Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 17697 del 20/11/2012


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 17697 Anno 2013
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: MULLIRI GUICLA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
p.c. Rea Maria Luisa, nata ad Isola Liri 1’11.5.60,
nel proc. cio
Mancini Antonietta, nata a Sore il 13.3.50
imputata art. 590 c.p.
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma del 18.10.11
Sentita, in pubblica udienza, la relazione del cons. Guida Mùlliri;
Sentito il P.M., nella persona del P.G. dr. Enrico Delehaye, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
Sentito il difensore di P.C., avv. Stefano Maccioni, che ha insistito per l’accoglimento
del ricorso;
Sentito il difensore dell’imputata, avv.ti Carlo Guglielmo Izzo e Cesare Natalizio, che
hanno insistito per il rigetto del ricorso;
Vista la memoria depositata nell’interesse dell’imputata il 12.10.12;
Vista la memoria della parte civile, depositata il 24.10.12

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 20/11/2012

2. Motivi del ricorso proposto ricorso deducendo:

Avverso tale pronuncia, la parte civile, Rea Maria Luisa, ha

1) vizio _di motivazione ( alt 606 lett e) c.p.p.) per travisamento della prova in ordine alla
ricostruzione operata dai giudici di merito in punto di nesso causale sostenendo che la Corte
ha escluso validità delle ragioni svolte dalla parte civile sulla base di un erroneo presupposto.
In particolare, se è vero che i periti di primo e secondo grado – come ricordato dalla Corte – hanno
affermato che le cause del danno cerebrale causato al neonato «sono, con maggiore
probabilità, da correlare alla condizione di grande prematurità ed alla conseguente insufficienza
respiratoria che ne è derivata», è anche vero che essi hanno anche affermato testualmente che
«il comportamento preciso sarebbe stato, ovviamente, quello di __iniziare direttamente una
respirazione in maschera ed ossigeno, provare per circa trenta secondi, interrompere,
riprovare trenta secondi, dopo di che, se non andava, intubare il bambino». A tale proposito, si
rammentano le precise domande rivolte ad uno dei periti, il dott Coslovi, e le risposte di
quest’ultimo dalle quali si ha conferma che le conseguenze patite dal bambino (sindrome post
ischemica e malattia delle membrane ialine) sono diretta conseguenza dell’anossia protratta per lungo
tempo.
Per quanto, infatti, vi siano state deposizioni un po’ compiacenti (come quella del dott.
Parenti) ovvero dichiarazioni “fataliste” (come quella della Corte secondo cui il bambino non era “nato sotto
una buona stella”), è un dato di fatto che il bambino è rimasto privo di assistenza respiratoria per
oltre due ore e mezzo fino all’arrivo (verso le 24,00) dell’ambulanza ed alle pratiche attuate dalla
dott.ssa Rossi che vi viaggiava a bordo; ciò è tanto vero che il miglioramento si registrò solo
dopo che quest’ultima gli ebbe praticato t intubazione endotracheale” e, ancor di più, più tardi
con la somministrazione del surfattante;
2)

vizio di motivazione per Qffiessa valutazione della memoria depositata dalla Parte
civile (art. 606 lett e) c.p.p.), tanto è vero che, allegata ad essa, vi era la condanna per falsa
testimonianza pronunciata a carico di una infermiera che aveva sostenuto l’uso protratto del
pallone AMBU da parte della dott.ssa Mancini (condanna sopraggiunta proprio dopo l’invio della notizia di
reato da parte del giudice di primo grado la cui sentenza è invece da considerare Ineccepibile).

La ricorrente ricorda, altresì, le affermazioni del dott. Dubolino (medico legale) che, con
chiarezza e fermezza, sostengono che «la corretta esecuzione del trattamento dovuto
(intubazione) avrebbe comportato serie ed apprezzabili probabilità di successo».
La ricorrente conclude invocando l’annullamento della sentenza impugnata.

