Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1779 del 12/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 1779 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RECUPERO SALVATORE N. IL 10/03/1953
avverso l’ordinanza n. 51/2011 CORTE APPELLO di CATANIA, del
01/02/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO;
lette/spitite le conclusioni del PG Dott. AL° o POL I CA •
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Data Udienza: 12/12/2013

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza in data 1 febbraio 2012 la Corte d’appello di Catania
rigettava l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione formulata nell’interesse
di Recupero Salvatore.
Questi, tratto in arresto il 14/5/2008 in esecuzione di ordinanza di custodia
cautelare in carcere emessa dal Giudice per le indagini preliminari presso il
Tribunale di Catania per il delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen. contestato fino

con sentenza ampiamente assolutoria della Corte distrettuale emessa il
9/7/2010, divenuta irrevocabile il 23/11/2010.
Secondo il giudice della riparazione è ravvisabile la condizione ostativa al
riconoscimento del chiesto indennizzo di cui all’art. 314 comma 1 cod. proc. pen.
per essere sussistenti al momento in cui fu applicata la misura, in relazione al
fatto reato contestato, gravi indizi di colpevolezza cui l’imputato aveva dato
causa per dolo o quanto meno per colpa grave.
Premesso che il richiedente è già stato condannato per il medesimo delitto
relativamente al periodo che va fino al luglio 1998 ed è stato detenuto dal marzo
1998 al settembre 2006 e che la pronuncia assolutoria si fonda sulla carenza di
elementi probatori in ordine alla partecipazione del Recupero all’associazione
mafiosa anche durante la sua permanenza in carcere, osserva la corte territoriale
che dagli elementi di prova acquisiti nel corso del processo e in particolare dalle
dichiarazioni dei collaboratori di giustizia è emerso che il Recupero continuava a
percepire lo “stipendio” anche durante il periodo della sua detenzione: veniva
cioè sovvenzionato con i proventi del clan di appartenenza che provvedevano
anche alla moglie.
Rileva al riguardo che «se le superiori dichiarazioni sono state ritenute
inidonee a fondare un giudizio di responsabilità per la carenza di riscontri,
tuttavia del loro contenuto non può non tenersi conto al fine di valutare la
condotta del richiedente».
Convergente rilievo assegna anche agli esiti di servizi di osservazione e
controllo, nel corso dei quali «l’istante è stato visto in molteplici occasioni nel
periodo immediatamente successivo alla precedente scarcerazione, con
frequenza e assiduità, in compagnia di soggetti affiliati al gruppo mafioso Pii/era
di cui lo stesso aveva già fatto parte», precisando che «si registrano in tutto ben
21 incontri nel periodo 16 ottobre 2006/15 gennaio 2007».

2. Avverso questa decisione il Recupero propone, per mezzo del proprio
difensore, ricorso per cassazione deducendo erronea applicazione dell’art. 314

al giugno 2006, dopo oltre due anni era assolto per non avere commesso il fatto

cod. proc. pen. e vizio di motivazione.
Assume, in sintesi, che i due elementi valorizzati dal giudice della
riparazione non potevano considerarsi in realtà idonei a comprovare la
sussistenza di condotte ostative al riconoscimento del chiesto indennizzo: il
primo, dichiarazioni dei collaboranti, in quanto già ritenuto inidoneo in sede
penale a supportare il giudizio di colpevolezza; il secondo, frequentazioni
riscontrate con persone affiliati al clan, in quanto relativo al periodo successivo al

3. Il P.G. ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Il Ministero della giustizia, costituendosi per ministero dell’avvocatura, ha
chiesto il rigetto del ricorso.

