Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17705 del 19/12/2017
Penale Sent. Sez. 2 Num. 17705 Anno 2018
Presidente: DAVIGO PIERCAMILLO
Relatore: DE CRESCIENZO UGO
Data Udienza: 19/12/2017
SENTENZA A MOTIVAZIONE
SEMPLIFICATA
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DRAGO ANTONIO N. IL 22/12/1972
avverso l’ordinanza n. 1363/2017 TRIB. LIBERTA’ di CATANIA, del
10/08/2017
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UGO DE CRESCIENZO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.
< - e" ( Uditi difensor Avv.; o -e' • (':",•- <- 21" (1- RITENUTO IN FATTO DRAGO Antonio, sottoposto agli arresti domiciliari per la violazione degli artt.
110, 629 cod. pen., ricorre per Cassazione avverso l'ordinanza 10.8.2017 del Tribunale di Catania che ha rigettato l'appello proposto ex art. 310 cod. pen. contenente la richiesta di revoca e sostituzione della misura cautelare in atto.
La difesa chiede l'annullamento della decisione impugnata deducendo i seguenti
motivi così riassunti entro i limiti previsti dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 393 e 629 cod. pen., nonché vizio di motivazione in ordine alla qualificazione giuridica del fatto ascritto.
2) Violazione dell'art. 274 cod. proc. pen. perché il Tribunale non avrebbe adeguatamente motivato in relazione all'attualità delle esigenze cautelari,
alla luce del tempo trascorso. RITENUTO IN DIRITTO Va premesso che la valutazione delle doglianze difensive in materia cautelare soggiace ai noti limiti del giudizio di legittimità. Infatti in materia di provvedimenti
"de libertate", la Corte di Cassazione non ha alcun potere né di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate (ivi compreso lo spessore degli
indizi), né di rivalutazione delle condizioni soggettive dell'indagato in relazione alle
esigenze cautelari ed all'adeguatezza delle misure; infatti, sia nell'uno che
nell'altro caso si tratta di apprezzamenti propri del giudice di merito. Il controllo
di legittimità rimane pertanto circoscritto all'esame del contenuto dell'atto impugnato per verificare, da un lato le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e,
dall'altro l'assenza di illogicità evidenti, nelle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento [Cass. SU 22.3.2011 n. 11; Cass. Sez. II 7.12.2011 n.
56; Cass. Sez VI 12.11.1998 n. 3529; Cass. Sez. I ordinanza 20.3.1998 n. 1700;
Cass. Sez. I 11.3.1998 n. 1496; Cass. Sez. I 20.2.1998 n. 1083]. Da quanto sopra discende che: a) in materia di misure cautelari la scelta e la valutazione delle
fonti di prova rientra fra i compiti istituzionali del giudice di merito sfuggendo entrambe a censure in sede di legittimità se adeguatamente motivate ed immuni da
errori logico giuridici, posto che non può contrapporsi alla decisione del Tribunale,
se correttamente giustificata, un diverso criterio di scelta o una diversa interpretazione del materiale probatorio; b) la denuncia di insussistenza di gravi indizi di
colpevolezza o di assenza di esigenze cautelari è ammissibile solo se la censura riporta l'indicazione precisa e puntuale di specifiche violazioni di norme di legge,
ovvero l'indicazione puntuale di manifeste illogicità della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, esulando dal giudizio 1) Ex art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., violazione degli artt. di legittimità sia le doglianze che attengono alla ricostruzione dei fatti sia quelle
che si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate e valorizzate dal giudice di merito. [v. in tal senso Cass sez. III 21.10.2010 n. 40873]. Infatti
Il sindacato del giudice di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che quest'ultima: a) sia "effettiva", ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della
decisione adottata; b) non sia "manifestamente illogica", perché sorretta, nei suoi
punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche
tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile"
con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente
nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico [Cass. Sez. I 19.10.2011 n. 41738; e
nello stesso senso Cass. Sez. IV 3.5.2007 n. 22500; Cass. Sez. VI 15.3.2006 n.
10951]
Passando all'esame del ricorso il Collegio osserva quanto segue.