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1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato – Il procedimento ha ad oggetto
l’accusa – rivolta alla dott.ssa Antonietta Mancini (all’epoca, neonatologa presso l’ospedale di Sora) – di
aver causato lesioni gravissime al neonato Giovannone Flavio, partorito dall’odierna ricorrente
e parte civile, Rea Maria Luisa, a causa di negligenza ed imperizia. Più precisamente, la
contestazione mosssale originariamente è stata quella di non essersi recata prontamente
presso l’ospedale di Sora ove, chiamata alle 20,55 era sopraggiunta alle 21.22, e non avere,
così, assistito al parto – avvenuto alle 21,10 – nonché, quella di aver richiesto tardivamente solo alle 22,20 – l’intervento del Servizio Trasporti Emergenza Neonatale presso il Policlinico
Umberto I di Roma e, nel non avere, nel frattempo, posto in essere sul neonato manovre di
ventilazione assistita nonostante lo stesso manifestasse un’evidente insufficienza respiratoria.
All’esito del giudizio di primo grado, la Mancini era stata condannata. In appello, la
Corte aveva confermato l’affermazione di responsabilità (ancorché solo per l’omessa intubazione
endo-tracheale del neonato) ed aveva dichiarato il reato estinto per prescrizione confermando le
statuizioni a favore della parte civile.
L’imputata, previa rinuncia alla prescrizione, aveva proposto ricorso dinanzi alla Corte
di Cassazione che, con sentenza del 25.9.07, aveva annullato con rinvio.
La decisione pronunciata dalla Corte d’appello in sede di rinvio – oggetto del presente
ricorso – è stata di assoluzione dell’imputata per insussistenza del fatto non essendo stata
raggiunta la prova del nesso causale tra l’omissione ascritta all’imputata e l’evento lesivo
prodottosi.

Nella propria replica, la memoria della ricorrente parte civile sottolinea dei punti di
imprecisione contenuti nella memoria dell’imputata come, ad esempio il fatto che il surfattante
avrebbe potuto essere iniettato anche con un apparecchio diverso da quello per l’intubazione
(e che non era funzionante presso l’ospedale di Sora) e si evidenzia che la sentenza impugnata non ha
adeguatamente considerato quella di primo grado che invece era scevra da vizi motivazionali
e dove si dice che:
1) non vero che il respiratore automatico MOG 2000 presente presso l’ospedale di Sora non
fosse funzionante
2 ) che non è vero che le condizioni del piccolo Flavio migliorarono solo dopo la
somministrazione del surfattante (bensì già dopo l’intervento della dott.ssa Rossi);
3) che non è vero che il reparto di neonatologia dell’ospedale di Sora non avesse i requisiti
per essere qualificato di II livello.
E si conclude, anche sul secondo motivo, ribadendo la giustezza della sentenza di primo
grado.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Motivi della decisione – Il ricorso è fondato.
3.1. Nel precisare le ragioni delle conclusioni appena anticipate, in considerazione
delle peculiarità del caso – anche se può apparire formalmente “Irrituale” — risulta opportuno prendere
le mosse dalle obiezioni sviluppate dalla difesa dell’imputata ai motivi di ricorso svolti dalla
parte civile.
Secondo, la difesa della dott.ssa Mancini, infatti, la decisione della Corte d’appello
sarebbe inoppugnabile perché avrebbe solo dato attuazione alle indicazioni della sentenza di
annullamento con rinvio pronunciata da questa S.C. in data 25.9.07.
L’assunto è, però, frutto di una imprecisa lettura di tale ultima sentenza e, soprattutto,
di una inesatta opinione circa i poteri/doveri del giudice del rinvio.
3.2. La vicenda, in punto di fatto, è sufficientemente chiara e la si riepiloga in
estrema sintesi solo al fine di mettere a fuoco i suoi punti salienti visto che ha avuto un
percorso giudiziario alquanto lungo e tortuoso.

