Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1776 del 11/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 1776 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
D’Arrigo Andrea n. il 28.4.1940
avverso l’ordinanza n. 18/2012 pronunciata dalla Corte d’appello di
Palermo il 20.7.2012;
sentita nella camera di consiglio del 11.12.2013 la relazione fatta dal
Cons. dott. Marco Dell’Utri;
lette le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del dott. V.
D’Ambrosio, che ha richiesto il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 11/12/2013

Ritenuto in fatto
i. – Con ordinanza resa in data 20.7.2012, la Corte d’appello di
Palermo ha rigettato la domanda proposta da Andrea D’Arrigo per la
riparazione dell’asserita ingiusta detenzione dallo stesso subita nel
periodo dal 21.1.2009 al 20.7.2011 (dal 27.6.2011 in regime di arresti
domiciliari), in relazione al prospettato reato di associazione a delinquere di stampo mafioso dalla cui imputazione il D’Arrigo era stato
assolto nel merito.
Con il provvedimento impugnato, la corte palermitana ha ritenuto il comportamento del D’Arrigo idoneo a dar causa al provvedimento restrittivo della sua libertà personale, per avere lo stesso, in
modo gravemente imprudente, partecipato a sospette conversazioni e
coltivato frequentazioni con soggetti pregiudicati, con forme e modalità tali da risultare oggettivamente indizianti.
Avverso il provvedimento della corte d’appello di Palermo,
a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione il
D’Arrigo, censurando il provvedimento impugnato per vizio di motivazione.
In particolare, si duole il ricorrente che la corte territoriale abbia ritenuto causalmente rilevante e gravemente colpevole il complessivo comportamento del ricorrente nel provocare l’adozione del
provvedimento restrittivo dallo stesso sofferto, in assenza di alcun
concreto elemento probatorio di riscontro in tal senso utilizzabile,
avuto particolare riguardo alla natura occasionale o contingente delle
sospette frequentazioni del D’Arrigo evidenziate nel provvedimento
impugnato, inidonee a costituire una forma di evidente e macroscopica imprudenza o trascuratezza, suscettibile di integrare una causa
ostativa al riconoscimento della riparazione invocata.
Ha depositato memoria il procuratore generale presso la corte
di cassazione, concludendo per il rigetto del ricorso.
2. –

Considerato in diritto
3. – Il ricorso è infondato.
Secondo l’insegnamento di questa corte di legittimità, in tema
di riparazione per l’ingiusta detenzione subita, le frequentazioni ambigue, ossia quelle che si prestano oggettivamente ad essere interpretate come indizi di complicità, quando non sono giustificate da rapporti di parentela, e sono poste in essere con la consapevolezza che
trattasi di soggetti coinvolti in traffici illeciti, possono dare luogo ad

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un comportamento gravemente colposo idoneo ad escludere la riparazione stessa (Cass., Sez. 3, n. 363/2007, Rv. 238782).
In particolare, nei reati contestati in concorso, la condotta di
chi, pur consapevole dell’attività criminale altrui, abbia nondimeno
tenuto comportamenti idonei ad essere percepiti come indicativi di
una sua contiguità ad essa, integra gli estremi della colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo (Cass., Sez. 4, n.
45418/ 2010, Rv. 249237; Cass., Sez. 4, n. 37528/2008, Rv. 241218).
Nel caso di specie, secondo il ragionamento coerentemente e
congruamente argomentato nel provvedimento impugnato in questa
sede, la corte d’appello di Palermo ha riconosciuto, in capo al
D’Arrigo, il ricorso di consistenti profili di colpa grave nel concorrere
a dar causa al provvedimento restrittivo adottato nei suoi confronti,
evidenziando come lo stesso si fosse reso protagonista di conversazioni indizianti immediatamente riferite a rapporti di frequentazioni
che lo stesso D’Arrigo ebbe ad avere con tale Nicolò Salto (già
all’epoca pregiudicato per associazione a delinquere di stampo mafioso) nonché con tale Tommaso Billeci, durante le quali il D’Arrigo veniva messo a conoscenza “di un’attività riferibile al sodalizio mafioso
che veniva posto in essere dal Salto senza che per lo stesso ed il Billeci la presenza del D’Arrigo rappresentasse un problema” (cfr. pag.
5 dell’ordinanza impugnata, là dove richiama la sentenza assolutoria
del D’Arrigo pronunciata dalla Corte d’appello di Palermo).
Sul punto, vale evidenziare come questa corte abbia in altra
occasione avuto modo di precisare come la connivenza non punibile
costituisce causa ostativa al riconoscimento della riparazione per
l’ingiusta detenzione subita, qualora il comportamento del connivente, di cui sia stata provata la conoscenza dell’attività illecita commessa al suo cospetto (Cass., Sez. 4, n. 6878/2011, Rv. 252725; Cass., Sez.
4, n. 42039/2006, Rv. 235397), abbia in qualche misura rafforzato la
volontà degli autori del reato (Cass., Sez. 4, n. 42039/2006, Rv.
235397; Cass., Sez. 4, n. 8993/2003, Rv. 223688), pur senza concorrere nello stesso (anche quando il connivente non abbia perseguito
tale obiettivo con il suo comportamento: v. Cass, Sez. 4, n.
2659/2008, Rv. 242538), o comunque agevolato (Cass., Sez. 4, n.
40297/2008, Rv. 241325), non impedito o tollerato che lo stesso reato si consumasse (Cass., Sez. 4, n. 16369/2003, Rv. 224773), in tal
modo assumendo atteggiamenti ambigui e ragionevolmente interpretabili ex ante come espressioni di partecipazione o di concorso alla
commissione del reato, così dando causa, per propria esclusiva colpa

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grave, all’adozione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale dell’indagato (Cass., Sez. 4, n. 11089/2013, Arena, non massimata).
In coerenza a tali premesse, del tutto correttamente la corte
territoriale ha sottolineato come la circostanza che il D’Arrigo fosse
ammesso ad assistere a discussioni tra il Salto e Billeci concernenti
significative questioni riguardanti il sodalizio mafioso (quale in particolare la necessità di non lasciare tracce scritte delle loro attività illecite) dimostrasse in modo significativo come lo stesso godesse della
piena fiducia degli stessi che, in quanto affiliati mafiosi, erano notoriamente tenuti al massimo riserbo riguardo gli ‘affari’ di pertinenza
dell’associazione (cfr. pag. 5-6- del provvedimento impugnato).
In modo del tutto ragionevole e sulla base di una motivazione
pienamente coerente sul piano logico e congruamente lineare in termini argomentativi, pertanto, la corte territoriale ha riconosciuto (in
aderenza alle stesse argomentazioni richiamate nei provvedimenti
impositivi della detenzione sofferta dal ricorrente: cfr. pag. 6 cit.)
una decisiva valenza causale alle condotte gravemente colpose del
D’Arrigo così compendiate (in relazione all’adozione della misura
cautelare detentiva assunta nei suoi confronti), avendo coerentemente e logicamente riconosciuto la piena idoneità delle sospette frequentazioni del prevenuto e delle modalità delle stesse a impedire
l’imposizione e il protrarsi della privazione della sua libertà, così lasciando prospettare un’apparente e intuibile conferma del quadro indiziario già acquisito a suo carico.
4. — Le considerazioni che precedono valgono a giustificare il
riscontro dell’infondatezza dei motivi di doglianza avanzati dal ricorrente, cui segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 11.12.2013.

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