Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17770 del 11/01/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 17770 Anno 2018
Presidente: DI STEFANO PIERLUIGI
Relatore: D’ARCANGELO FABRIZIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da

Procuratore generale presso la Corte di appello di Milano
e dalla parte civile Cico Carla, nata a Verona il 21/02/1961

nel procedimento a carico di:
Tronchetti Provera Marco, nato a Milano il 18/01/1948

avverso la sentenza del 09/02/2017 della Corte di appello di Milano

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Fabrizio D’Arcangelo;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Gianluigi Pratola, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio
della sentenza impugnata;
udito il difensore della parte civile Carla Cico, avv. Lucio Lucia, che ha chiesto
l’accoglimento del proprio ricorso;

Data Udienza: 11/01/2018

udito il difensore dell’imputato, avv. Marco Deluca, che ha chiesto la declaratoria
di inammissibilità ed, in subordine, il rigetto di entrambi i ricorsi;

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Milano, giudicando in
sede di rinvio disposto dalla sentenza n. 21596/16 emessa in data 18 febbraio
2016 dalla Seconda Sezione della Corte di Cassazione, ha assolto l’imputato

fatto non costituisce reato, revocando, al contempo, le statuizioni emesse in
primo grado in favore delle parti civili.

2. Marco Tronchetti Provera, all’epoca presidente di Telecom Italia S.p.a., è
imputato del delitto di cui all’art. 648 cod. pen., commesso in Milano, in data
anteriore e prossima al 27 settembre 2004, per avere, al fine di trarne profitto,
consapevolmente ricevuto fi/es e dati, dapprima intercettati e di seguito carpiti
dai sistemi informatici della agenzia investigativa Kroll, della cui natura era stato
messo specificamente a conoscenza da Giuliano Tavaroli, all’epoca responsabile
della Funzione Security del Gruppo Telecom Italia.
In particolare il Tavaroli, dopo aver memorizzato in un CD i dati
illegittimamente carpiti, che costituiva il provento del delitto di cui all’art. 615-ter
cod. pen., aveva provveduto, previo specifico accordo con il Tronchetti Provera e
dietro suo specifico consenso, espresso in una riunione alla presenza degli
avvocati Francesco Chiappetta e Francesco Mucciarelli, a spedirlo, in forma
anonima, alla segreteria dell’imputato, che, di seguito, lo aveva fatto pervenire
alla Security di Telecom, al fine di legittimarne la successiva utilizzazione.

3. Il Tribunale di Milano, con sentenza emessa in data 17 luglio 2013,
aveva condannato il Tronchetti Provera per il predetto delitto, concesse le
circostanze attenuanti generiche, alla pena sospesa di un anno ed otto mesi di
reclusione ed euro 2.000,00 di multa, al pagamento delle spese processuali ed al
risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, nei confronti delle parti
civili costituite Telecom Italia S.p.a., Carla Cico, all’epoca amministratore
delegato di Brasil Telecom, Daniel Dantas, socio di riferimento del Gruppo
Opportunity, e Banco Opportunity.

4. In seguito ad appello interposto dall’imputato che, peraltro, aveva
rinunziato alla prescrizione medio tempore perfezionatasi, la Corte di appello di
Milano, con sentenza n. 7951/13 emessa in data 11 giugno 2015, in riforma

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Marco Tronchetti Provera dal delitto di ricettazione al medesimo ascritto perché il

integrale della sentenza di primo grado, ha assolto Marco Tronchetti Provera
perché il fatto non costituisce reato per carenza del dolo specifico di profitto.
La Corte di appello aveva, infatti, ritenuto che la acquisizione del materiale
informatico provento del delitto di cui art. 615-ter cod. pen. fosse stata posta in
essere dall’imputato per finalità meramente “difensive”, in seguito alla
intervenuta conoscenza di una attività di acquisizione di informazioni aventi
carattere diffamatorio e, comunque, pregiudizievole per la propria persona, i
propri familiari e Telecom Italia S.p.a., posta in essere dalla agenzia