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Con memoria del 12.10.12, la difesa dell’imputata Mancini ha ribattuto quanto segue.
– Sul primo motivo richiama l’attenzione sul fatto che la pronunzia della Corte di
appello è avvenuta in puntuale osservanza dei principi enunciati da questa S.C. nella
precedente pronunzia del 2007 e, comunque, ha fondato la propria decisione di assoluzione
sulle convincenti conclusioni della perizia medico-legale espletata nella pregressa fase di
appello da tre esperti (i proff.ri Parenti, Piscicelli e Ranalletta) dove si evidenzia che l’intubazione
tracheale non venne espletata perché l’apparecchio idoneo allo scopo non era funzionante e
perché mancava il farmaco surfattante.
Si sottolineano, altresì, le condizioni del piccolo Flavio all’atto della nascita (1,150 kg di
peso, dopo 28 settimane di gestazione) ed il fatto che l’assistenza prestatagli nell’immediatezza del
parto è stata carente tanto che, di certo, non si sa da chi sia stato accudito il neonato nei primi
quindici minuti di vita, fino al sopraggiungere della dott.ssa Mancini. A dimostrazione di ciò, la
stessa S.C. afferma che ala dott.ssa Mancini, quando prese in consegna il piccolo Giovannone,
si trovò di fronte ad una condizione del neonato impossibile da recuperare neanche con il
più avanzato trattamento successivo ma sempre non attuabile a Sora». A proposito della
inidoneità di tale struttura, del resto, sia la S.C. che la Corte di merito sono chiarissime nel
sottolinearne gli aspetti deficitari e, soprattutto, la mancanza del surfattante
– Sul secondo motivo, l’imputata esamina in dettaglio i documenti allegati dalla difesa di
parte civile alla propria memoria (di cui deduce la mancata considerazione) sostenendone la irrilevanza
ovvero la non producibilità (quanto alla
(quanto alla condanna dell’infermiera per falsa testimonianza)
relazione del dott. Dubolino (resa in un giudizio in cui la Mancini non era parte).

3.3. Questi sono, in buona sostanza, gli elementi posti dalla prima sentenza
della Corte d’appello (del 26.10.04) alla base della propria decisione.
E’ stata, quindi, giustificata la censura mossale dalla precedente decisione di questa
S.C. di vizio logico visto che, sebbene i predetti argomenti fossero interpretabili a favore della
dott.ssa Mancini, quei giudici di appello – in modo «lacunoso ed incoerente» ( v. sent. sez. IV – f. 9)
– avevano finito per pronunciare una declaratoria di estinzione del reato per prescrizione
escludendo, al contempo, la praticabilità di un proscioglimento di merito ex art. 129 c.p.p.,
con una illogicità tanto più manifesta se si considera la ulteriore affermazione – contenuta in
quella decisione – secondo cui le condizioni del neonato, al momento in cui egli fu preso in
consegna dalla dott.ssa Mancini, sarebbero state pressoché “irrecuperabili”.
Effettivamente, perciò, la conclusione adottata dai primi giudici di appello risultava
criticabile e non poteva che essere annullata con rinvio.
3.4. L’errore in cui è, però, incorsa la Corte d’appello nella presente decisione, in
sede di rinvio, è stato quello di ritenere che la critica della S.C. avesse come unica
conseguenza quella di trarre delle conclusioni “coerenti” con il ragionamento del precedente
giudice di appello.
Di certo, questo non era affatto obbligatorio perché, come affermato e ribadito dalla
giurisprudenza di legittimità, a seguito di annullamento per vizio di motivazione, il giudice di
rinvio è vincolato dal divieto di fondare la nuova decisione sugli stessi argomenti ritenuti illogici
o carenti dalla Corte di cassazione, «ma resta libero di pervenire, sulla scorta di
argomentazioni diverse da quelle censurate in sede di legittimità ovvero integrando e
completando quelle già svolte, allo stesso risultato decisorio della pronuncia annullata» (sez. IV,
21.6.05, Poggi, Rv. 232019).

Come spiegato bene ed incisivamente in tale decisione, «spetta esclusivamente al
giudice di merito il compito di ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenze processuali e
di apprezzare il significato e il valore delle relative fonti di prova, senza essere condizionato da
valutazioni in fatto eventualmente sfuggite al giudice di legittimità nelle proprie
argomentazioni». A prescindere dal rilievo che, nella specie, i giudici di legittimità si erano
limitati ad mettere in risalto la mancanza di consequenzialità logica tra il percorso
argomentativo dei giudici di appello e le loro conclusioni, è, comunque, un dato di fatto che il
4

