragione della omessa regolare notifica del decreto di citazione a giudizio
dinanzi al Tribunale.

2.1. Va rilevato che tale motivo è manifestamente infondato ove si ponga mente alla
circostanza, a parte la estrema genericità della relativa allegazione,s(risulta dagli atti che il
decreto di citazione a giudizio del primo grado è stato notificato alli imputato presso il domicilio
del legale di fiducia, Avv. Nicola Cadaleta indicato dallo Zangaro quale proprio domiciliatario.

3. Con riguardo alle invocate – ma negate – circostanze attenuanti di cui all’art. 62-bis cod.
pen. va premesso che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che nel motivare il diniego
della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in
considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti,
ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti,
rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, sent. n. 28535 del
19/03/2014, Lule, Rv. 259899).

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non considerando che ciò costituiva espressione di una scelta difensiva non valutabile.

3.1. Orbene, pur non potendo rilevare il precedente per ingiurie, trattandosi di fattispecie
depenenalizzata, non può sottacersi che la Corte di appello ha congruamente motivato circa le
ragioni del diniego del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche all’ imputato,
confermando quanto evidenziato dal giudice di primo grado il quale aveva posto l’ accento
anche sulla gravità della condotta, consistita in plurime condotte di ricettazione di svariati
beni di provenienza illecita (v. capo di imputazione) sia pure contestate quale condotta

3.2. In ordine alla graduazione della pena va osservato che tale potere rientra nella
discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in
aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile
la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della
pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n.
5582 del 30/09/2013 – 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142), ciò che – nel caso di esame – non
ricorre. Invero, una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata,
specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la pena
sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere
sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. le espressioni del
tipo: ‘pena congrua’, ‘pena equa’ o ‘congruo aumento’, come pure il richiamo alla gravità del
reato o alla capacità a delinquere (Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro). Nel caso in
esame ea determinazione della pena irrogata (anni due, mesi quattro ed euro 2.000,00 di
multa) è di poco superiore al minimo edittale.

4. Il terzo motivo si articola in censure relative all’accertamento di responsabilità,
lamentandosi in genere l’acritico rinvio da parte del giudice di appello alle argomentazioni del
tribunale senza adeguato riscontro dei rilievi difensivi contenuti negli atti di appello; sempre in
termini generali, la corte territoriale avrebbe, ad avviso del ricorrente, applicato erroneamente
i criteri di valutazione del compendio probatorio ed omesso di rilevare la carenza di riscontri
dell’impianto accusatorio, già eccepita con i motivi di appello. Occorrono a riguardo alcune
considerazioni preliminari circa l’ambito di esame, in sede di legittimità, delle censure di merito
che implicano una valutazione dei fatti, in considerazione, altresì, della sostanziale
riproposizione a riguardo da parte del suindicato ricorrente di tesi difensive prospettate in
entrambi i gradi del giudizio di merito, circostanza che sotto il profilo della tecnica redazionale
della sentenza impugnata giustifica il rinvio per relationem alla decisione di primo grado, con le
integrazioni strettamente necessarie (in realtà contenute proprio per la ridotta novità dei
motivi di appello rispetto alle tesi esaminate dal tribunale). Deve osservarsi a riguardo che il
ricorrente, sotto il profilo del vizio di motivazione, tenta in realtà di sottoporre a questa Corte
un giudizio di merito, non consentito anche dopo la modifica normativa dell’articolo 606 cod.

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criminosa unitaria.

proc. pen. lett. e), di cui alla legge 20 febbraio 2006 n. 46, che ha lasciato inalterata la natura
del controllo demandato alla corte di Cassazione, che può essere solo di legittimità e non può
estendersi ad una valutazione di merito. Al giudice di legittimità resta tuttora preclusa – in sede
di controllo della motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei
fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o

4.1. Nel caso di specie, l’affermazione di responsabilità è stata ancorata ad una ricostruzione
(v. sent. di primo grado pagg. 4/5 ove è stato fatto riferimento, fra l’ altro, alla circostanza che
lo Zangaro era stato sorpreso insieme all’ altro coimputato11′ atto di vendere parti di un
furgone rubato e che ha utilizzato il capannone sede dei traffici illeciti) che regge al vaglio di
legittimità. Le relative censure sono, invero, meramente reiterative rispetto a quelle dedotte
nel giudizio di appello vanno tutte ritenute manifestamente infondate in quanto la motivazione
addotta dalla Corte territoriale non è né carente, né manifestamente illogica e, quindi, non
censurabile in questa sede di legittimità.

4. Per le considerazioni esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla
declaratoria d’inammissibilità consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore
della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal
ricorso, si determina equitativamente in Euro millecinquecento.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
ed al versamento della somma di millecinquecento euro alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 18 Novembre 2016

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