Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17701 del 05/04/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 17701 Anno 2018
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: PARDO IGNAZIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BRUNO ANTONIO RICCARDO nato il 05/02/1962 a VENOSA

avverso la sentenza del 22/09/2015 della CORTE APPELLO di ANCONA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere IGNAZIO PARDO
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIANLUIGI
PRATOLA
che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Udito il difensore avv.to Fabio Viglione che si riporta ai motivi chiedendo
l’annullamento della sentenza impugnata.

Data Udienza: 05/04/2018

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1.1 La CORTE di APPELLO di ANCONA, con sentenza in data 22/09/2015, parzialmente riformando
la sentenza pronunciata dal TRIBUNALE di ASCOLI PICENO in data 05/10/2011, nei confronti di
BRUNO ANTONIO RICCARDO confermava la condanna in relazione al reato di cui all art. 628 CP
(capo a) ed al delitto di cui agli artt. 624-625 cod.pen. (capo b) riducendo la pena allo stesso
inflitta ad anni 6, mesi 8 di reclusione ed euro 2.000 di multa.
1.2 Proponeva ricorso per cassazione l’imputato, deducendo i seguenti motivi:
– violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta responsabilità dell’imputato
poiché il mancato formale sequestro del fazzoletto di carta contenente tracce ematiche, di cui al

conseguentemente la totale inutilizzabilità degli esiti dell’esame del DNA;

verbale della polizia giudiziaria del 28 gennaio 2006, ne determinava la giuridica inesistenza e

– violazione di legge e difetto di motivazione per non avere il PM procedente dato avviso al
difensore dell’indagato dell’accertamento tecnico compiuto su dette tracce ematiche e del
successivo accertamento di comparazione;

– violazione di legge e difetto di motivazione quanto all’assenza di adeguati rilievi sui luogo di
consumazione del fatto e di ritrovamento del fazzoletto che rendevano la prova della responsabilità
non idonea;

– violazione del diritto alla controprova e difetto di motivazione anche con riferimento all’art. 603
cod.proc.pen. avuto riguardo al rigetto della richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale
avente ad oggetto le modalità di esecuzione degli accertamenti;

– violazione di legge e difetto di motivazione quanto al riconoscimento della continuazione con fatti
separatamente giudicati dalla corte di appello di Milano.

1.3 Con successivi motivi aggiunti la difesa dell’imputato deduceva ancora che l’eccezione di nullità
di cui al primo motivo non poteva ritenersi tardiva poiché il Bruno era rimsto assente per tutto il

primo grado di giudizio sicchè tempestivamente la questione risulotava dedotta in fase di appello;
lamentava poi, in relazione alla seconda doglianza, che non poteva ritenersi essersi agito nei

confronti di ignoti posto che una fonte confidenziale aveva indicato il nominativo dell’imputato. In
relazione al quarto motivo lamentava la mancata ammissione di prova contraria in fase di appello e

l’impossibilità per i consulenti di parte di accedere ai materiali sequestrati. Infine, insisteva nella
richiesta di continuazione.

2.1 II ricorso è inammissibile perché manifestamente non fondato oltre che reiterativo di questioni
già dedotte ed adeguatamente risolte dal giudice di appello.

Quanto al primo motivo, va condiviso l’orientamento già espresso dalla corte di appello che ha
aderito ai principi affermati ripetutamente da questa corte e secondo cui la mancata convalida del
sequestro operato dalla polizia giudiziaria – ex art. 355 cod. proc. pen. – non incide sull’utilizzazione
a fini probatori delle cose sequestrate ma soltanto sulla possibilità di mantenimento del sequestro
stesso: la convalida – i cui eventuali vizi devono essere fatti valere con le impugnazioni previste
dagli art. 324 ss. cod. proc. pen. – ha, infatti, la funzione di legittimare la sottrazione del bene
sottoposto a sequestro alla sfera di appartenenza del proprietario o di chi ne abbia la disponibilità e
non già di permettere l’utilizzazione processuale del bene sottoposto alla misura cautelare (Sez. 6,
n. 4328 del 02/03/1999, Rv. 213659). Si è anche affermato, sempre sul tema e con specifico
riferimento agli accertamenti conseguenti, che l’annullamento di un sequestro preventivo non
impedisce – anche in virtù del principio di tassatività di cui all’art.177 cod. proc. pen. – l’utilizzabilità
degli elementi probatori acquisiti ma solo il mantenimento del sequestro, sicché è legittima \ /

