Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17755 del 20/11/2012


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 17755 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: TARDIO ANGELA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
1) MUTO LUIGI ANTONIO N. IL 10/08/1962
avverso l’ordinanza n. 228/2011 CORTE APPELLO di CATANZARO,
del 04/11/2011
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANGELA TARDIO;

Data Udienza: 20/11/2012

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 4 novembre 2011 la Corte d’appello di Catanzaro, in
funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza avanzata da Muto Luigi
Antonio, volta al riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati
giudicati con le sentenze emesse dalla stessa Corte il 29 ottobre 2004 e il 6
dicembre 2007, avuto riguardo alla mancanza di elementi probativi della

alla descritta operazione illecita giudicata con la prima sentenza.
2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo
dei suoi difensori, il condannato, che ne ha chiesto l’annullamento sulla base di
unico motivo con il quale ha dedotto vizio della motivazione, ai sensi dell’art.
606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 125, comma 3, cod.
proc. pen., per avere il Giudice ritenuto in modo illogico non sufficientemente
provata la programmazione unitaria dei delitti oggetto della richiesta, avendo
riguardo alla già riconosciuta continuazione in sede di cognizione – con la
sentenza del 6 dicembre 2007 – tra il reato associativo e i restanti reati, e alla
omogeneità del contesto temporale e spaziale degli stessi con quelli giudicati con
la sentenza del 29 ottobre 2004.
3. In esito al preliminare esame presidenziale, il ricorso è stato rimesso a
questa Sezione per la decisione in camera di consiglio ai sensi degli artt. 591,
comma 1, e 606, comma 3, cod. proc. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. La nozione di continuazione delineata nell’art. 81, comma 2, cod. pen.,
richiede che i fatti siano riferibili a un “medesimo”, dunque originario, disegno
criminoso.
Detta unicità di disegno, necessaria per il riconoscimento della continuazione
in fase di cognizione e in fase esecutiva, non può identificarsi con la generale
tendenza a porre in essere determinati reati o comunque con una scelta di vita
che implica la reiterazione di determinate condotte criminose. Occorre invece che
si abbia una iniziale programmazione e deliberazione di compiere una pluralità di
reati, che possono essere anche non dettagliatamente ab origine progettati e
organizzati, purché siano almeno in linea generale previsti in funzione di
“adattamento” alle eventualità del caso, come mezzo al conseguimento di un
unico fine, prefissato e sufficientemente specifico.

2

configurabilità della continuazione tra reato associativo e reati fine in rapporto

Deve, pertanto, escludersi che una tale programmazione possa essere
desunta sulla sola base dell’analogia dei singoli reati o del contesto in cui essi
sono maturati. Né l’inciso “anche in tempi diversi”, contenuto nell’art. 81,
comma 2, cod. pen., consente di escludere rilevanza all’aspetto del

tempo di

commissione dei reati, non potendo ritenersi che la vicinanza temporale
costituisca di per sé “indizio necessario” dell’esistenza del medesimo disegno
criminoso.
1.2. Nella specie, il ricorrente, che ha insistito nell’affermare la sussistenza

delittuosa per la relazione strumentale tra il delitto associativo e i delitti di usura,
già ritenuta in sede di cognizione, e configurabile anche per le imputazioni
residuali giudicate con la precedente sentenza per la omogeneità del contesto
spazio-temporale di riferimento, ha del tutto trascurato le articolate ragioni,
coerenti con i dati obiettivi plausibilmente valutati, poste dal Giudice
dell’esecuzione a fondamento dell’affermazione, corretta in diritto, che i fatti dei
quali si chiedeva l’unificazione non potevano in alcun modo ritenersi il portato di
un unico originario disegno criminoso.
Tale mancata correlazione, che si risolve in deduzioni astratte dal
riferimento ai dati fattuali concreti, rende aspecifiche nella sostanza le deduzioni
svolte.
2. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e – valutato il contenuto del ricorso e in
mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa
di inammissibilità – al versamento della somma, ritenuta congrua, di euro
1.000,00 alla Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 20 novembre 2012

Il Consigliere estensore

Il Presidente

di indici fattuali dimostrativi della effettiva unitarietà della sua condotta

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