Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17727 del 16/01/2018


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 17727 Anno 2018
Presidente: SARNO GIULIO
Relatore: ZUNICA FABIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Luo Biyu, nata in Cina il 2-04-1971,
avverso la sentenza del 13-01-2017 del Tribunale di Teramo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Fabio Zunica;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dr.
Gabriele Mazzotta, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

Data Udienza: 16/01/2018

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del Tribunale di Teramo del 13 gennaio 2017, Luo Biyu
veniva condannata alla pena di C 6.400 di ammenda in ordine a una pluralità di
contravvenzioni in tema di sicurezza sul lavoro, e segnatamente quelle previste
dagli art. 17 comma 1 lett. B, 18 comma 1 lett. A, D e G, 29 comma 1, 36
comma 1, 37 comma 1, 43 comma 1 lett. B, 46 comma 2, 64 comma 1 lett. A, B
e D, 68 comma 1 lett. B e 80 comma 2 e 87 comma 2 lett. A del d. Igs. 81/2008.
Tali reati, accertati in Bellante (TE) il 5 febbraio 2013, si riferivano a una serie di

omissioni addebitate all’imputata quale titolare dell’omonima ditta individuale,
tra cui la mancata designazione del responsabile del servizio di prevenzione e
protezione aziendale dei rischi, la mancata nomina del medico competente per
l’effettuazione della sorveglianza sanitaria, la mancata consegna ai lavoratori dei
necessari dispositivi di protezione individuale, il mancato invio dei lavoratori alla
visita medica, la mancata effettuazione della valutazione dei rischi, la mancata
assicurazione di formazione ai lavoratori, l’omessa designazione dei lavoratori
incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi, l’omessa
evidenziazione delle uscite di emergenza, la mancata dotazione dei dispositivi
che rendessero facilmente apribili in caso di emergenza le porte che conducono
verso l’esterno, l’omessa ricarica dell’unico estintore presente nell’opificio, la
mancata pulitura dei luoghi di lavoro, e infine la mancata esibizione di
documentazione tecnica e di verifica all’impianto elettrico, che presentava
situazioni di pericolo dovute al collegamento precario dei cavi elettrici.
2.

Avverso la sentenza del Tribunale abruzzese, Luo Biyu ha proposto

appello, convertito in ricorso per cassazione dalla Corte di appello dell’Aquila.
La ricorrente, tramite il difensore, chiede la riforma della sentenza impugnata
lamentandone la carenza di motivazione, compendiata in una mezza pagina, ed
evidenziando che l’unico teste escusso non aveva riferito con precisione le
violazioni commesse, per cui l’istruttoria dibattimentale si era rivelata lacunosa.
In ogni caso la difesa deduce che le prescrizioni imposte alla ricorrente erano
state tutte eseguite, seppure in ritardo, aggiungendo che non era stata accertata
neanche la titolarità della ditta, non essendo stata allegata la visura camerale.
Infine veniva richiesta, in via subordinata, la concessione delle attenuanti
generiche negate dal primo giudice.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
Pur nella sua estrema sintesi, la sentenza impugnata, redatta con motivazione
contestuale, ha ricostruito i fatti di causa, richiamando la deposizione resa il 16
2

.e,.

settembre 2016, del teste Scala del Nucleo tutela del lavoro dei CC, che aveva
riportato gli esiti dell’accesso eseguito presso l’opificio di abbigliamento facente
capo alla ricorrente, constatando le violazioni specificate nella contestazione,
dalle quali sono scaturite le prescrizioni imposte alla titolare della ditta, con
l’ausilio di un interprete nominato ausiliario di P.G., e risultate non adempiute.
È stato inoltre evidenziato dal Tribunale che le affermazioni del teste hanno
trovato riscontro nel verbale prodotto dal P.M., corredato dalle foto dei luoghi e
dalla visura camerale comprovante il ruolo dell’imputata, della quale è stata

L’apparato motivazionale della sentenza, per quanto scarno, risulta in ogni caso
scevro da profili di illogicità e di incoerenza e non appare scalfito dalle deduzioni
difensive, che si risolvono in censure fattuali, in ordine alle quali peraltro l’atto di
impugnazione sconta evidenti limiti di autosufficienza, stante la pluralità di
riferimenti a circostanze rimaste prive di idonea allegazione o comunque di
adeguati richiami al materiale probatorio veicolato nel fascicolo processuale.
Peraltro dallo stesso ricorso si evince che le prescrizioni imposte all’esito del
sopralluogo di P.G. sono state ottemperate in ritardo e in modo parziale, per cui
pure sotto questo punto di vista non appare prospettabile una seria smentita
della ricostruzione accusatoria recepita nella sentenza oggetto di impugnazione.
Anche per quanto concerne il trattamento sanzionatorio, la motivazione del
Tribunale non presta il fianco a censure, essendo stato giustificato il diniego delle
attenuanti generiche in ragione del precedente dell’imputata, richiamo questo
che può ritenersi sufficiente, ove si consideri che, in sede di conclusioni, la
difesa, nel chiedere l’assoluzione dell’imputata, non ha invocato il riconoscimento
delle attenuanti generiche in via subordinata, rendendo in tal modo meno
gravoso l’impegno motivazionale del Giudice. E ciò senza considerare che la
stessa difesa non nega il presupposto del diniego delle attenuanti generiche,
parlando anzi di “precedenti penali specifici” dell’imputata, che peraltro non
hanno impedito la concessione della sospensione condizionale della pena.
2. In definitiva, stante la manifesta infondatezza delle doglianze proposte,
deve escludersi che la sentenza impugnata presenti profili di illegittimità rilevabili
in questa sede, per cui il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con
conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di
sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto infine della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno
2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia
stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via
equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

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dunque ritenuta la colpevolezza rispetto alle contravvenzioni a lei ascritte.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 2.000 in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso il 16/01/2018

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