Come precisato all’inizio, la dott.ssa Mancini è imputata per le gravissime lesioni
riportate dal piccolo Flavio Giovannone in occasione degli eventi immediatamente successivi
alla sua nascita, avvenuta presso l’ospedale di Sora ove l’imputata è neonatologa.
Risulta pacificamente dagli atti che ella è sopraggiunta nel nosocomio dopo che il
piccolo Flavio era venuto alla luce con parto prematuro (settimo mese). Dalle sentenza di merito
si apprende che, compatibilmente con la prematurità generale, le condizioni generali alla
nascita erano discrete, se non addirittura, «buone» ( v. sent. Trib. f. 16), tanto che il bimbo fu
portato al nido dove, però, cominciarono a manifestarsi i primi segni di difficoltà respiratoria
tipici dei nati pretermine.
condanna in primo grado, la
Dopo una iniziale contestazione più ampia, e relativa
dott.ssa Mancini, in appello, è stata ritenuta responsabile solo per avere omesso una
intubazione endo-tracheale del neonato che, per poter ricevere questo tipo di trattamento,
dovette attendere l’arrivo di una ambulanza richiesta ad un nosocomio esterno.
Ed infatti, alle 00,10 della notte della nascita, dall’ospedale S. Giovanni di Roma, arrivò
l’ambulanza attrezzata denominata “Cicogna” con a bordo la dott.ssa Rossi che
immediatamente applicò al piccolo l’apparecchio denominato Mog 2000 e, successivamente, gli
Iniettò anche la sostanza medicinale (surfattante) deputata a dilatare gli alveoli polmonari.
Ciò nonostante, il piccolo Flavio, per l’emorragia cerebrale, di quarto grado, l’edema
polmonare ed altre patologie, ha riportato una invalidità giudicata pari al 100%.
Attraverso consulenze di parte e perizia di ufficio, nel corso dei vari gradi di giudizio
sono stati raggiunti alcuni punti fermi tra i quali: a) il basso livello dell’Ospedale di Sora
(classificato solo di 10 livello); b) l’impossibilità di utilizzare, presso l’ospedale di Sora, il respiratore
Mog 2000 per mancanza degli accessori e senza che alcun sanitario fosse stato istruito al suo
uso; c) e la mancanza, presso quel nosocomio, del medicinale denominato “surfattante”.

giudice di rinvio deve tenere presente che «sono diversi i piani su cui operano le rispettive
valutazioni, non essendo compito della Corte di cassazione di sovrapporre il proprio
convincimento a quello del giudice di merito in ordine a tali aspetti» e che il giudice di rinvio
«conserva gli stessi poteri che gli competevano originariamente quale giudice di merito
relativamente all’individuazione ed alla valutazione dei dati processuali, nell’ambito del capo
della sentenza colpita da annullamento» (sez.Dr, cit.).
In altri termini, come detto espressis verbis anche in altra recente decisione, il
provvedimento annullato dalla Corte di cassazione per vizio di motivazione «può essere
confermato dal giudice del rinvio a condizione che la decisione si fondi su valutazioni diverse da
quelle censurate o su integrazioni di queste ultime se ritenute carenti» (sez. IV, 21.1.09, Muto, Rv.