l’esecuzione di prelievi su campioni acquisiti mediante sequestro ( nella specie adottato nell’ambito
di un diverso procedimento) annullato dal Tribunale del riesame (Sez. 3, n. 8762 del 19/12/2002,
Rv. 223739).
Può pertanto affermarsi essere manifestamente infondato il motivo che assume la giuridica
inesistenza degli accertamenti tecnici compiuti sui campioni prelevati dal fazzoletto contenente
tracce ematiche e fondato sull’assenza di un formale verbale di sequestro del predetto oggetto.
2.2 In relazione al secondo motivo si osserva che qualora il P.M. debba procedere ad accertamenti
tecnici non ripetibili ai sensi dell’art. 360 cod. proc. pen., ricorre l’obbligo di dare l’avviso al
difensore solo nel caso in cui al momento del conferimento dell’incarico al consulente sia già stata
individuata la persona nei confronti della quale si procede mentre tale obbligo non ricorre nel caso
che la persona indagata sia stata individuata solo successivamente all’espletamento dell’attività

peritale (Sez. 1, n. 18246 del 25/02/2015, Rv. 263858); difatti il prelievo di tracce biologiche su un
oggetto rinvenuto nel luogo del commesso reato e le successive analisi dei polimorfismi del DNA,
per l’individuazione del profilo genetico al fine di eventuali confronti, sono utilizzabili quando

l’indagine preliminare si svolga contro ignoti e non sia stato possibile osservare le garanzie di
partecipazione difensiva previste per gli accertamenti tecnici irripetibili compiuti dal P.M. (Sez. 2, n.
45929 del 24/11/2011, Rv. 251373).

Deve pertanto essere escluso che nel caso in esame potesse darsi avviso al difensore del Bruno
posto che questi non risultava formalmente indagato all’atto dell’accertamento tecnico e la diversa
prospettazione difensiva rimane asserzione priva di riscontro.

2.3 Anche il terzo motivo appare manifestamente infondato; la corte di appello con le specifiche

osservazioni svolte a pagina 16 della sentenza, ha ricostruito le modalità di verifica dei luoghi e di
individuazione del fazzoletto contenente tracce di sangue sulla base degli accertamenti compiuti
dalla polizia giudiziaria sui luoghi e nell’immediatezza del fatto. Rispetto a tale dato la doglianza si

limita a contestare la formale assenza di un verbale descrittivo dei luoghi privo di rilievo concreto.

2.4 Quanto alla audizione dei consulenti di parte ed alla omessa attivazione della rinnovazione
istruttoria in appello attraverso detto incombente, la corte di merito precisa le ragioni della scelta

con le particolari ed adeguate considerazioni contenute a pagina 17 della motivazione ove spiega le
ragioni per cui in assenza di richiesta di perizia d’ufficio appariva superfluo e comunque non

indispensabile al fine di decidere procedere alla audizione dei consulenti con valutazione che appare

esente dalle lamentate censure. Peraltro, non può essere lamentata la violazione del diritto alla
prova contraria pure dedotto perché la richiesta risulta formulata soltanto con l’atto di appello e
vale al proposito l’inderogabile disciplina di cui all’art. 603 cod.proc.pen..

Infatti, occorre ricordare che l’omesso ricorso alla rinnovazione istruttoria da parte del giudice di

appello ex art. 603 cod.proc.pen. ove correttamente motivato, come nel caso di specie, è non
sindacabile in cassazione trattandosi di potere discrezionale esercitabile solo ove il giudice ritenga di
non potere decidere allo stato degli atti, circostanza correttamente esclusa dalla impugnata
sentenza.
2.5 Infine, la richiesta di applicazione della continuazione non risulta formulata in grado di appello e
non può essere evidentemente avanzata per la prima volta nella presente sede di legittimità.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento
della somma, che ritiene equa, di euro duemila a favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro duemila in favore della
cassa delle ammende.

Così deciso il 05/04/2018
Il qcnsigliere Est
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Il Presidente
ENICO ALLO

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