Il fine di presentare una denuncia per i reati dei quali i dati informatici
costituivano una prova non poteva, pertanto, integrare quello di procurare a sé o
ad altri un profitto.
5. La Seconda Sezione della Corte di Cassazione, con sentenza n. 21596
del 2016 emessa in data 18 febbraio 2016, rigettando il ricorso proposto
dall’imputato al fine di ottenere una più favorevole formula assolutoria ed in
accoglimento dei ricorsi presentati dal Procuratore Generale presso la Corte di
appello di Milano e dalla parte civile costituita Carla Cico, ha annullato la
sentenza impugnata, disponendo il rinvio ad altra sezione della Corte di appello
di Milano per nuovo giudizio.
La finalità difensiva della condotta dell’imputato non elideva, infatti, la
sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di ricettazione, atteso che “ai fini
della configurabilità del dolo specifico di profitto che concorre a connotare il
delitto di ricettazione, non è necessaria l’ingiustizia del profitto perseguito
dall’agente”.

6. La Corte di appello di Milano, nella sentenza impugnata, deliberando in
sede di rinvio, ha assolto il Tronchetti Provera perché il fatto non costituisce
reato, in quanto dagli atti non emergeva in alcun modo una finalizzazione
dell’acquisto del bene di illecita provenienza diversa da quella di denuncia difatti
commessi ai danni propri, della propria famiglia o della società dal medesimo
presieduta.
La Corte di appello ha ritenuto, pertanto, comprovata una finalità
prettamente difensiva della condotta dell’imputato e, pertanto, d’ufficio ha
ritenuto sussistente la operatività della scriminante della legittima difesa, quanto
meno nella forma putativa.
Il Tavaroli, responsabile della funzione Security del gruppo Telecom Italia,
aveva, infatti, prospettato al Tronchetti Provera la realizzazione di un’azione
intrusiva da parte dell’agenzia investigativa Kroll nei confronti propri e della

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investigativa Kroll su incarico di concorrenti di Telecom Italia.

propria famiglia, allo scopo di danneggiare Telecom Italia, e l’imputato aveva
manifestato la volontà di acquisire il CD provento di hackeraggio al solo fine di
poterlo utilizzare a tutela dell’azienda, sporgendo denuncia.

7.

Ricorrono avverso tale sentenza e ne chiedono l’annullamento il

Procuratore Generale presso la Corte di appello di Milano e la parte civile
costituita Carla Cico.

motivi di ricorso.
Con il primo si duole della violazione dell’art. 627, comma 3, cod. proc.
pen., in quanto il giudice di rinvio, invece di uniformarsi alla sentenza della Corte
di Cassazione per ciò che concerne ogni questione di diritto con essa decisa,
aveva violato tali principi, in quanto l’esistenza del dolo specifico di profitto è
incompatibile con lo scopo di difendere un diritto e lo esclude.
Con il secondo motivo il Procuratore generale ricorrente lamenta la
violazione dell’art. 52 cod. pen., la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta
illogicità della motivazione sul punto ed il travisamento del fatto.

9. L’avv. Lucio Lucia, difensore della parte civile costituita Carla Cico,
deduce quattro motivi e, segnatamente:
– la inosservanza della disposizione dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen.,
in quanto la Corte di appello di Milano, quale giudice di rinvio, non si era
uniformata alle questioni di diritto decise dalla Corte di Cassazione nella
sentenza di annullamento e, segnatamente, nel pronunciare la declaratoria di
non punibilità ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., aveva posto in essere un
aggiramento delle stesse;
– la inosservanza e la erronea applicazione dell’art. 52, comma 1, cod.
pen., il vizio di illogicità della motivazione e di travisamento della prova sul
punto;
– il travisamento della prova, la insussistenza dell’esclusivo fine difensivo in
capo all’imputo e la mancanza, la contraddittorietà e la illogicità della
motivazione sul punto;
– la mancanza e la illogicità della motivazione, con riferimento alla parte
finale del paragrafo 3.5 della sentenza impugnata, in quanto lo scopo
prettamente difensivo della condotta era stato riferito alla attività di captazione
illecita dei dati dai sistemi informatici della Kroll e non già al delitto di
ricettazione.

