Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17796 del 11/04/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 17796 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: MACCHIA ALBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FAVARA GIANLUCA N. IL 07/05/1967
avverso l’ordinanza n. 1203/2012 TRIB. LIBERTA’ di REGGIO
CALABRIA, del 22/04/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALBERTO MACCHIA;
19e/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 11/04/2014

OSSERVA

Con ordinanza del 22 aprile 2013, il Tribunale di Reggo Calabria ha respinto
l’appello proposto nell’interesse di FAVARA Gianluca Ciro Domenico avverso
l’ordinanza emessa il 29 novembre 2012 dal locale Giudice per le indagini
preliminari con la quale era stata rigettata la richiesta di dichiarare la inefficacia della
custodia cautelare in relazione alle contestazioni oggetto del provvedimento
custodiale per intervenuta decorrenza dei termini di cui all’art. 303, comma 1, lettera
a), n. 3), cod. proc. pen., in virtù della operatività del principio della retrodatazione di
cui all’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. Deduceva in particolare il Tribunale che
nella specie si verteva nella ipotesi di distinti procedimenti nell’ambito dei quali
erano intervenute ordinanze custodiali per fatti diversi, non collegati fra loro da
connessione qualificata, e commessi anteriormente alla emissione della prima
ordinanza. L’istituto della retrodatazione potrebbe dunque ritenersi operante solo ove
fosse accertato che gli elementi su cui si era fondata la seconda ordinanza fossero già
desumibili dagli atti al momento della adozione della prima ordinanza e che la
separazione dei procedimenti, pendenti davanti alla stessa autorità giudiziaria, fosse
stato frutto di una scelta del pubblico ministero. Presupposti, quelli indicati, che nel
caso di specie i giudici del riesame ritenevano insussistenti.
Propone ricorso per cassazione il difensore, il quale deduce la violazione
dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. Sottolinea il difensore che nella vicenda in
esame era stata sollecitata la retrodatazione sul presupposto della sussistenza della
connessione qualificata, con la conseguenza che il profilo della desumibilità dagli
atti, evocato impropriamente dai giudici a quibus, si riferisce soltanto alla ipotesi in
cui i fatti risultassero acquisiti in epoca anteriore al rinvio a giudizio in relazione al
primo procedimento. Si contesta poi la pertinenza del riferimento alla data in cui è
stata effettuata la richiesta di misura coercitiva giacchè ciò che rileva è soltanto il
requisito della desumibilità al momento della adozione della misura. Si nega poi la
fondatezza dei rilievi svolti in merito alla negazione del requisito della connessione
qualificata, non potendosi condividere la congruità dei rilievi svolti a proposito della
diversità dei sodalizi criminosi, rievocandosi gli arresti di questa Corte in tema di
continuazione tra fattispecie associativa e reati-fine. In sostanza, i giudici del
gravame avrebbero omesso di motivare sulle ragioni per la quali in concreto il nesso
della continuazione non si sarebbe potuto ravvisare, tenuto conto della obiettiva
omogeneità fra le condotte poste in comparazione.
Il ricorso non è fondato. Questa Corte ha infatti avuto modo di sottolineare
come in tema di cosiddetta “contestazione a catena”, l’accertamento dell’esistenza
della connessione qualificata costituisca apprezzamento riservato, quanto alla
valutazione del materiale probatorio o indiziario, al giudice di merito che deve
adeguatamente e logicamente motivare il proprio convincimento. (La Corte ha anche
osservato che la valutazione circa la “desumibilità dagli atti” compete al giudice di
merito, perché richiede l’esame e la valutazione degli atti ed una ricostruzione dei ,/
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fatti, attività precluse al giudice di legittimità). (Sez. 4, n. 9990 del 18/01/2010 – dep.
11/03/2010, Napolitano, Rv. 246798). Il che sta a significare che la correlazione fra le
regiudicande cautelari deve presentare un risalto tale da porsi in termini di
“autoevidenza” contestativa, non diversamente da ciò che avrebbe potuto giustificare
la elevazione di un’unica imputazione già ab origine contrassegnata dai connotati del
roncorso formale o della continuazione o di quelli del nesso teleologico di cui all’art.
12, comma 1, lettere b) e c). E’ solo in riferimento a tale “qualità” intrinseca che
correla fra loro i fatti-reato che può giustificarsi quella sorta di “presunzione
assoluta” di contestazione cumulativa, postulata dall’art. 297, comma 3, cod. proc.
pen., ed in ragione della quale, per ciascuno di quei fatti, la custodia — prima del
rinvio a giudizio — è comunque fatta decorrere dal primo provvedimento custodiale,
secondo una scelta opinabile, ma che si è reputata costituzionalmente compatibile,
proprio (e soltanto) in ragione di una precisa opzione legislativa volta a ricondurre «il
sistema all’interno di un alveo contrassegnato da garanzie di obiettività e, dunque, di
effettivo rispetto del principio di uguaglianza» (Corte cost., sentenza n. 89 del 1996).
La connessione qualificata deve quindi risultare, sin dall’esordio contestativo,
“a chiare tinte,” e non può dunque atteggiarsi — come mostra di ritenere il ricorrente —
alla stregua di parametro di “ambigua riconoscibilità”, giacchè, ove così fosse, la
indifferenza che l’ordinamento mostra rispetto alla stessa effettiva “conoscenza” dei
fatti connessi da parte della autorità giudiziaria, risulterebbe un dato di ineludibile
distonia e, stavolta, seriamente in frizione con lo stesso principio di ragionevolezza,
già oggetto di scrutinio da parte del Giudice delle leggi.
A proposito, poi, del requisito relativo alla desumibilità dagli atti, nella
prospettiva additata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 408 del 2005, va
rilevato che la giurisprudenza di questa Corte non ha mancato i sottolineare come, in
tema di retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, la nozione
di anteriore “desumibilità” delle fonti indiziarie, poste a fondamento dell’ordinanza
cautelare successiva dagli atti inerenti la prima ordinanza cautelare, non va confusa
con quella di semplice “conoscenza” o “conoscibilità” di determinate evenienze
fattuali, ma si individua nella condizione di conoscenza, da un determinato
compendio documentale o dichiarativo, degli elementi relativi ad un determinato
fatto-reato che abbiano una specifica “significanza processuale”. (In applicazione del
principio, è stata esclusa la “desumibilità” allo stato degli atti quando, al momento
dell’emissione della prima ordinanza, non era stata ancora depositata al P.M.
un’informativa relativa a pregresse indagini sostanziatesi anche in intercettazioni,
sulla base della quale è stata formulata la richiesta del successivo provvedimento).
(Sez. 6, n. 11807 del 11/02/2013 – dep. 12/03/2013, Paladini, Rv. 255722). Il
presupposto normativo, correlato alla necessità di impedire l’artificiosa diluizione
temporale dei titoli custodiali, non si salda, dunque, ad una generica possibilità
“individuativa” del fatto reato ulteriore rispetto a quello oggetto di contestazione
cautelare, ma si giustifica in funzione di una concreta “adottabilità” della misura
anche per quel fatto, secondo un accertamento “ora per allora” che il giudice è
chiamato ad effettuare alla stregua di parametri di apprezzamento obiettivi, e,