Considerato in diritto

4. Il ricorso è infondato.

4.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di
riparazione per ingiusta detenzione, al giudice del merito spetta, anzitutto, di
verificare se chi l’ha patita vi abbia dato causa, ovvero vi abbia concorso, con
dolo o colpa grave.
Tale condizione, ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, deve
manifestarsi attraverso comportamenti concreti, precisamente individuati, che il
giudice di merito è tenuto ad apprezzare, in modo autonomo e completo, al fine
di stabilire, con valutazione ex ante, non se essi abbiano rilevanza penale, ma
solo se si siano posti come fattore condizionante rispetto all’emissione del
provvedimento di custodia cautelare.
A tal fine, egli deve prendere in esame tutti gli elementi probatori disponibili,
relativi alla condotta del soggetto, sia precedente che successiva alla perdita
della libertà, allo scopo di stabilire se tale condotta abbia determinato, ovvero
anche solo contribuito a determinare, la formazione di un quadro indiziario che
ha indotto all’adozione o alla conferma del provvedimento restrittivo.
In tale operazione il giudice della riparazione, come ripetutamente precisato
da questa Corte, ha certamente il potere/dovere di procedere ad autonoma
valutazione delle risultanze e di pervenire, eventualmente, a conclusioni
divergenti da quelle assunte dal giudice penale, nel senso che circostanze
oggettive accertate in sede penale, o le stesse dichiarazioni difensive
dell’imputato, valutate dal giudice della cognizione come semplici elementi di
sospetto, ed in quanto tali insufficienti a legittimare una pronuncia di condanna,

fatto reato ipotizzato a fondamento dell’ingiusta cautela.

ben potrebbero essere considerate dal giudice della riparazione idonee ad
integrare la colpa grave ostativa al diritto all’equa riparazione.
Ciò con l’unico limite per cui, in sede di riparazione per ingiusta detenzione,
giammai può essere attribuita decisiva importanza, considerandole ostative al
diritto all’indennizzo, a condotte escluse dal giudice penale o a circostanze
relative alla condotta addebitata all’imputato con il capo di imputazione in ordine
alle quali sia stata riconosciuta l’estraneità dell’imputato stesso con la sentenza
di assoluzione (senza che possa avere rilievo se dalla sentenza emerga la prova

contraddittorietà della prova: sul punto, Sez. 4, n. 1573 del 18/12/1993 – dep.
19/05/1994, Tinacci, Rv. 198491).

4.2. Nel caso di specie la Corte d’Appello di Catania, giudice della
riparazione, si è conformata a tali criteri.
Diversamente da quanto ritenuto dal P.G., invero, appare corretta su di un
piano logico la valorizzazione, quale elemento di sospetto, riconducibile a
condotta consapevole e volontaria dell’indagato, della circostanza, validamente
acquisita al processo, del ricevimento da parte dell’odierno ricorrente di somme
di denaro nel corso della sua detenzione: se è vero che in sede penale se ne è
affermata l’insufficienza probatoria, rispetto agli obiettivi propri di quel giudizio,
in mancanza di conferme istruttorie relative sia alla causale di quelle erogazioni
che alla loro stessa provenienza (ma non anche rispetto al loro effettivo
verificarsi, che viene considerato accertato), è anche vero però che, proprio la
carenza (certamente sussistente al momento della decisione cautelare, ma per
vero rimasta anche successivamente) di prove anche di opposto segno (che
rendessero cioè evidente la provenienza o la causale lecita di quelle erogazioni)
legittimava – unitamente ai precedenti del prevenuto – il sospetto che si
trattasse di erogazioni giustificate proprio dal pregresso (e in ipotesi
permanente) vincolo associativo.
Nella stessa prospettiva, non appare nemmeno manifestamente illogica la
considerazione delle emergenze processuali attestanti una fitta e assidua
frequentazione da parte del richiedente, nel periodo immediatamente successivo
alla precedente scarcerazione, di soggetti affiliati all’organizzazione criminale di
stampo mafioso di cui egli era stata accertato far parte in precedenza.
Se è vero, infatti, che le assidue frequentazioni accertate con altri affiliati
.

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n sa150 a epoca successiva a quella del commesso reato, è pur vero però che per
nulla implausibilmente la Corte territoriale, considerati il loro numero e la
frequenza in un ristretto periodo temporale (16 ottobre 2006 – 15 gennaio 2007)
?

e considerato il loro accertamento

«immediatamente successivo» alla

positiva di non colpevolezza o piuttosto soltanto l’insufficienza o la

scarcerazione, ne trae la logica inferenza che il Recupero non abbia «affatto
interrotto i suoi rapporti con il contesto di criminalità organizzata» nemmeno nel
periodo di detenzione cui si riferiva il titolo custodiale, apparendo certamente
improbabile che un dato di quella consistenza potesse spiegarsi in presenza di
una pregressa interruzione dei contatti.

3. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del

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P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali oltre alla rifusione delle spese in favore del Ministero resistente che
liquida in euro 750,00.
Così deciso il 12/12/2013

ricorrente al pagamento delle spese processuali k 02.£0

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