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8. Il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Milano deduce due

10. In data 22 dicembre 2017 l’avv. Lucio Lucia ha depositato motivi
aggiunti, deducendo:

la inosservanza del dovere di uniformazione al

dictum del giudice

rimettente ai sensi degli artt. 627, comma 3, e 628, comma 2, cod. proc. pen.,
in quanto la Corte di appello di Milano, pur dichiarando di volersi conformare al
principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione, aveva posto in essere una
sostanziale deviazione dal decisum della stessa, statuendo la legittimità di una
condotta già esclusa dalla sentenza di annullamento;

prova rispetto a quanto dichiarato dallo stesso imputato nella memoria difensiva
depositata alla udienza dibattimentale del 18 marzo 2014 (all. 14 del ricorso) e
la insussistenza della legittima difesa, in quanto l’imputato non aveva riferito di
una azione materiale che consentisse di far cessare o di neutralizzare, nella
immediatezza, l’offesa ingiusta, ma aveva prospettato una azione difensiva che
avrebbe inteso attuare attraverso il mezzo tecnico della denuncia;
– la inosservanza o l’erronea applicazione dell’art. 52 cod. pen., in quanto
la scriminante della legittima difesa era stata applicata ad una situazione fattuale
del tutto difforme da quella contemplata dal codice penale, stante la assoluta
mancanza di contestualità tra offesa e reazione difensiva e la inadeguatezza
dell’azione a contrastare il pericolo asseritamente in atto o imminente.

11. In data 22 gennaio 2017 l’avv. Marco Deluca, nell’interesse
dell’imputato, ha presentato una memoria difensiva nella quale ha rilevato:
– con riferimento al primo motivo del Procuratore Generale e sul primo
motivo della parte civile, che la Corte di appello di Milano non aveva esorbitato i
limiti cognitori del giudizio di rinvio, in quanto il principio affermato dalla Corte di
Cassazione riguardava esclusivamente la portata semantica della nozione di
profitto ed il tema della cause di giustificazione era stato ritenuto dalla stessa
Corte “logicamente successivo” rispetto alle statuizioni adottate in punto di
elemento soggettivo;

con riferimento alla violazione dell’art. 52 cod. pen. dedotta dal

Procuratore generale e dalla parte civile Carla Cico nel secondo motivo dei
rispettivi ricorsi, che sussisteva sia l’attualità della offesa che la necessità della
reazione difensiva, in quanto la attività di intrusione posta in essere dalla Kroll,
per quanto emerso nella predetta riunione, era un progetto già in fase di
attuazione e non vi era agli atti la minima traccia di una pregressa o contestuale
aggressività del Tronchetti Provera nei confronti della Kroll o dei suoi mandanti.
La reazione difensiva era, inoltre, necessitata, in quanto al momento vi era
solo la certezza di comportamenti illeciti ed aggressivi rivolti contro lo stesso

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– la manifesta illogicità della sentenza impugnata ed il travisamento della

Tronchetti Provera, la moglie e le società al medesimo riferibili; in tale contesto,
una generica denuncia, priva di contorni fattuali e di supporto documentale,
necessitando di attività investigativa che, peraltro, avrebbe dovuto essere svolta
per via rogatoriale, non avrebbe consentito alcuna attività utile ad eliminare il
pericolo.
L’utilizzo del materiale in discussione ai fini di tutela giudiziale era, inoltre,
per definizione, proporzionato all’attività aggressiva in atto.
– con riferimento al travisamento della prova dedotto dalla parte civile con

concordi nell’affermare che l’unico utilizzo del CD autorizzato dal Tronchetti era
costituito dall’invio dello stesso alla magistratura, senza coinvolgimenti di
interessi di Telecom.
Parimenti nessun travisamento della prova era ravvisabile in ordine alla
mancata presentazione della denuncia, in quanto la stessa costituiva pur sempre
un post factum e non può essere contestato al Tronchetti Provera la mancata
esecuzione di quanto dal medesimo deliberato e disposto.
I ricorrenti, pertanto, avevano riproposto sub specie di travisamento del
fatto doglianze che si rivelavano inammissibili prima ancora che infondate.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Entrambi i ricorsi sono fondati, e, pertanto, devono essere accolti, nei

limiti che di seguito si precisano.

