Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17750 del 20/11/2012


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 17750 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: TARDIO ANGELA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
1) SATRIANO RINO N. IL 14/01/1968
avverso l’ordinanza n. 333/2011 CORTE APPELLO di GENOVA, del
23/09/2011
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANGELA TARDIO;

Data Udienza: 20/11/2012

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 23 settembre 2011 la Corte d’appello di Genova, in
funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza avanzata da Satriano
Rino, volta al riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati giudicati
con le sentenze del 15 giugno 2007 del Tribunale di Chiavari e del 15 gennaio
2010 della stessa Corte, già unificati ex art. 81 cod. pen. in sede di esecuzione

definitive di condanna del 12 gennaio 2005 del Tribunale di Genova e del 22
gennaio 2010 della stessa Corte, avuto riguardo alla mancanza di elementi
probativi della riconducibilità delle condotte tenute dall’istante a un pur generico
disegno unitario.
2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo
del suo difensore, il condannato chiedendone l’annullamento sulla base di unico
motivo, con il quale ha dedotto vizio della motivazione, ai sensi dell’art. 606,
comma 1, lett. e), cod. proc. pen., per avere la Corte ritenuto in modo illogico
non sufficientemente provata la programmazione unitaria dei delitti oggetto della
richiesta, avuto riguardo alle ragioni poste a fondamento del già operato parziale
riconoscimento del vincolo della continuazione e alla commissione dei reati in
vista del suo sostentamento mediante i proventi delle attività illecite contro il
patrimonio.
3. In esito al preliminare esame presidenziale, il ricorso è stato rimesso a
questa Sezione per la decisione in camera di consiglio ai sensi degli artt. 591,
comma 1, e 606, comma 3, cod. proc. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato.
1.1. La nozione di continuazione delineata nell’art. 81, comma 2, cod. pen.,
richiede che i fatti siano riferibili a un “medesimo”, dunque originario, disegno
criminoso.
Detta unicità di disegno, necessaria per il riconoscimento della continuazione
in fase di cognizione e in fase esecutiva, non può identificarsi con la generale
tendenza a porre in essere determinati reati o comunque con una scelta di vita
che implica la reiterazione di determinate condotte criminose. Occorre, invece,
che si abbia una iniziale programmazione e deliberazione di compiere una
pluralità di reati, che possono essere anche non dettagliatamente ab origine
progettati e organizzati, purché siano almeno in linea generale previsti in

2

con provvedimento del 12 aprile 2011, e i reati giudicati con le sentenze

funzione di “adattamento” alle eventualità del caso, come mezzo al
conseguimento di un unico fine, prefissato e sufficientemente specifico.
Deve, pertanto, escludersi che una tale programmazione possa essere
desunta sulla sola base dell’analogia dei singoli reati o del contesto in cui essi
sono maturati. Né l’inciso “anche in tempi diversi”, contenuto nell’art. 81,
comma 2, cod. pen., consente di escludere rilevanza all’aspetto del tempo di
commissione dei reati, non potendo ritenersi che la vicinanza temporale
costituisca di per sé “indizio necessario” dell’esistenza del medesimo disegno

un limite logico alla possibilità di ravvisare la continuazione per le difficoltà di
programmazione e deliberazione a lunga scadenza dei singoli episodi criminosi.
1.2. Nella specie, il Giudice dell’esecuzione, che ha preso in considerazione i
reati, cui il ricorrente ha riferito la sua richiesta di unificazione, e i dati di fatto
tratti dalle sentenze in atti, ha logicamente e ragionevolmente valorizzato la
diversità tra i beni oggetto dei fatti di ricettazione e la loro utilizzabilità per
finalità diverse, le differenze tra i reati già unificati con ordinanza del 12 aprile
2011 e quelli ulteriori e la non scindibilità del vincolo tra reati non omogenei

ritenuto nella sentenza del 12 gennaio 2005.
Le linee argomentative dell’ordinanza, congrue sul piano logico e corrette in
diritto, resistono alle censure formulate dal ricorrente, che si risolvono nella
prospettazione di considerazioni attinenti al fondamento dell’istituto della
continuazione e nella rilettura dei dati fattuali nell’ottica, inammissibile in questa
sede, di una loro rivalutazione di merito e secondo un modello argomentativo
che, richiamandosi all’abitualità nel reato, contrasta con il fondamento
dell’istituto della continuazione.
2. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, con condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – valutato il
contenuto del ricorso e in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità – al versamento della somma,
ritenuta congrua, di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 20 novembre 2012
Il Consigliere estensorz

Il Presidente

criminoso, né escludersi che la distanza temporale possa costituire in concreto

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