3.5. Trasferendo tali principi al caso in esame appare evidente la sommarietà del

giudizio svolto dai giudici di appello nella sentenza impugnata.
Senza operare una revisione critica dell’intero bagaglio probatorio anche alla luce delle
precedenti pronunzie, essi mostrano chiaramente di avere giudicato il caso sulla base di quegli
stessi elementi evidenziati nella prima pronuncia di appello e – coerentemente con i loro
contenuti – sono pervenuti ad una pronuncia assolutoria.
Di qui, la giusta doglianza della parte civile che incisivamente ha richiamato l’attenzione
su un aspetto essenziale della vicenda quello secondo cui è un dato di fatto indiscutibile che il
neonato è rimasto privo di assistenza respiratoria per oltre due ore e mezzo fino all’arrivo
(verso le 24,00) dell’ambulanza proveniente da Roma.
Dalla ricostruzione della sentenza di primo grado si può affermare come sia da ritenere
accertato, in punto di fatto, che la dott.ssa Mancini non praticò una valida e duratura
assistenza respiratoria al piccolo.
Il tentativo di sostenere, anche attraverso la deposizione di Fabrizio Vincenza, che la
dott.ssa, «incessantemente, per tutto il periodo di attesa della “Cicogna” sarebbe stata
addosso al neonato, continuamente inalandogli aria insuffiata con l’utilizzo di un pallone
Ambii» (r. 11 sent. Trib.) è naufragato miseramente di fronte alla condanna della teste per falsa
testimonianza nonché – come incisivamente e logicamente anticipato dal giudice di primo grado – di fronte
alla constatazione obiettiva del fatto che gli stessi esiti particolarmente infausti occorsi al
neonato sono (come attestato dal perito dott. Cosiovi) inequivoca conseguenza della ipossia protratta
per più di due ore.
E’ senza dubbio verosimile che vi sia stato anche un concorso di cause che ha reso
particolarmente “sfortunata” (come chiosano i giudici di appello) la vicenda del piccolo Flavio (in cui si
sono accavallati errori e contrattempi fin dalle prime doglie della madre – la ricorrente Rea -) ma Ciò non esclude
che, tra le cause, vada senza dubbio considerato il comportamento negligente della dott.ssa
Mancini.
E nelle parole concordi di tutti gli esperti (incluso quello della imputata) che il problema
cardine che ha affrontato il bimbo nato prematuramente è stato quello della difficoltà
respiratoria. Quest’ultima sarebbe stata ovviabile sicuramente attraverso il macchinario poi
utilizzato dalla dott.ssa Rossi (mog 2000) ma – pur dando per ammessi e non ascrivibili alla
dott.sssa Mancini i limiti tecnici dell’ospedale di Sora (mancanza dell’accessorio necessario per utilizzare
quell’apparecchio e mancata istruzione del personale) – è tuttavia innegabile che, fino all’arrivo
dell’ambulanza, la neonatologa, proprio in ragione delle sue competenze specifiche, avrebbe
potuto – e dovuto – ugualmente cercare di fronteggiare la crisi respiratoria, chiaramente
insorta nel neonato prematuro, con una tecnica ventilatoria sicuramente meno efficace e forse
più difficile (richiedendo l’adozione di cautele speciali per la piccolezza del paziente ed il rischio di rigonfiamento
dello stomaco – v. parole dello stesso consulente dell’imputata, prof. Orzalesi, f. 1 sent. Trib.) ) quale è l’utilizzo
del palloncino Ambu.
A tale proposito – vista anche la condanna per falsa testimonianza inflitta alla teste Fabrizio Vincenza è, invece, stato accertato che la dott.ssa Mancini, non solo, non fornì al piccolo tale assistenza
per tutto il tempo di attesa della “Cicogna” ma che, anzi, per dirla con le parole del giudice di
primo grado «se davvero mai la dott.ssa utilizzò l’Ambu, lo fece giusto per pochi istanti e poi
lasciò il piccolo nell’incubatrice» (f. 12). Del resto, come rimarca il giudice di primo grado,
neppure nella cartella clinica si parla dell’utilizzo di tale pallone, la qual cosa è emblematica
visto che era stata la dottoressa stessa a redigerla e, certamente, non le sarebbe sfuggito di
5

243514).

annotarlo se anche solo si fosse trattenuta per un tempo ragionevole nell’utilizzo di quel
“palloncino”.
Di fatto, quindi, anche dando per ammesse le considerazioni svolte nella sentenza qui
impugnata a proposito delle carenze strutturali ed organizzative del nosocomio di Sora, l’errore
in cui è incorsa la decisione qui al vaglio è stato proprio quello di avere confuso l’intubazione
(cui sarebbe stato necessario sottoporre il piccolo immediatamente ma senza poterlo fare per l’accertata
inadeguatezza dell’ospedale)
con le operazioni di ventilazione alternative, come appunto quella
manuale (con il palloncino Ambu), il cui impiego su un neonato è sicuramente di non agevole

esecuzione

Né del resto, a riguardo, da parte dell’imputata stessa, sono pervenute obiezioni ma,
semmai, al contrario, tentativi di mistificazione della realtà anche attraverso falsa
testimonianza.
Tale stato di cosa ha fatto si che – come giustamente rilevato dalla sentenza di primo grado – il
piccolo Flavio, prima di essere assistito nel modo più auspicabile ed appropriato (intubandolo)
«patì una lunga attesa, dalle 21.30 circa, quando lo aveva visto la dott.ssa Mancini, fino alle
24,10 ben due ore e 40 minuti, Durante tale ragguardevole lasso di tempo egli rimase
letteralmente in stato di asfissia tale da costringerlo ad una condizione preagonica» (f. 8 sent.
TrIb.).