2. Sia il Procuratore generale presso la Corte di appello di Milano che la
parte civile Claudia Cico con il primo motivo di ricorso hanno dedotto la
violazione dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen. e, pertanto, tali censure
possono essere esaminate congiuntamente.
2.1. Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Milano deduce che
la sentenza impugnata ha violato il principio secondo il quale il giudice di rinvio
deve uniformarsi alla sentenza della Corte di Cassazione per ciò che concerne
ogni questione di diritto con essa decisa e, pertanto, illegittima si rivelava la
assoluzione dell’imputato, disposta ai sensi dell’art. 129, comma 1, cod. proc.
pen., sulla base degli stessi presupposti di fatto già sottoposti al vaglio del
giudice di legittimità.
Il principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione consisteva, infatti,
proprio nell’invitare il giudice del rinvio a valutare solo la “connotazione” del
profitto, senza mettere in discussione l’esistenza dello stesso.

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il terzo motivo, che i testimoni Tavaroli, Mucciarelli e Chiappetta erano stati

La Corte di appello di Milano, tuttavia, con la sentenza impugnata si era
posta in contraddizione con la sentenza della Corte di Cassazione, in quanto
l’esistenza del dolo specifico di profitto è incompatibile con lo scopo di difendere
un diritto e lo esclude.

2.2. La parte civile ricorrente rileva che la Corte di appello di Milano, quale
giudice di rinvio, non si è uniformata alle questioni di diritto decise dalla Corte di
Cassazione nella sentenza di annullamento e, pertanto, nel procedere alla

ha violato l’art. 627, comma 3, cod. proc. pen. e la preclusione del giudicato
implicito.
La Corte di appello di Milano, infatti, contraddittoriamente aveva dichiarato
di uniformarsi al principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione, per poi
discostarsene, in quanto lo stesso dato fattuale era stato considerato in termini
diametralmente opposti dalla Corte di Cassazione e dal giudice di rinvio.
Mentre la Corte di Cassazione aveva stabilito definitivamente
l’antigiuridicità della condotta, anche qualora fosse stata connotata dal fine
asseritamente autodifensivo dell’imputato, essendo lo stesso irrilevante ai fini
della sussistenza del dolo specifico, il giudice di rinvio, disattendendo tale
decisione, aveva attribuito al medesimo fine autodifensivo addirittura una
valenza esimente.
La Corte di Cassazione, inoltre, nell’affermare il principio di diritto relativo
al dolo specifico, aveva statuito l’assorbimento degli ulteriori motivi di ricorso che
contestavano il fine esclusivamente autodifensivo dell’imputato, nonché la
sussistenza della causa di giustificazione dell’esercizio del diritto.

2.3. Tali censure si rivelano, tuttavia, infondate e devono essere disattese.
In sede di rinvio il giudice deve attenersi al principio affermato nella
sentenza di annullamento dalla Corte di Cassazione; ne deriva che non può
assolvere l’imputato ai sensi dell’art. 129, primo comma, cod. proc. pen., sugli
stessi presupposti di fatto già vagliati dalla Corte di cassazione: se infatti il
giudice di legittimità non ha proceduto al proscioglimento in base a tale norma,
ma, annullando con rinvio, ha imposto un nuovo giudizio, ogni questione al
riguardo è travolta dal giudicato (Sez. 2, n. 1210 del 23/10/1996, Perruzza, Rv.
207119).
Il giudice del rinvio non può, pertanto, dichiarare l’esistenza di una causa di
giustificazione non rilevata nei precedenti gradi del giudizio e non dedotta
neppure con il ricorso per cassazione (Sez. 1, n. 15552 del 17/02/2009, Cristina,
Rv. 243915).

