Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17733 del 20/11/2012


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 17733 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: TARDIO ANGELA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
1) NICOLOSI AURELIO N. IL 14/08/1966
avverso il decreto n. 140/2011 CORTE APPELLO di PALERMO, del
26/10/2011
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANGELA TARDIO;

Data Udienza: 20/11/2012

RITENUTO IN FATTO

1. Con decreto del 26 ottobre 2011, la Corte d’appello di Palermo ha
confermato il decreto dell’1-22 febbraio 2011 del Tribunale di Agrigento, che
aveva applicato a Nicolosi Aurelio la misura di prevenzione della sorveglianza
speciale di pubblica sicurezza per la durata di anni due, rilevando l’infondatezza
dell’appello per essere sussistenti i presupposti soggettivi e oggettivi richiesti e

mantenimento della misura applicata nella sua intera durata.
2. Avverso detto decreto ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del
suo difensore, Nicolosi Aurelio, che ne chiede l’annullamento sulla base di unico
motivo con il quale denuncia violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod.
proc. pen., in relazione agli artt. 1 e 3, legge n. 1423 del 1956, per l’assenza dei
presupposti idonei per l’adozione di una misura di prevenzione personale e per
non avere i giudici di merito svolto alcuna indagine volta a verificare l’abbandono
da parte sua degli schemi di vita antisociale e a valutare l’effettiva attualità della
sua pericolosità sociale.
3. In esito al preliminare esame presidenziale, il ricorso è stato rimesso a
questa Sezione per la decisione in camera di consiglio ai sensi degli artt. 591,
comma 1, e 606, comma 3, cod. proc. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. Occorre premettere che, l’art. 4, comma 11, legge 27 dicembre 1956, n.
1423, recante “Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per
la sicurezza [e per la pubblica moralità]”, limita alla sola violazione di legge il
ricorso contro il decreto della corte d’appello in materia di misure di prevenzione.
Secondo un consolidato orientamento di questa Corte, confortato anche da
intervento della Corte Costituzionale (sentenza n. 321 del 2004), in tema di
misure di prevenzione non è, pertanto, deducibile il vizio di manifesta illogicità
della motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., ma
solo quello di mancanza di motivazione, qualificabile come violazione dell’obbligo
di provvedere con decreto motivato imposto al giudice di appello dall’art. 4,
comma 10, legge n. 1423 del 1956. Alla mancanza di motivazione è, peraltro,
equiparata l’ipotesi in cui la motivazione risulta del tutto priva dei requisiti
minimi di coerenza, di completezza e di logicità, al punto da essere meramente
apparente, o è assolutamente inidonea a rendere comprensibile

l’iter logico

seguito dal giudice (tra le altre, Sez. 6, n. 15107 del 17/12/2003,

per essere il giudizio di pericolosità sociale attuale e tale da giustificare il

dep. 30/03/2004, Criaco, Rv. 229305; Sez. 6, n. 35044 del 08/03/2007,
dep. 18/09/2007, Bruno, Rv. 237277; Sez. 5, n. 19598 del 08/04/2010,
dep. 24/05/2010, Palermo, Rv. 247514).
3. Tanto premesso in ordine all’ambito del controllo riservato a questa
Corte, si osserva che, nel caso di specie, benché nella enunciazione dei motivi di •
ricorso la difesa abbia fatto riferimento al vizio di violazione di legge, le censure
mosse attengono alla sola congruenza logica del, non condiviso, ragionamento
seguito dalla Corte d’appello nella valutazione dei presupposti richiesti per

In relazione a questi profili, la Corte ha coerentemente condiviso le
valutazioni svolte dal Tribunale, che aveva compiutamente argomentato con
riguardo agli elementi sintomatici della pericolosità sociale del proposto, e ha
dato alle deduzioni difensive prospettate nel gravame adeguate risposte,
esaustive in fatto, per la loro coerenza interna e per la loro logica congruenza ai
dati riferiti, e corrette in diritto, per la esatta interpretazione delle norme
applicate.
Il ricorrente tende, invece, a provocare – esprimendo un diffuso dissenso di
merito rispetto alle risposte ricevute, quanto all’attualità della pericolosità in
rapporto alla sua intera personalità e al dedotto abbandono degli schemi di vita
antisociali e opponendo la sua analisi degli aspetti attinenti alle circostanze
fattuali – una nuova lettura dei dati acquisiti che si traduce nel sostanziale
riesame nel merito, invasivo del campo della valutazione discrezionale
ragionevolmente espressa, non consentito in sede di legittimità.
4. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, con condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – valutato il
contenuto del ricorso e in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità – al versamento della somma,
ritenuta congrua, di curo 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 20 novembre 2012
Il Consigliere estensore

Il Presidente

l’applicazione della misura di prevenzione.

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