Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17729 del 16/01/2018


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 17729 Anno 2018
Presidente: SARNO GIULIO
Relatore: ZUNICA FABIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Lucchi Aldo, nato a Cesena il 05-08-1947,
avverso la sentenza del 03-03-2017 della Corte di appello di Bologna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Fabio Zunica;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott.
Gabriele Mazzotta, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito per il ricorrente l’avvocato Giorgio Fabbri, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 16/01/2018

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del Tribunale di Forlì del 6 maggio 2014, Aldo Lucchi veniva
condannato alla pena di mesi 4 di arresto ed C 5.000 di ammenda in ordine al
reato di cui all’art. 137 del d. Igs. n. 152/2006, in esso assorbito l’ulteriore reato
di cui all’art. 29 quaterdecies del d. Igs. 152/2006, per avere, quale legale
rappresentante della ditta “Avi Coop.” sita in Cesena alla via Del Rio n. 334 e
quale responsabile dello scarico delle acque reflue industriali a servizio della
ditta, effettuato lo scarico con superamento dei valori limite fissati dall’Autorità

dell’allegato 5, terza parte del d. Igs. 152/2006 (valore accertato 0,033 mg/L
contro valore limite ammissibile di <0,02 mg/L). In Cesena il 7 marzo 2012. La Corte di appello di Bologna, con sentenza del 3 marzo 2017, in parziale riforma della sentenza di primo grado, sostituiva la pena detentiva nella pena pecuniaria corrispondente di C 30.000 di ammenda e, per l'effetto, condannava Lucchi alla pena complessiva di C 35.000 di ammenda, confermando nel resto. 2. Avverso la sentenza della Corte di appello emiliana, Lucchi, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due motivi. Con il primo, lamenta l'insufficienza ed erroneità della motivazione e la violazione di legge in relazione all'omesso esame dei motivi di appello sul punto centrale dell'impugnazione: la difesa contesta infatti che la sentenza di secondo grado si era limitata a richiamare la pronuncia di primo grado senza entrare nel merito delle doglianze proposte e soprattutto senza affrontare il fulcro del gravame, costituito dal rilievo che l'Arpa, nel volgere di pochi giorni, aveva effettuato due diversi prelievi di campioni dei reflui che avevano dato esiti molto diversi, il primo evidenziando una presenza massiva di cadmio, e il secondo rivelando che i reflui erano risultati aderenti ai parametri di legge. Il risultato delle seconde analisi quindi aveva dimostrato che le prime non potevano considerarsi corrette, tanto più ove si consideri che le stesse erano state effettuate in condizioni ambientali proibitive, ovvero con la neve alta quasi due metri in conseguenza di un fenomeno atmosferico del tutto eccezionale, tanto è verto che la Giunta Regionale dell'Emilia Romagna, con decreto n. 11 del 6 febbraio 2012, aveva dichiarato lo stato di crisi regionale. Il ricorrente si duole quindi che, sia dal Tribunale di Forlì che dalla Corte di appello di Bologna, erano state prese in considerazione soltanto le prime analisi, ovvero quelle sfavorevoli all'imputato, rilevandosi in proposito che questi non ebbe a contestare l'esito delle prime analisi proprio perché confortato dalle seconde, che avevano consentito di superare agevolmente tutti i dubbi iniziali. competente nell'autorizzazione per i parametri "cadmio" indicati nella tabella 3 In ogni caso la difesa osserva che, pur a voler ritenere che ci sia stato inquinamento, le sentenze di merito non avevano specificato quali cautele Lucchi avrebbe dovuto adottare, tanto più in un sito coperto da due metri di neve. Con il secondo motivo, speculare al primo, il ricorrente propone le medesime doglianze, contestando il vizio di motivazione della sentenza, per essere stato stravolto l'utilizzo delle prove, con violazione delle norme sul giusto processo. Con memoria pervenuta il 5 gennaio 2018, la difesa, nel reiterare le proprie critiche alla sentenza impugnata, insisteva nell'accoglimento del ricorso. 1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza. 2. Deve premettersi innanzitutto che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte (Sez. 3, n. 44418 dei 16/07/2013 Rv. 257595 e Sez. 2, n. 5606 dell'8/2/2007 Rv. 236181), la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo, quando le due decisioni di merito concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni; tale integrazione si verifica allorché i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese e ai passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate e chiarite nella decisione di primo grado. Va altresì ribadito, sempre in via preliminare, che compito del giudice di legittimità nel sindacato sui vizi della motivazione non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, ma quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando completa e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre. 3. Alla luce di tali