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declaratoria di non punibilità dell’imputato, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.,

La violazione dell’art. 627 cod. proc. pen. deve, tuttavia, essere acclarata
in base alle specifiche statuizioni della sentenza che ha enunciato il principio di
diritto ed, in particolare, il principio di diritto deve essere desunto dalla parte
argomentativa della sentenza rescindente e va circoscritto alle enunciazioni che
ne rappresentano la ratio decidendí (Sez. 2, n. 19666 del 27/03/2014, Ambrosio,
non massimata sul punto).
Nella specie, alla stregua di tali canoni interpretativi, deve rilevarsi come il
giudice di rinvio non abbia esorbitato i limiti della cognizione al medesimo

2.4. La Seconda Sezione della Corte di Cassazione nella sentenza n. 21596 del
2016 emessa in data 18 febbraio 2016, nell’annullare con rinvio la sentenza
emessa dalla Corte di appello di Milano in data 24 luglio 2015, ha enunciato due
distinti principi di diritto.
Il primo principio di diritto è stato affermato in ordine alle forme della
acquisizione in appello delle dichiarazioni rese dopo la sentenza di primo grado
dai testimoni avv. Francesco Chiappetta ed avv. Francesco Mucciarelli (“il diritto

del difensore di svolgere indagini difensive, pur esercitabile in ogni stato e grado
del procedimento, deve, tuttavia, essere coordinato, affinché i risultati di dette
indagini possano trovare ingresso nel processo, con i criteri ed i limiti
specificamente previsti dal codice per la formazione della prova, nel caso di
specie, con riferimento al giudizio d’appello”).
Con specifico riferimento all’elemento soggettivo del delitto di ricettazione,
inoltre, la Seconda Sezione ha enunciato un secondo principio di diritto,
statuendo che “ai fini della configurabilità del dolo specifico di profitto che

concorre a connotare il delitto di ricettazione, non è necessaria l’ingiustizia del
profitto perseguito dall’agente”.
La Seconda Sezione della Corte di Cassazione ha, inoltre, espressamente
ritenuto il tema della applicazione delle cause di giustificazione come
logicamente successivo rispetto a quello della esatta definizione del dolo
specifico.
Al paragrafo 1.9 della predetta pronuncia la Corte ha, infatti, affermato che
la enunciazione dei predetti principi di diritto assorbiva “le ulteriori doglianze del

PG distrettuale e della parte civile ricorrente riguardanti punti della decisione
impugnata logicamente successivi, quanto: …alla censura configurabilità della
causa di giustificazione di cui all’art. 51 cod. pen., sub specie di esercizio del
diritto”.
La Corte di appello di Milano nella sentenza impugnata, del resto, ha
reiteratamente evidenziato come il tema della applicabilità delle cause di

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riservati.

giustificazione non fosse precluso dai principi enunciati dalla Corte di Cassazione,
“in quanto considerato logicamente successivo”.

2.5. D’altra parte, nel caso in cui la Corte di cassazione accolga alcuni
motivi di ricorso, dichiarando assorbiti gli altri, il giudice del rinvio è tenuto a
riesaminare e a decidere senza alcun vincolo le questioni oggetto dei motivi
assorbiti, purché queste siano state ritualmente devolute alla cognizione del
giudice di secondo grado attraverso i motivi di appello (Sez. 5, n. 39786 del

Viola, infatti, le regole processuali il giudice d’appello che, nel giudizio di
rinvio a seguito di annullamento da parte della cassazione, equipari le eccezioni
ritenute assorbite dalla Corte in sede di annullamento con rinvio (perché
secondarie rispetto ad un macroscopico ed assorbente vizio logico della
motivazione che ne aveva travolto la validità, rendendo superfluo l’esame degli
aspetti secondari), al rigetto delle medesime doglianze e, muovendo da tale
errato assunto, si esima in sede di rinvio dal prendere in considerazione e dal
motivare adeguatamente sul loro rigetto

(ex plurimis:

Sez. 5, n. 2638 del

21/01/1997, Ficarra, Rv. 207892).
Alla dichiarazione di assorbimento del motivo – non prevista dal codice tra
le statuizioni del giudice – deve, infatti, attribuirsi il significato che la questione
che forma oggetto del motivo non è stata decisa ma demandata, senza alcun
vincolo, all’esame del giudice di rinvio, il quale è tenuto a pronunciarsi sulla
stessa.
La Corte di appello di Milano, pertanto, applicando la scriminante della
legittima difesa nel giudizio di rinvio, non ha violato il disposto dell’art. 627 cod.
proc. pen., in quanto non ha delibato un punto già definitivamente deciso dalla
Corte di Cassazione, bensì esclusivamente dichiarato assorbito.