Di ciò (chiaramente emergente in atti ed evidenziato nella sentenza di primo grado) i giudici del
rinvio non hanno minimamente tenuto conto limitandosi a considerare solo i dati valorizzati dai
primi giudici di appello.
Irrilevanti sono, perciò, le obiezioni della difesa dell’imputata a proposito della dubbia
carenza di cura patita dal piccolo prima dell’arrivo della dott.ssa Mancini perché, ad ogni buon
conto, si è trattato solo di circa 15 minuti rispetto alle oltre due ore trascorse dopo l’arrivo
della neonatologa; tant’è che nessun pregio ha neppure la, indimostrata, asserzione dei
giudici di appello secondo cui, al suo arrivo, la dott.ssa Mancini avrebbe trovato già una
situazione irrecuperabile. Al contrario, essa è smentita dai dati clinici attestanti il fatto che, fino
al suo trasporto al nido (avvenuto quasi in concomitanza con l’arrivo dell’imputata) le condizioni generali
del bimbo erano accettabili (tanto da essere stato, appunto, portato al nido).
3.6. Entrambe le doglianze della parte civile, pertanto, colgono nel segno anche
per quel che concerne ciò che risulta dalla consulenza del dott. Dubolino che, pur essendo
stata svolta nell’ambito di altro giudizio, ben può essere utilizzata nel presente come un
qualsiasi documento.
Il vero è, perciò, che la conclusione raggiunta (attraverso una motivazione censurabile) dalla
prima decisione della corte d’appello era sostanzialmente corretta non emergendo dagli atti la
prova evidente della insussistenza di qualsivoglia nesso causale tra il comportamento della
dott.ssa Mancini ed il tragico evento lesivo occorso al piccolo Flavio.
Lo spazio di azione e di giudizio del giudice di appello in sede di rinvio ben avrebbe
consentito, ai giudici defla, decisione qui impugnata, di rivisitare l’intera vicenda, considerare
anche le ragioni della parte civile e soppesare – diversamente da come fatto — anche elementi
ulteriori risultanti dagli atti, arrivando così a mettere a fuoco che la stessa circoscrizione della
responsabilità dell’imputata alla mancata intubazione era stata frutto di un taglio prospettico
del tutto rivedibile proprio a seguito dell’annullamento con rinvio pronunciato da altra sezione
di questa S.C..
Ciò è tanto vero che, anche i giudici della prima pronuncia di appello ( f. 6 sent. app.
18.10.11) avevano rilevato la esistenza di «perplessità» «circa l’adozione da parte dell’imputata
delle misure per evitare o diminuire l’evento, potendo alla stessa rimproverarsi di aver omesso
di tentare la ventilazione manuale forzata (metodo AMBU) per un periodo di tempo sufficiente
ad eliminare qualsiasi dubbio ….circa la sua concreta efficacia o inefficacia»

All’esito del ragionamento che precede, stante la estinzione del potere sanzionatorio in
sede penale, in difetto di ricorso del P.G., si impone solo un annullamento della sentenza
impugnata con rinvio al giudice civile competente in grado di appello perché riesamini in quella
6

(dovendo – come spiegato dai periti – porsi una mano dietro al capo del piccolo paziente o
sul suo stomaco – per evitare che l’insuflazione di aria gonfi anche lo stomaco o l’esofago – e, con l’atra mano,
azionare la piccola pompa) ma non per questo impossibile o, ancor meno, per ciò solo da evitare.

Vrirrrn

sede la domanda di risarcimento danni della parte civile ricorrente rimettendo al giudice di
rinvio la liquidazione delle spese del presente grado di giudizio, in base alla soccombenza.

P.Q.M.
Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia al giudice civile competente in grado d’appello

Il Presidente

Così deciso il 20 novembre 2012

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