premesse ermeneutiche, deve ritenersi che la sentenza impugnata non presenti profili di illegittimità rilevabili in questa sede. Ed invero la Corte di appello non si è limitata a richiamare acriticamente la pronuncia di primo grado, che peraltro aveva delineato in modo puntuale tutte le risultanze probatorie, ma ha aggiunto le proprie autonome considerazioni sulla vicenda, valorizzando in particolare l'esito del primo controllo effettuato il 7 marzo 2012, quando il cadmio versato nel fiume dal depuratore dell'azienda dell'imputato aveva un valore di molto superiore ai limiti di legge, per cui lo 3 CONSIDERATO IN DIRITTO scarico doveva ritenersi inquinante, riferendosi la contestazione all'epoca del primo controllo, mentre rispetto al diverso esito della seconda verifica, è stato rilevato dai giudici di secondo grado, con motivazione non illogica, che lo stesso è avvenuto a distanza di due settimane, quando cioè l'azienda aveva avuto tutto il tempo di verificare i propri scarichi nella consapevolezza del primo controllo, la cui affidabilità peraltro non era stata contestata nell'immediatezza dall'imputato. Del resto sulla correttezza del primo prelievo si è diffusamente soffermata la sentenza di primo grado, richiamando la deposizione del teste Rossi dell'Arpa di Cesena, il quale aveva escluso anomalie nel prelievo dei relativi campioni. era inutilizzabile in quanto superato dalle seconde analisi, non comprendendosi in ogni caso perché debba considerarsi veritiero solo l'esito del secondo controllo e non quello precedente, ben potendosi viceversa ritenere che sia attendibile l'esito di entrambe le verifiche, il cui diverso risultato può ragionevolmente essere dipeso soltanto dalla differente qualità delle acque industriali scaricate. In tal senso, la Corte di appello si è confrontata anche con l'ulteriore obiezione difensiva secondo cui l'esito delle prime analisi sarebbe stato condizionato dalle imponenti nevicate dell'epoca, rilevando, anche in tal caso con argomentazioni tutt'altro che contraddittorie, che la tesi della presenza del cadmio nella neve era meramente congetturale, non avendo trovato alcun adeguato riscontro, sebbene ci sia stato tutto il tempo per compiere le necessarie verifiche al riguardo, atteso che la neve era abbondantemente presente almeno dal 6 febbraio 2012, quando fu proclamato lo stato di emergenza, cioè un mese prima del primo controllo. A ciò i giudici dell'impugnazione hanno aggiunto l'ulteriore considerazione, invero già formulata dal Tribunale, secondo cui, pur a volere ritenere fondata la tesi difensiva del condizionamento della neve, all'imputato era comunque ascrivibile il non aver adottato le cautele necessarie per impedire il rilevante inquinamento verificatosi, cautele invece efficacemente attuate ex post, nel senso che, in occasione del controllo del 22 marzo 2012, il cadmio era praticamente sparito, sebbene non fosse scomparsa la neve caduta abbondantemente in precedenza. E anche sotto tale profilo rimane ferma la configurabilità del reato contestato (art. 137 comma 5 del d. Igs. 15272006), punibile anche a titolo di colpa. Risulta comunque che, in base all'autorizzazione integrata ambientale, rilasciata in favore della società amministrata dal ricorrente il 27 luglio 2010, l'azienda aveva installato un sistema di misurazione dei 5 millimetri delle acque piovane, che finivano comunque nell'impianto di depurazione, mentre quando le acque piovane, intendendosi per tali anche quelle provenienti dallo scioglimento della neve, superavano i 5 millimetri, le stesse finivano nelle acque superficiali e non nel depuratore, fatte salve situazioni particolari, nel caso di specie non accertate. 4 Né appare fondata l'affermazione difensiva secondo cui l'esito delle prime analisi In ogni caso, è stato correttamente osservato che il più rapido raggiungimento del livello dei 5 millimetri di acqua di prima pioggia scaturito dalle nevicate non escludeva la necessità del costante mantenimento dei livelli di concentrazione del cadmio presente nei reflui al sotto del minimo consentito, per cui anche sotto questa chiave di lettura era comunque ravvisabile la responsabilità di Lucchi, in ragione della già rilevata natura anche colposa della contravvenzione contestata. In definitiva, deve ritenersi che le conformi decisioni di merito non siano rimaste indifferenti rispetto alle argomentazioni difensive, avendole superate attraverso un percorso motivazionale rivelatosi immune da profili di illogicità, risolvendosi le riproposizione di censure prevalentemente di fatto, che nella sentenza impugnata hanno trovato già una risposta esauriente e non irrazionale. 4. In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto poi conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 2.000 in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso il 16/01/2018 Il C si liere etensore A/L e/e_2_-. a o Zu ■ Il Presidente Giulio Sarno ulteriori doglianze sollevate in questa sede dalla difesa nella sostanziale

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