3. Con il secondo motivo di ricorso il Procuratore generale e la parte civile
ricorrente hanno, inoltre, dedotto la violazione dell’art. 52 cod. pen. in quanto la
Corte di appello di Milano nella sentenza impugnata avrebbe erroneamente
applicato, sotto plurimi profili, la disciplina della legittima difesa. La comune
matrice concettuale di tali censure ne consente l’esame congiunto.

3.1. Il Procuratore generale presso la Corte di appello rileva criticamente
che la legittima difesa, al pari delle altre cause di non punibilità, ha carattere
eccezionale e, pertanto, può trovare applicazione esclusivamente quando siano
rigorosamente provati i suoi estremi e l’onere della prova incombe su colui che
ne richiede l’applicazione.

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11/07/2017, Zordan, Rv. 271074).

Plurime erano le violazioni di legge poste in essere dalla Corte di appello
ritenendo sussistenti i presupposti per l’applicazione di tale causa di
giustificazione: la sentenza non aveva indicato, infatti, quale fosse il diritto
dell’imputato che si riteneva oggetto di lesione o di esposizione ad un pericolo,
limitandosi a far riferimento ad una azione intrusiva della agenzia investigativa
Kroll nei confronti dell’imputato e della sua famiglia.
Difettava, inoltre, l’attualità della reazione difensiva, in quanto la
ricettazione aveva ad oggetto dati già estratti e materializzati, asseritamente

Tale reazione difensiva, inoltre, non era diretta a contrastare
immediatamente l’asserita azione lesiva, bensì solo a procurare la prova della
stessa, al fine di presentare una denuncia.
L’esercizio del diritto di difesa non può, tuttavia, consentire il ricorso a
prerogative riservate esclusivamente agli organi pubblici, quale l’accertamento
delle prove degli illeciti penali commessi.
Non può, inoltre, essere applicata la scriminante della legittima difesa nelle
situazione in cui, come nella specie, lo scontro tra due antagonisti possa essere
inserito in un quadro complessivo di sfida che ciascuna parte ha contribuito a
determinare e che, pertanto, non può assumere il carattere della inevitabilità.
Non vi era, da ultimo, proporzionalità tra l’offesa e la condotta difensiva, in
quanto il CD conteneva anche dei files riferibili a soggetti diversi da Tronchetti
Provera e che riguardavano vicende politiche e finanziarie brasiliane irrelate con
la disputa economica in atto e, pertanto, la motivazione era viziata anche da un
evidente travisamento del fatto.

3.2. La parte civile costituita Carla Cico ha dedotto la mancanza dei
presupposti della costrizione e della necessità della reazione difensiva, in quanto
la condotta contestata era finalizzata non già ad interrompere un pericolo di
aggressione attuale, ma soltanto alla proposizione di una denuncia.
La cessazione dell’aggressione non poteva, peraltro, venir meno e non
dipendeva, in modo diretto e necessario, dalla reazione posta in essere
dell’imputato
Mancava, inoltre, la attualità della offesa ingiusta e sul punto la
ricostruzione della Corte di appello si rivelava assai approssimativa e generica, in
quanto considerava quale pericolo attuale una mera eventualità futura.
Difettava, inoltre, il carattere della ingiustizia della offesa, in quanto la
Corte di appello di Milano ritenendo che la stessa fosse stata posta in essere
“eventualmente anche con mezzi illeciti”, la aveva ritenuta sussistente in termini
meramente congetturali.

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relativi alla prova di una attività intrusiva già eseguita da Kroll.