P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Si
provveda a norma dell’art. 94, comma 1-ter,, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, 1’11 aprile 2014
Il Consi

re estensore

Il Presidente

dunque, anche in questo caso, di sostanziale “evidenza.” La nebulosità o la
opinabilità del quadro indiziario, preclude, quindi, il ricorso al meccanismo della
retrodatazione, giacchè i presupposti di questa devono necessariamente coincidere
con i presupposti per l’adozione di una misura unica per tutti i fatti concretamente
contestabili in sede cautelare. Ove così non fosse, infatti, il giudice della
“retrodatazione” eluderebbe, per un titolo custodiale (quello per il quale opera la
retrodatazione) il presupposto della gravità indiziaria, cui invece è tenuto il giudice
chiamato ad adottare la misura.
Ebbene, nella specie i giudici a quibus hanno puntualmente esaminato
entrambi i profili accennati pervenendo, con motivazione del tutto esauriente e logica,
ad escludere tanto la sussistenza della connessione qualitificata, che il presupposto
della desumibilità dagli atti. Sul primo versante, infatti, la ordinanza ha osservato
come, alla luce degli stesi capi di imputazione, emergeva come l’indagato non avesse
agevolato sempre lo stesso sodalizio ma cosche diverse, riguardanti, per una
ordinanza, l’attività svolta in riferimento alle cosche Pesce e Bellocco nella zona di
Rosarno ed a quelle Buda Imerti e Alvaro nella zona di Villa San Giovanni e Reggio
Calabria, e per l’altra ordinanza alle cosche Condello, Tegano e Libri. A proposito,
poi, della non desumibilità dagli atti, i giudici del gravame hanno evocato il dato
temporale della prima richiesta di misura cautelare formulata dal pubblico ministero,
per desumere — con coerenza di argomenti — la assenza di elementi denotativi una
conoscenza di fatti successivamente emersi e di scelte artificiose in ordine alla
separazione dei procedimenti.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

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