Il primo motivo è inammissibile. La difesa in questa sede propone una ricostruzione alternativa del fatto ascritto, volta a far dichiarare, nella sede cautelare (essendo in corso il parallelo giudizio di cognizione di merito) una diversa qualificazione giuridica del fatto. In ordine alla qualificazione giuridica del fatto - ormai
devoluto alla cognizione di merito - si è formato il c.d. giudicato cautelare consacrato nell'ordinanza applicativa della misura della custodia degli arresti domiciliari
(non impugnata a suo tempo) divenuta comunque definitiva.
La difesa propone inoltre ricostruzioni alternative in fatto il cui vaglio è comunque
precluso in questa sede.
Passando alle censure relative alla motivazione dell'ordinanza, va osservato che il
Tribunale ha considerato la vicenda processuale e quella in fatto, nonchè il contenuto dell'ordinanza 20.6.2017 della sezione prima del Tribunale di Catania e il
contenuto dell'impugnazione.
Il Tribunale [pag. 4 della motivazione] ha affermato l'irrilevanza delle circostanze
di fatto addotte dalla difesa con particolare riferimento alla dichiarazione della
parte offesa all'Ufficiale giudiziario.
Si tratta, nella specie, di valutazione di merito non sindacabile in questa sede,
che esprime, in modo non manifestamente illogico, né contraddittorio, il giudizio
sull'incidenza della circostanza di fatto in relazione alla complessiva vicenda.
In diritto la decisione del Tribunale del riesame appare del tutto immune da censure. Infatti secondo quanto affermato da questa Corte di legittimità, va ribadito che
che: a) integra il delitto di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario delle
proprie ragioni, la condotta minacciosa che si estrinsechi in forme di tale forza in- delle regole della logica; c) non sia internamente "contraddittoria", ovvero esente timidatoria da andare al di là di ogni ragionevole intento di far valere un preteso
diritto, con la conseguenza che la coartazione dell'altrui volontà assume di per se i
caratteri dell'ingiustizia, trasformandosi in una condotta estorsiva [Sez. 2, n.
51013 del 21/10/2016 - dep. 30/11/2016, Arcidiacono, Rv. 26851201]; b) Il reato
di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, sia con violenza sulle cose che sulle
persone, rientra, diversamente da quello di estorsione, tra i cosiddetti reati propri
esclusivi o di mano propria, perciò configurabili solo se la condotta tipica è posta
in essere da colui che ha la titolarità del preteso diritto. Di qui consegue che, in naccia sia posta in essere dal titolare del preteso diritto è configurabile il concorso
di un terzo estraneo nell'esercizio arbitrario delle proprie ragioni (per agevolazione, o anche morale), mentre, qualora la condotta sia realizzata da un terzo che
agisca su mandato del creditore, essa può assumere rilievo soltanto ai sensi dell'
art. 629 cod. pen. [Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016 - dep. 03/11/2016, Musa e
altro, Rv. 26836001; Sez. 2, n. 41433 del 27/04/2016 - dep. 04/10/2016, Bifulco
e altri, Rv. 26863001].
Dalle suddette massime si ritrae il principio per il quale, ai fini della integrazione
del delitto di estorsione (in luogo di quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone), va presa in considerazione non la legittimità della pretesa, ma la modalità della condotta avuto riguardo in particolare modo alla
richiesta di intervento di terze persone con finalità coercitiva nei confronti della
parte offesa.
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile. Il tribunale con motivazione adeguata
e non sindacabile nel merito ha esposto le ragioni per le quali permane l'attualità
delle esigenze cautelari, avendo descritto il quadro di riferimento della condotta
dell'indagato e della suo legame con ambienti malavitosi qualificati tramite i quali
ha ingaggiato le persone che hanno eseguito materialmente il delitto di estorsione
ascritto al prevenuto.
Per le suddette ragioni il ricorso è inammissibile e il ricorrente va condannato al
pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000 alla Cassa delle Ammende, così equitativamente determinata la sanzione amministrativa prevista
dall'art. 616 cod. proc. pen., ravvisandosi nella condotta del ricorrente gli estremi
della responsabilità ivi stabilita. caso di concorso di persone nel reato, solo ove la condotta tipica di violenza o mi- P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 2.000,00 alla Cassa delle ammende. Così deciso in Roma il 19.12.2017 Il giudice estensOre
Ugo De cfeienzo il Presidente
Piercamillo DAVIGO Sentenza a motivazione semplificata.