La legittima difesa è, del resto, ammessa solo quando il soggetto si trovi
nell’alternativa tra reagire o subire; ma la stessa non sussisteva nel caso di
specie, potendo l’imputato difendere il proprio e l’altrui diritto, asseritannente in
pericolo, proponendo una denuncia. Né vi sarebbe stato alcun pericolo di
incriminazione per calunnia ove l’imputato avesse esposto fedelmente i fatti
appresi dal Tavaroli e, segnatamente, che gli era stato offerto di ricevere, dietro
pagamento, files contenenti dati illecitamente acquisiti dalla Kroll ai propri danni.
Era, invece, illegittimo dichiarare falsamente alla Polizia brasiliana ed ai

anonima dal Brasile.
Il cittadino, del resto, non può essere autorizzato, al fine di proporre
denuncia, a commettere reati per valutare se il reato denunciato sussista o
meno, atteso che l’attività di ricerca della prova è riservata esclusivamente allo
Stato, attraverso l’Autorità giudiziaria e le indagini condotte dagli organi di
polizia.
La condotta scriminata, pertanto, non era necessaria e, comunque, la
denuncia non era stata mai proposta.
Illogica si rivelava, da ultimo, la motivazione della sentenza impugnata, in
quanto, atteso che i documenti ricettati erano destinati ad avvalorare la
presentazione di una denuncia, si era in presenza, invero, di una applicazione
della scriminante dell’esercizio del diritto e non già della legittima difesa.

3.3. Tali censure devono essere accolte in quanto si rivelano fondate,
indipendentemente dai profili di travisamento del fatto ulteriormente dedotti
dalle parti ricorrenti.

3.4. La vicenda oggetto del presente procedimento penale trae origine da
una aspra disputa di natura economica, risalente al 2001, che ha contrapposto
Marco Tronchetti Provera al finanziere brasiliano Daniel Dantas per l’acquisizione
del controllo di Brasil Telecom ed alla reciproca attività di spionaggio e
controspionaggio, posta in essere rispettivamente dalla agenzia Kroll,
asseritamente ingaggiata da Carla Cico, amministratore delegato di Brasil
Telecom, e da Daniel Dantas, e dalla Security di Telecom Italia, che si era
sviluppata in tale contesto.
Secondo quanto accertato dai giudici di merito, il Tronchetti Provera,
estraneo alla decisione di promuovere manovre di hackeraggio ai danni della
Kroll, in una riunione nel giugno del 2004, cui avevano partecipato solo gli avv.
Chiappetta e Mucciarelli ed il Tavaroli, aveva disposto, di acquisire il CD
contenente i dati profitto del reato di cui all’art. 615-ter cod. pen. commesso ai

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Carabinieri di Milano di aver ricevuto i dati, invero ricettati, provenienti in forma

danni della Kroll, “al solo fine di poterlo utilizzare a tutela dell’azienda,
sporgendo denuncia”.
A tal fine, pertanto, l’imputato aveva disposto di far spedire il CD, in forma
anonima, alla propria segreteria, al fine di legittimarne la utilizzazione,
simulandone una acquisizione da fonte ignota.
La Corte di appello di Milano, alla stregua di tale ricostruzione del fatto,
nella sentenza impugnata ha, pertanto, ritenuto che la condotta del Tronchetti
Provera non fosse punibile in quanto nella specie doveva ritenersi applicabile non

bensì “la diversa causa di giustificazione della legittima difesa (quanto meno
putativa)”, pur sempre applicabile di ufficio ai sensi dell’art. 129, comma 1, cod.
proc. pen.
Il quadro prospettato nel corso della predetta riunione era, infatti, “quello
della imminente (o in parte già attuata) lesione di diritti soggettivi del Tronchetti
Provera e dei suoi familiari, nell’ambito di un progetto, già in fase di attuazione,
mirante al discredito di Telecom e dei suoi principali rappresentanti, da portarsi a
termine eventualmente anche con mezzi illeciti (interferenze nei segreti aziendali
attraverso spionaggio industriale e nella vita di rappresentanti di Teleconn,
calunnie o diffamazioni nei confronti dei personaggi più in vista o dei loro
familiari)”.
Il pericolo di tali ingiuste offese era, pertanto, attuale, proprio perché
appariva certo che l’incarico conferito alla Kroll avesse avuto, quanto meno, un
inizio di esecuzione.
La difesa risultava, inoltre, proporzionata all’offesa, in quanto la pur illecita
intrusione era avvenuta per la captazione di dati riguardanti Teleconn Italia e suoi
rappresentanti, omettendo qualsiasi ricerca di dati di natura diversa.
L’azione, da ultimo, era indispensabile e, quindi, coartata, in quanto la
semplice denuncia, priva di riscontri, avrebbe potuto risolversi in un nulla di fatto
o, addirittura, in una incriminazione per calunnia, né erano in quel momento
ravvisabili diversi mezzi leciti per evitare la paventata lesione dei propri diritti.

3.5. La Corte di appello di Milano, prospettando nella sentenza impugnata
la applicazione in favore dell’imputato di una legittima difesa “quanto meno
putativa” e venata di profili di c.d. soccorso difensivo, nella parte in cui è evocata
la possibile lesione di interessi dei familiari dell’imputato, ha, tuttavia, assegnato
a tale causa di giustificazione una latitudine ignota all’art. 52 cod. pen.
La legittima difesa è, infatti, ammessa dal codice penale, solo quando il
soggetto si trovi nella alternativa tra subire o reagire; quando l’aggredito non

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già la scriminante dell’esercizio del diritto invocata dalla difesa dell’imputato,

abbia altra possibilità di sottrarsi al pericolo di una offesa ingiusta, se non
offendendo, a sua volta, l’aggressore, secondo la logica del vim vi repellere licet.
Perché una reazione difensiva possa essere considerata necessaria e,
dunque, legittima, ai sensi dell’art. 52 cod. pen., deve, pertanto, cadere
sull’aggressore ed essere, oltre che proporzionata all’offesa, idonea a
neutralizzare il pericolo attuale.
La reazione difensiva posta in essere dall’imputato, tuttavia, per quanto
accertato in fatto dalla Corte di appello di Milano, risulta irriducibile all’archetipo

condotta di ricettazione, la stessa non era rivolta, in via diretta ed immediata,
nei confronti dell’aggressore.
La condotta “difensiva” posta in essere dall’imputato si rivela, inoltre,
strutturalmente inidonea ad interrompere l’altrui offesa.
La ricezione del CD provento del delitto di cui all’art. 615-ter cod. pen., pur
finalizzata ad acquisire prove per presentare una denuncia, non poteva, infatti,
interrompere la offesa asseritamente minacciata o posta in essere dalla Kroll, né
elidere la disponibilità da parte della Kroll dei dati e dei documenti illecitamente
carpiti.
La Corte di appello di Milano ha, pertanto, ritenuto legittima difesa non già
una reazione necessitata dell’imputato, posta in essere al fine di difendere
nell’attualità il proprio o l’altrui diritto, bensì una azione, mediata ed indiretta, di
difesa del proprio diritto, da realizzarsi in un momento successivo, mediante il
ricorso alla denuncia alla autorità pubblica e, pertanto, facendo applicazione della
diversa scriminante dell’esercizio del diritto.

3.6. Per quanto accertato dalla sentenza impugnata non può, inoltre,
ritenersi sussistente la contestualità tra la reazione difensiva ed il pericolo di una
offesa ingiusta, ritenuto come già in atto o, comunque, imminente.
Difettava, infatti, anche l’attualità della reazione difensiva, in quanto la
ricettazione aveva ad oggetto dati già estratti ed incorporati in un supporto
materiale, relativi alla prova di una attività intrusiva asseritamente già eseguita
da Kroll.
La legittima difesa nella sintassi del codice penale, tuttavia, deve
necessariamente essere esercitata contro un pericolo attuale, imminente o
perdurante, e non può intervenire a reintegrare una situazione giuridica già
pregiudicata, poiché in tal caso l’offesa costituisce già un fatto compiuto e si
esula dalla fattispecie delineata dall’art. 52 cod. pen.

13

della legittima difesa, in quanto, stante il carattere accessorio e sussidiario della

4. L’accoglimento di tali censure determina l’annullamento della sentenza
impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano per nuovo
giudizio ed esime dalla delibazione delle ulteriori censure dedotte dai ricorrenti.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione
della Corte di appello di Milano.

Così deciso il 11/01/2018.

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